Heidegger – Il nostro commercio col tempo

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Dal sorgere della teoria della relatività di Einstein si è consolidata l’opinione che attraverso la fisica sarebbe stata scossa la dottrina, finora valida, della filosofia circa il tempo. Cionondimeno, questa opinione molto diffusa è un errore fondamentale.
Nella teoria della relatività, in quanto teoria della relatività propria della fisica, non si tratta della trattazione di che cosa sia il tempo, bensì unicamente di come il tempo, nel senso della successione della serie di «ora», possa essere misurato; se si dia una misurazione assoluta del tempo, o se ogni misurazione debba essere necessariamente una misurazione relativa, vale a dire condizionata.

In generale, la questione propria della teoria della relatività non potrebbe essere trattata, se fin dal principio il tempo non fosse presupposto in quanto successione della serie di «ora». Se la dottrina del tempo, valida a partire da Aristotele, venisse invalidata, in tal caso con ciò sarebbe esclusa la possibilità di una fisica. Che nel suo orizzonte della misurazione del tempo conosca non solo processi irreversibili, bensì reversibili, che la direzione del tempo sia invertibile, con ciò la fisica testimonia proprio che per essa il tempo non è altro che la successione della serie di «ora». E ciò addirittura in modo così deciso, che in questa successione perfino il senso della direzione possa diventare indifferente.

All’opinione dominante, secondo cui la fisica avrebbe fatto decadere la dottrina tradizionale della metafisica circa il tempo, si accompagna l’altra, oggi particolarmente Galilei-cannocchialeudita spesso, secondo cui la filosofia verrebbe zoppicando dietro alle scienze della natura.
A questo proposito si deve dire che l’odierna scienza della natura, a differenza di ricercatori del rango di Galilei e Newton, ha abbandonato la vivente meditazione filosofica e non sa più nulla di ciò che i grandi pensatori hanno pensato circa il tempo. A questi appartiene, per esempio, anche Hegel, del quale si racconta che non avrebbe capito granché delle scienze della natura.

Laddove la fisica giudichi la metafisica, la qual cosa è già in sé un controsenso, in tal caso si deve esigere che essa prima ripensi i pensieri metafisici, per esempio quello circa il tempo, il che essa certo può fare solo se è pronta a riandare, oltre le supposizioni che, in quanto fisica, le stanno a fondamento, verso ciò che, in quanto accettazione, permane normativo in questo ambito, permanendo ininterrottamente anche qualora il fisico non ne prenda cognizione alcuna.
Tuttavia, che oggi manchi un’autocritica, intesa in un senso rigoroso, della scienza moderna, non è un caso, non riposa su una negligenza o indolenza dei singoli ricercatori. È un accecamento, determinato dal destino dell’epoca presente. Ecco perché la filosofia stessa, nella misura in cui ci sia ancora, non viene zoppicando solo dietro alle scienze, ma anche dietro alla sua propria tradizione, non essendo più in grado di porre in questione il pensiero stesso in un colloquio che questiona circa la cosa del pensiero.

Perché ora dico questo? affinché vediamo più chiaramente quanto oggi sia diventato ovunque difficile far parlare i fenomeni stessi, in luogo di correre dietro all’informazione, la cui peculiarità consiste nel fatto che essa ci preclude da cima a fondo proprio l’accesso alla forma, alla figura, al proprio dell’essere dell’ente. L’informazione è l’insufficienza dello sguardo per la forma.
Perché dico questo? affinché torniamo a scorgere il fenomeno del tempo. È lo sguardo al nostro rapportarci al tempo che deve condurci sulla via di esperire qualcosa circa il tempo stesso. Soltanto allorché vi saremo giunti, potremo stabilire qualcosa circa la relazione in cui l’uomo vive e sta con il tempo.

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In quanto psicoterapeuti, Loro hanno un particolare interesse per tale questione, giacché la questione di che cosa, chi e come sia l’uomo, e cioè insieme l’uomo odierno, è per Loro di importanza fondamentale.
Assieme a tale questione di contenuto circa il rapportarsi di uomo e tempo, a muoverci ve n’è una di metodo. In quanto medici formati scientificamente, Loro sono oggi completamente determinati dal modo di pensare delle scienze della natura, per le quali è normativa una rappresentazione del tempo particolarmente improntata.

Questo fatto suscita la domanda se il concetto di tempo che guida la scienza della natura sia in generale appropriato per trattare il rapportarsi dell’uomo esistente al tempo, ovvero se proprio il concetto di tempo che è normativo per le scienze della natura non precluda la via alla trattazione del rapporto tra uomo e tempo, impedendo così l’adeguato domandare circa quel che è peculiare del tempo.
Il nostro domandare circa il tempo, che noi tentiamo nei nostri colloqui, è di conseguenza determinato sotto un duplice aspetto. Da un lato, riguardo alla Loro professione medica e al suo ambito: l’uomo esistente nella sua sofferenza. Dall’altro, riguardo alla Loro formazione medico-scientifica: la moderna scienza della natura e la sua struttura tecnica.

Ora, però, il tempo in quanto tale è esclusivamente tema della filosofia. Circa il tempo stesso non si può dire qualcosa né in modo scientifico-naturale, né in modo antropologico. Perciò, nei nostri colloqui, siamo costretti a pensare filosoficamente, ma uomo-sua-ombracon ciò senza entrare immediatamente nella tematica filosofica, bensì facendoci guidare dai suddetti riguardi: l’esistenza dell’uomo e la scienza della natura.
Questa circostanza rende il nostro procedere particolarmente difficoltoso. Dobbiamo prima, per così dire, in cammino, nel corso dei nostri colloqui, imparare a prescindere dal modo di rappresentare scientifico-naturale e psicologico, e a penetrare nel modo di pensare fenomenologico.

Quest’ultimo esige, nel contempo, che noi teniamo in vista la tradizione del pensiero filosofico circa tempo e spazio; infatti, anche le rappresentazioni scientifico-naturali e psicologiche di tempo e spazio, che, in quanto correnti, vengono date per ovvie, sono in fondo improntate a essa.
Riguardo alla tradizione del concetto di tempo, restano da osservare tre cose.
Primo: il tempo è il susseguirsi della sequenza di «ora» puntuali. Secondo: il tempo non è senza psiche, animus, coscienza, spirito, soggetto. Terzo: il tempo, riguardo al suo essere, viene determinato a partire dalla comprensione dell’essere nel senso di presenza.

Abbiamo intenzionalmente menzionato solo di passaggio queste determinazioni normative per ogni pensiero circa il tempo. Invece di trattarle approfonditamente e nelle loro modificazioni storiche da Platone a Nietzsche, abbiamo intrapreso un’altra via, per farci un’idea di che cosa sia il tempo e del modo in cui qualcosa come il tempo si dia.
Siamo partiti dall’esperienza quotidiana del tempo, da ciò cui, parlando, ci rivolgiamo attraverso le locuzioni «avere tempo», «non avere tempo», «prendersi tempo», «impiegare tempo», «sacrificare tempo», «sprecare tempo».

In tutto ciò si tratta in certo modo di una specie di commercio col tempo. Un tale commercio è manifestamente possibile solo per il fatto che noi in generale già abbiamo il tempo, che esso ci è concesso, per impiegarlo in questo o quel modo.
Anche quando e proprio quando non abbiamo tempo, siamo incalzati dal tempo concessoci. Siamo riguardati dal tempo. Il tempo ci concerne.

Abbiamo preso di mira i fenomeni dell’«avere tempo», «non avere tempo», per esperire come e con quali caratteri vi si mostri il tempo. Il tempo è tempo per qualcosa. Il tempo è di volta in volta il tempo in cui  accade questa e quella cosa. Perciò il tempo è accennativo a qualcosa, è datato secondo qualcosa e con ciò insieme dimensionato, non è il punto De-chirico-veggenteisolato di un «ora». Inoltre, il tempo è noto a chiunque, è accessibile agli uomini nel loro «essere assieme» e nell’«essere l’uno per l’altro», esso è pubblico. Il tempo che noi abbiamo, si mostra con questi caratteri.
Ora, si tratta solo ancora di determinare più precisamente ciò che in questo modo si mostra, per pervenire alla nozione di che cosa sia il tempo stesso e in quanto tale. Con questo compito siamo giunti a un punto decisivo delle nostre trattazioni.

Decisivo, invero, giacché in questo punto tutto dipende dal modo in cui noi, dopo le precedenti delucidazioni del tempo e dell’«avere tempo», domandiamo ancora intorno al tempo stesso.
Riguardo all’«avere tempo», «avere tempo d’avanzo», «non avere tempo d’avanzo», parliamo di un commercio col tempo. Giacché coi detti fenomeni e le loro variazioni si tratta di fare i conti col tempo, usando del nostro tempo con parsimonia o sciupandolo. Noi misuriamo e calcoliamo solo perché facciamo i conti col tempo. Nella misura in cui facciamo i conti col tempo, abbiamo commercio col tempo. Al commercio col tempo appartiene anche la lettura dell’orologio.

Qui non pensiamo al tempo in quanto tale, stabiliamo solo il quanto tempo. Ciò accade in quanto, esplicitamente o non, noi diciamo necessariamente ogni volta «ora». Lo «ora», che è detto di volta in volta, non viene detto incidentalmente, esso viene detto anticipatamente.
In tal modo, nella lettura dell’orologio, il rapporto col tempo viene ammesso espressamente, per poter stabilire il suo quanto.

Che il rapporto col tempo venga ammesso, non significa che il rapporto col tempo venga per prima prodotto, come se questo rapporto fuori del rilevamento del tempo non sussistesse.
Che il rapporto col tempo, nella lettura dell’orologio, venga ammesso, non significa, però, neanche che con ciò noi rivolgiamo lo sguardo al tempo stesso e in quanto tale.
Il rapporto, costantemente vigente, col tempo, l’avere il tempo, viene eseguito solo espressamente, e precisamente nel «dire ora».

(Heidegger, Seminari di Zollikon)

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Al fisico scappa da ridere a sentir dire che il Tempo ha una psiche: il tempo che egli misura, assoluto o relativo che sia, è dichiaratamente senz’anima. È un tempo indifferente a chi lo vive, a chi – nel tempo – ci esiste.
Ora, che quest’altro tempo, il tempo «metafisico» della filosofia, sia stato pensato fin dal principio quale «tempo dell’anima», mai cioè al di fuori o a prescindere dalla relazione con l’Uomo, non deve però affrettatamente indurci a prendere la più classica, ma anche la più ingenua, delle scorciatoie, ovvero a pensarlo tout court come «tempo soggettivo» individuale.

Non che l’individuo non vi sia coinvolto. Lo è, eccome se lo è – ma a partire dal momento in cui, e solo a condizione che, egli venga a soggiornare nel tempo di Anima.
Tempo soggettivo dunque, ma il cui soggetto è Anima, o per dirla nell’antico gergo orfico, è Okéanos, il Fiume della Psiche Umana. Scommetto che Freud direbbe: l’Es, il Chiacchierone.

Tempo e Anima Umana, Kronos e Okéanos, sono co-originari di una stessa Realtà psicologica. S’interrogano a vicenda: sono, a turno, l’uno la Sfinge dell’altro. Si rivolgono donna-manila parola, e la parola che continuamente si ripetono è «ora, adesso, presente».
L’essere dell’uomo è essere presente a questa interrogazione, è accedere alla parola dalla porta di un «ora» in anticipo sul «dire» stesso, perché è grazie alla percezione di un «ora» di Anima, che ciascuno di noi individualmente giunge ad assoggettarsi alla Parola del Tempo.

Se riconosci in Anima la Macchina (o l’inconscio-macchina) di Lacan, forse ti sarà più facile orientarti in questi vicoli stretti.
Il Soggetto di questo «tempo soggettivo», «psichico», è la Macchina parlante del Racconto Umano: è il Grillo che tormenta Pinocchio, finché Pinocchio non si assoggetta a «dire ora» … a dire cioè quell’«ora», quell’«adesso», grazie al quale egli è finalmente presente al Tempo Umano e viene ad abitare il Tempo in tutt’altro modo dagli altri «pezzi di legno».