Eliot – Il canto di Simeone

barbone-luna

Signore, i giacinti romani fioriscono nei vasi
e il sole d’inverno rade i colli nevicati:
la stagione ostinata si ferma.
La mia vita è leggera, in attesa del vento di morte,
come piuma sul dorso della mia mano.
La polvere nel sole e la memoria negli angoli
attendono il vento che gela verso la terra morta.

Concedici la pace.
Per molti anni camminai in questa città,
osservai fede e digiuno, e al povero provvidi,
ho dato e avuto onori ed agi.
Chi giunse alla mia porta non fu mai respinto.
Chi si ricorderà della mia casa, dove vivranno i figli dei miei figli,
quando verrà il tempo del dolore?
Prenderanno il sentiero della capra, e la tana della volpe,
fuggendo i volti stranieri e le spade straniere.

Prima che venga il tempo di corde verghe e lamenti
concedici la pace.
Prima delle stazioni della montagna di desolazione,
prima dell’ora certa del dolore materno,
ora in questa stagione di nascita e di morte,
possa il Figliuolo, il Verbo non pronunciante e ancora non pronunciato,
accordare la consolazione d’Israele
a un uomo di ottant’anni e che non ha domani.

Secondo la tua parola.
Soffrirà chi Ti loda a ogni generazione
con gloria e derisione,
luce su luce, salendo la scala dei santi.
Non per me il martirio, l’estasi del pensiero e della preghiera,
non per me la visione estrema.
Concedici la pace.
(E una spada trafiggerà il cuore,
finanche a Te).
Sono stanco della mia vita e della vita di quelli che verranno,
muoio della mia morte e della morte di quelli che verranno.
Fa’ che il tuo servo parta
avendo visto la tua salvezza.

(Eliot, Ariel)