Calvino – Il palazzo delle scimmie

Una volta ci fu un Re che aveva due figli gemelli: Giovanni e Antonio. Siccome non si sapeva bene chi dei due fosse nato per primo, e in Corte c’erano pareri contrastanti, il Re non sapeva chi di loro far succedere nel regno. E disse: «Per non far torto a nessuno, scimmia-elmoandate per il mondo a cercar moglie, e quella delle vostre spose che mi farà il regalo più bello e raro, il suo sposo erediterà la Corona».
I gemelli montarono a cavallo, e spronarono via uno per una strada uno per l’altra.

Dopo due giorni, Giovanni arrivò a una gran città. Conobbe la figliola d’un Marchese e le disse della questione del regalo. Lei gli diede una scatolina sigillata da portare al Re e fecero il fidanzamento ufficiale.
Il Re tenne la scatolina senza aprirla, aspettando il regalo della sposa di Antonio.

Antonio cavalcava e non incontrava mai città. Era in un bosco folto, senza strade, che pareva non avesse mai fine e doveva farsi largo tagliando i rami con la spada, quando a un tratto gli s’aperse davanti una radura, e in fondo alla radura era un palazzo tutto di marmo, con le vetrate risplendenti.
Antonio bussò, e chi aperse la porta?
Una scimmia.

Era una scimmia in livrea da maggiordomo; gli fece un inchino e lo invitò a entrare con un gesto della mano. Due altre scimmie lo aiutarono a scender da cavallo, presero il cavallo per la briglia e lo condussero alle scuderie.
Lui entrò e salì una scala di marmo coperta di tappeti, e sulla balaustra c’erano appollaiate tante scimmie, silenziose, che lo riverivano.

Antonio entrò in una sala dove c’era un tavolo apparecchiato per il gioco delle carte. Una scimmia lo invitò a sedere, altre scimmie si sedettero ai lati, e Antonio cominciò a giocare a tresette con le scimmie. A una cert’ora gli fecero cenno se voleva mangiare. Lo condussero in sala da pranzo, e alla tavola imbandita servivano scimmie col grembiule, e i convitati erano tutte scimmie coi cappelli piumati. Poi, l’accompagnarono con le fiaccole a una camera da letto e lo lasciarono a dormire.

Chagall-sposa-volante

Antonio, sebbene allarmato e stupefatto, era tanto stanco che s’addormentò. Ma sul più bello, una voce lo svegliò, nel buio, chiamando: «Antonio!».
«Chi mi chiama?», disse lui, rannicchiandosi nel letto.
«Antonio, cosa cercavi venendo fin qua?».
«Cercavo una sposa che facesse al Re un regalo più bello di quella di Giovanni, cosicché a me tocchi la Corona».
«Se acconsenti a sposare me, Antonio – disse la voce nel buio – avrai il regalo più bello e la Corona».
«Allora sposiamoci», disse Antonio con un fil di voce.
«Bene: domani manda una lettera a tuo padre».

L’indomani Antonio scrisse al padre una lettera, che stava bene e sarebbe tornato con la sposa. La diede a una scimmia, che saltando da un albero all’altro arrivò alla Città Reale.
Il Re, sebbene sorpreso dell’insolito messaggero, fu molto contento delle buone notizie e alloggiò la scimmia a Palazzo.

La notte dopo, Antonio fu di nuovo svegliato da una voce nel buio: «Antonio! Sei sempre del medesimo sentimento?».
Merriam-scimmiaE lui: «Sicuro che lo sono!».
E la voce: «Bene! Domani manda un’altra lettera a tuo padre».
E l’indomani di nuovo Antonio scrisse al padre che stava bene e mandò la lettera con una scimmia. Il Re tenne anche questa scimmia a Palazzo.

Così ogni notte la voce domandava ad Antonio se non aveva cambiato parere, e gli diceva di scrivere a suo padre, e ogni giorno partiva una scimmia con una lettera per il Re.
Questa storia durò per un mese e la Città Reale, ormai, era piena di scimmie: scimmie sugli alberi, scimmie sui tetti, scimmie sui monumenti.
I calzolai battevano i chiodi con una scimmia sulla spalla che gli faceva il verso, i chirurghi operavano con le scimmie che gli portavano via i coltelli e il filo per ricucire i malati, le signore andavano a spasso con un scimmia seduta sull’ombrellino. Il Re non sapeva più come fare.

Passato un mese, la voce nel buio finalmente disse: «Domani andremo assieme dal Re e ci sposeremo».
La mattina, Antonio scese e alla porta c’era una bellissima carrozza con una scimmia cocchiere montata in serpa e due scimmie lacchè aggrappate dietro. E dentro la carrozza, su cuscini di velluto, tutta ingioiellata, con una grand’acconciatura di piume di struzzo, chi è che c’era?
Una scimmia. Antonio si sedette al suo fianco e la carrozza partì.

All’arrivo alla città del Re, la gente fece ala a quella carrozza mai vista e tutti stavano sbigottiti dalla meraviglia a vedere il Principe Antonio che aveva preso in sposa una scimmia. E tutti guardavano il Re che stava ad aspettare il figlio sulle scale del Palazzo, per vedere che faccia avrebbe fatto.
Il Re non era Re per niente: non batté ciglio, come se lo sposare una scimmia fosse la cosa più naturale del mondo. Disse soltanto: «L’ha scelta, la deve sposare. Parola di Re è parola di Re», e prese dalle mani della scimmia uno scatolino sigillato come quello della cognata.
Gli scatolini si sarebbero aperti l’indomani, giorno delle nozze. La scimmia fu scimmia-piumeaccompagnata nella sua stanza e volle esser lasciata sola.

L’indomani Antonio andò a prendere la sposa. Entrò e la scimmia era allo specchio che si provava l’abito da sposa.
Disse: «Guarda se ti piaccio», e così dicendo si voltò.
Antonio restò senza parola: da scimmia che era voltandosi s’era trasformata in una ragazza bella, bionda, alta e benportante che era un piacere a vederla. Si fregò gli occhi, perché non riusciva a crederci, ma lei disse: «Sì, sono proprio io la vostra sposa». E si buttarono l’uno nelle braccia dell’altro.

Fuori del palazzo c’era tutta la folla venuta per vedere il Principe Antonio che sposava la scimmia, e quando invece lo videro uscire al braccio d’una così bella creatura, restarono a bocca aperta.
Più in là lungo la strada facevano ala tutte le scimmie, sui rami, sui tetti e sui davanzali. Quando passò la coppia reale ogni scimmia fece un giro su se stessa e in quel giro tutte si trasformarono: chi in dama col manto e lo strascico, chi in cavaliere col cappello piumato e lo spadino, chi in frate, chi in contadino, chi in paggio. E tutti fecero corteo alla coppia che andava a unirsi in matrimonio.

Il Re aprì gli scatolini dei regali. Aprì quello della sposa di Giovanni e c’era dentro un uccellino vivo che volava, che era proprio un miracolo potesse esser stato chiuso lì tutto quel tempo; l’uccellino aveva nel becco una noce, e dentro alla noce c’era un fiocco d’oro.
Aperse lo scatolino della moglie di Antonio e c’era un uccellino vivo pure lì, e l’uccellino aveva in bocca una lucertola che non si sapeva come facesse a starci, e la lucertola aveva in bocca una nocciola che non si sapeva come ci entrasse, e aperta la nocciola c’era dentro tutto piegato per bene un tulle ricamato di cento braccia.

Già il Re stava per proclamare suo erede Antonio, e Giovanni aveva già la faccia scura, ma la sposa di Antonio disse: «Antonio non ha bisogno del regno di suo padre, perché ha già il regno che gli porto io in dote, e che lui sposandomi ha liberato dall’incantesimo che ci aveva fatto scimmie tutti quanti!».
E tutto il popolo di scimmie tornate esseri umani acclamarono Antonio loro Re. Giovanni ereditò il Regno del padre e vissero di pace e d’accordo.

Così stettero e godettero
ed a me nulla mi dettero.

(Calvino, Fiabe italiane: 63)