… ho nei cieli cinque spiriti che mi tagliano con quaranta coltelli e mi trafiggono con quaranta chiodi
(testo sciamanico altaico)
L’esperienza estatica del corpo fatto a pezzi e del rinnovamento dei suoi organi è attestata presso gli Eschimesi. Essi parlano infatti di un animale (orso, cavallo marino, tricheco, ecc.) che ferisce il candidato sciamano, lo fa a pezzi o lo divora; successivamente una carne nuova cresce intorno alle sue ossa. Talvolta l’animale che lo tortura diviene lo stesso spirito ausiliare del futuro sciamano […].
Da un capo all’altro del mondo, presso gli indigeni di Warburton Ranges (Australia occidentale) l’iniziazione ha luogo nel modo seguente: l’aspirante penetra in una caverna e due eroi totemici (il gatto selvatico e l’emù) lo uccidono, gli aprono il corpo, ne traggono gli organi, che vengono poi sostituiti con sostanze magiche. Gli tolgono anche la scapola e la tibia, che fanno seccare, e prima di rimetterle a posto, le farciscono con le stesse sostanze […].
Anche le iniziazioni degli sciamani siberiani presentano una strettissima analogia con quelle dei medicin-men australiani: nell’uno come nell’altro caso il candidato subisce, da parte di esseri semi-divini o di antenati, un’operazione che comprende lo smembramento del corpo e il rinnovamento degli organi interni e delle ossa, e nell’uno come nell’altro caso questa operazione ha luogo in un «inferno» o implica una discesa agli inferi. […]
Come in Siberia e in Australia, anche nell’America del sud l’iniziazione comporta un rituale più o meno simbolico di morte mistica, enunciato il più delle volte nei termini di uno smembramento del corpo e di un rinnovamento degli organi.
Presso gli Arawak, la scelta generalmente si manifesta con un’improvvisa malattia: il giovane cade «come morto» e quando ritrova le proprie forze, dichiara che diverrà machi. La figlia di un pescatore raccontò a Padre Housse: «Stavo raccogliendo conchiglie tra gli scogli, quando sentii una specie di colpo al petto e, dentro, una voce, ben distinta, che mi diceva: “Fatti machi! È la mia volontà!”. Nello stesso punto violenti dolori alle viscere mi fecero perdere conoscenza. Era evidentemente il Ngnechen, colui che domina gli uomini, che scendeva in me». […]
Motivi analoghi compaiono anche nello sciamanesimo nordamericano. I Maidu della California mettono i candidati in una fossa piena di «medicina» e li uccidono mediante un «veleno-medicina»; grazie a questa iniziazione i neofiti acquistano la facoltà di tener in mano, senza farsi alcun male, pietre arroventate. L’insieme delle cerimonie iniziatiche degli sciamani Pomo della costa ha il nome significativo di «taglio» […].
Uno stregone amazulu [Sudafrica] racconta ai suoi amici che egli ha sognato una corrente che lo trascinava. In sogno gli succedono varie cose. Il suo corpo s’indebolisce e i sogni lo perseguitano. Sogna molte cose e risvegliandosi dice agli amici: «Il mio corpo oggi è spezzato. Ho sognato che molte persone mi stavano uccidendo. Son riuscito a fuggire, non so bene come. Svegliatomi, una parte del corpo provava sensazioni diverse da quelle dell’altra. Il mio corpo non era più lo stesso».
Che si tratti di sogno, di delirio o di rito iniziatico, l’elemento centrale è sempre lo stesso: morte e risurrezione simboliche del neofita, comportanti uno smembramento del corpo eseguito in forme diverse (spezzettamento, taglio, apertura del ventre, fuoriuscita delle viscere, ecc.).
Quella che qui di seguito si legge è la narrazione della prima fase dell’iniziazione di un medicin-man a Malekula [Melanesia]:
Un Bwili di Log-narong ricevette la visita del figlio di sua sorella, che gli dice: «Desidero che tu mi dia qualcosa».
Il Bwili dice: «Ne hai realizzate le condizioni?».
«Sì, le ho realizzate».
Egli chiede ancora: «Hai giaciuto con una donna?».
Il nipote risponde: «No».
Il Bwili dice: «Sta bene», e poi gli ordina: «Vieni qui, stenditi su queste foglie».
Il giovane vi si stese. Il Bwili si fece un coltello di bambù. Tagliò il braccio del giovane e lo pose su due foglie. Ride di suo nipote, e questi gli risponde con uno scoppio di risa.
Allora gli tagliò l’altro braccio ponendolo sulle foglie vicino al primo. Ritorna, e i due ridono di nuovo. Tagliò una gamba all’altezza della coscia e la pose vicino alle braccia. Ritorna e ride, e il giovane lo imita. Allora tagliò l’altra gamba mettendola vicino alla prima. Ritorna e ride. Il nipote rideva sempre.
Infine gli troncò la testa tenendola davanti a sé. Ride, ed anche la testa ride. Dopo di che, rimette la testa a posto. Riprende le braccia e le gambe che aveva tolte e le rimette a posto anch’esse. Poi, il Bwili e il nipote si trasformano in uccelli e prendono a volare.
Presso i Dayak del Borneo, i vecchi manang conducono il neofita in una stanza isolata per mezzo di cortine e, a quel che affermano, là gli tagliano la testa e gli asportano il cervello; dopo averlo lavato, lo rimettono a posto allo scopo di infondere al candidato un’intelligenza limpida, atta a penetrare i misteri degli spiriti malvagi e delle malattie; poi gli introducono dell’oro negli occhi onde dargli una vista così penetrante da poter vedere l’anima, in qualunque luogo essa si trovi, smarrita o errabonda; gli piantano degli uncini alle estremità delle dita per farlo capace di catturare l’anima e di tenerla saldamente; infine gli trafiggono il cuore con una freccia per renderlo pietoso e pieno di simpatia verso coloro che sono malati e soffrono. […]
La giustificazione che si dà al rinnovamento degli organi (conferire un miglior potere di visione, la tenerezza del cuore, ecc.), ove sia autentica, tradisce comunque una dimenticanza del senso originario del rito.
(Eliade, Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi)
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Altro che la dimenticanza di un rito – a essere dimenticata è l’Origine, a essere immersa nelle acque del Lete è l’arkhé (né potrebbe essere altrimenti), dal momento che l’Inizio a cui, non solo lo sciamano, ma ogni bambino è iniziato, è tale solo se non ha più un passato, solo se – come Deucalione e Pirra – se l’è gettato alle spalle.
Il rito non è mai altro che una tardiva rappresentazione dell’Inizio, e della sua emancipazione dal [linguaggio del] Passato. Sempre e soltanto l’impossibile messinscena dell’irrappresentabile. L’Inizio si fonda su una rottura, su una discontinuità (possibilmente marcata) col Passato. Si fonda sulla rimozione delle sue fondamenta. Perciò, l’Inizio non parla più la sua vecchia lingua: ha lasciato che la corrente se la portasse via, per aggrapparsi al nuovo abbiccì simbolico.
In quanto al «rito iniziatico» dello smembramento del corpo, sarebbe quasi l’ora di rovesciare l’ormai stantio ragionamento degli addetti ai lavori, secondo cui si tratterebbe di una cerimonia propria ed esclusiva dello sciamanesimo, donde i casi analoghi di Orfeo fatto a pezzi dalle Baccanti, o di Zagreo smembrato dai Titani, sarebbero anch’essi di provenienza «sciamanica».
È difficile essere più duri di comprendonio. Certe volte si ha l’impressione che i nostri professori si sforzino di non capire con che hanno a che fare.
Non è del corpo di un qualunque neofita delirante che qui si parla. Né si tratta soltanto di un’assurda operazione chirurgica di trapianto.
No, l’argomento è il Corpo, il nostro corpo, il corpo di ciascuno di noi. E il cosiddetto «rito» tardivo e smemorato non è altro che il frammento di un sapiente Racconto antico – per comprendere il quale, abbiamo bisogno oggi di disimparare molte sciocchezze.
Che questo frammento sia stato custodito più facilmente nei cosiddetti ambienti sciamanici, dimostra solamente che noialtri ne abbiamo fatta di strada per arrivare a rendercelo insensato.
Dimostra che ci siamo talmente allontanati dal nostro corpo, da non vedere ciò che pure è evidente: che esso cioè è stato fatto a pezzi, organo per organo, frantumo per frantumo, prima di riuscire a fare il primo passo «umano», ovvero quello di riconoscersi (platonicamente) in una «immagine». Quello di attribuire all’«immagine», alla Forma, alla Gestalt, il potere taumaturgico di radunare il disperso, e di riassumere il molteplice.
È solo nell’Immagine che lo riguarda dallo specchio, che Narciso riesce finalmente a «concentrare» l’Inizio del suo destino umano.