Jung – Deo concedente

Il motivo del fanciullo non rappresenta soltanto qualcosa che è stato e che è passato da molto tempo, ma anche qualcosa di attuale, vale a dire esso non è soltanto un residuo, ma anche un sistema che funziona nel presente e che è destinato a compensare e rispettivamente rettificare le inevitabili unilateralità e stravaganze della coscienza.
La coscienza è sostanzialmente concentrazione su relativamente pochi fatti che vengono concentrazioneelevati al più alto grado possibile di chiarezza. Conseguenza necessaria e presupposto della coscienza è l’esclusione di altri fatti altrettanto suscettibili, nello stesso momento, di diventare coscienti. Tale esclusione produce inevitabilmente una certa unilateralità nel contenuto della coscienza.

Dato che alla coscienza dell’uomo civilizzato il dinamismo della volontà offre un efficace strumento per realizzare praticamente i suoi contenuti, il crescente sviluppo della volontà comporta il pericolo ancor più accentuato di smarrirsi nell’unilaterale e di deviare verso una forma senza norme e senza radici.
Ciò da una parte implica, invero, la possibilità della libertà umana, dall’altra però è fonte di infiniti conflitti con gli istinti.

L’uomo primitivo si distingue perciò – data la sua intimità con gli istinti, simile a quella degli animali – per neofobia e per stretto tradizionalismo. Secondo i nostri gusti, egli è penosamente retrogrado, mentre noi esaltiamo il progresso.
Il nostro progressismo però, mentre da un lato rende possibile una serie di magnifiche soddisfazioni dei nostri desideri, d’altro canto sta creando una sempre più immane, gigantesca, prometeica colpa che, di tanto in tanto, viene necessariamente scontata a prezzo di catastrofi fatali.

Da quanto tempo non sogna l’umanità di volare, ed ecco che siamo arrivati ai bombardamenti aerei. Oggi si deride la speranza cristiana nell’aldilà, e nello stesso tempo si cade spesso in chiliasmi cento volte più insensati dell’idea di un oltretomba pieno di gioia!
La coscienza differenziata è continuamente minacciata dallo sradicamento e, di conseguenza, ha bisogno della compensazione per mezzo dello stato d’infanzia ancora reperibile.

Dal punto di vista del progressismo, i sintomi della compensazione vengono definiti in termini poco lusinghieri. Trattandosi, per una considerazione superficiale, di un mero effetto ritardatario, si parla di inerzia, retrogradismo, scetticismo, brontoloneria, conservatorismo, pusillanimità, meschinità, ecc. Essendo l’umanità in alto grado capace Eriksson-primitivodi liquidare le proprie basi di esistenza, essa può farsi trascinare senza riserva da pericolose unilateralità, fino alla catastrofe.
L’ideale ritardatario è sempre una cosa più primitiva, più naturale (nel senso buono e cattivo della parola) e più «morale», in quanto rimane fedelmente attaccato alle leggi tradizionali. L’idea progressista è sempre più astratta, innaturale, «immorale» in quanto esige l’infedeltà alla tradizione.

Il progresso conquistato con la volontà è sempre uno spasimo. Il retrogradismo, mentre è più vicino alla naturalezza, è tuttavia continuamente minacciato da un penoso risveglio.
La concezione antica si rendeva conto che il progresso era possibile solo Deo concedente, e con ciò essa dimostrava di essere pienamente conscia delle contraddizioni inevitabili e ripeteva, su un piano più alto, gli antichissimi rites d’entrée et sortie. Ma più la coscienza si differenzia, più cresce il pericolo del suo distacco dalle radici. Il distacco completo avviene quando si dimentica il Deo concedente.

Ora, è un principio psicologico che una parte staccata della coscienza non può essere inattivata che apparentemente: in realtà essa conduce a un invasamento della personalità, la cui conseguenza è che i propositi della personalità vengono deviati secondo la tendenza della parte staccata dell’anima.
Se dunque lo stato infantile della collettività viene represso fino al punto dell’esclusione completa, il contenuto inconscio si impossessa dell’intento cosciente, ostacolando, falsando e addirittura impossibilitando la sua realizzazione. Un progresso vitale scaturisce invece soltanto dalla cooperazione dei due fattori.

(Jung, La psicologia dell’archetipo «fanciullo», in Jung-Kerényi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia)

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… la coscienza è concentrica – figlia di una concentrazione, di una messa a fuoco, non però di tutte le immagini che popolano il mondo inconscio da cui essa sorge, ma solo di poche – solo di alcune, che una volta «concentrate», una volta «unificate» e raccolte in una «Sintesi», fondano il Nuovo Mondo, il mondo, per intenderci, del cogito cartesiano.
A Narciso basta vedere l’immagine del suo volto allo specchio per emergere a una percezione «unitaria» dei frammenti d’un corpo smembrato – d’un corpo che non è di distorsione-voltonessuno, che anzi è Nessuno, finché non è ricomposto e, per così dire, messo in salvo sotto la vigilanza del suo io.
Il suo io non è che la «funzione immaginaria» di Nessuno. Il suo milite ignoto: non si sa in quale guerra è andato ad arruolarsi, né per chi o in nome di quale idolo a combattere così strenuamente.

Narciso, certo, è catturato in un gioco illusorio. Ma non è lui il «creatore», lui è solo la «creatura» di un Illusionista. Non è Faust il padrone del gioco, ma Mefistofele. Sì, il Mago è quel «diavolo» a cui Dio ha concesso di fare i suoi giochi di prestigio sull’Uomo.
Col permesso di Dio – il «demone dell’umanità» viene a prendersi gioco di quel solo animale, un po’ speciale, ma molto libidinoso, che è così sciocco da credere nella realtà e nella totalità di pochi frammenti sparsi, solo perché li vede «concentrati» in un’Immagine.

Io la voglio – è la più bella del mondo, perciò la voglio. Lo dice Narciso, e Faust conferma: non posso fare a meno di Lei. E non voglio nessun’altra che Lei – Elena la Bella! Mi basta vedere solo i suoi occhi, e udire solo la sua voce, e fare all’amore solo col suo corpo … per concentrarvi tutti i desideri del mondo.
Così, la volontà, il desiderio «si differenzia», si distingue, si limita, si riduce a una Forma privilegiata, quando non addirittura esclusiva, del suo «oggetto». E più si differenzia, più prende una forma ben definita, e più – senza saperlo – si rimette a un Patto (tra dio e diavolo) che lo trascende.

Quel Patto, e ciò che arcanamente vi è pattuito, è il Signor Nessuno. E il «demone dell’Uomo» non è che un suo Inviato.
Inviato allo scopo di estrarre l’Uomo da quel solo animale così idiota da rincorrere l’immagine dell’oggetto dei suoi desideri, da rinviare cioè a una Forma sempre meglio individuata e concentrata la vastità degli appetiti dei suoi istinti.
Questa «riduzione» risale sì alla Preistoria dell’Uomo, ma – come qui dice Jung – non è roba vecchia e antiquata. Essa è anzi così attuale che la si ritrova in ciascuno di noi. Non si diventa uomini che al prezzo di questa limitazione a pochi frammenti presi a caso dal Molteplice del «Tutto scorre» secondo come altrove «pattuito».

Payne-concentrazione

C’è progresso e conservazione. E già … c’è il Tempo. Anzi, solo il Tempo «è», mentre noialtri siamo solo destinati a scorrere via. E nello scorrere via a domandare la sola cosa che è dato domandare a chi è trascinato dalla corrente: qualcuno o qualcosa che ci dia la forza di non affogare. Qualcuno che ci alimenti, che ci nutra. Non ne possiamo fare a meno. Siamo macchine energetiche. Qualcuno, sempre, ci deve foraggiare. Di tanto in tanto, bisogna perciò che si fermi a qualche «pompa di benzina», e che così dia a Narciso l’illusione di una «stalla» in cui rifocillare le cavalle della sua immaginazione: illusione che solo la sua stessa Immagine concentrata in un volto può sostenere.

Siamo l’unico animale al mondo che s’illude Deo concedente.
Abbiamo da Dio il permesso d’illuderci. Non quello di pretendere.
Jung ha la sua ricetta: bisogna, dice, che i due «fattori» cooperino. Che la tensione all’avvenire, e la rammemorazione del nostro passato «infantile», collaborino all’equilibrio della nostra coscienza.
Peccato, però, che questa nostra coscienza – che questo «possesso» di coscienza, che questa «padronanza» dell’anima, non spetta a noi altro che riceverla illusoriamente in consegna dal Demone che ha da Dio il permesso di prendersi gioco della nostra demenza.

La coscienza è di Nessuno. A noialtri non tocca che l’abbaglio narcisistico, tanto più abbagliante quanto più bella ci sembra Elena, ovvero il corpo dell’altro, sulla cui immagine scommettere per ricomporre nel segno unitario dell’io i frammenti di corpo tra cui rischiano di disperdersi i nostri desideri istintivi.
Se non ci aggrappiamo a quella Forma, non abbiamo più il permesso di Dio: siamo fuori dal gioco «umano». È certo, siamo più «liberi», ma non abbiamo più la tutela di un Dioniso qualunque. Siamo di sicuro più bravi, tanto bravi che non abbiamo più bisogno che del nostro io. Non abbiamo più bisogno di concentrare sull’altro i mille flussi e riflussi dell’onda dei nostri desideri. Ci basta un pezzettino: un ano, una bocca, l’alluce d’un piede. Non sapremmo che farcene di un’Elena tutta intera!
Non è forse già questa, una catastrofe?