Rendere leggibile Carmelo Bene? ma non ci penso nemmeno! Però, come non farsi perlomeno irritare da quella sua sacrilega e insieme devota «Madonna la piazza»?
Carmelo Bene era pazzo di folla, affamato di esibizione, né più né meno del funambolo di Nietzsche – o, quantomeno, del suo Zarathustra riveduto e scorretto sub specie spectaculi.
Perché è nella forma spettacolare d’un miraggio o di una visione – che la Madonna parla a chi è in ascolto delle sue «plateali» donazioni. È sempre uno «spettacolo» vedere le voci d’una Piazza. Vedere le mille e mille e ancora mille «voci» della folla assiepata ai piedi della Torre da cui «impazzisce» il Profeta di turno, l’aspirante alla santità, che di lassù «delira» la tragedia del conte Ugolino o, peggio, che Dio è morto!
È morto Apollo! adesso, in sua vece, parla la Vergine – adesso «mormora» la Pizia, adesso tocca alla Sibilla dire, e volenti o nolenti è per il suo «dire» che adesso passa la nostra pazzia: Lacan non si stanca di ripeterlo ai seminaristi – è perché abbiamo visto, da bambini, la Confusione, è perché l’abbiamo immaginata, ne abbiamo cioè «prelevato» un miraggio, un abbaglio, il nostro proprio abbaglio narcisistico, è perciò che adesso dobbiamo passare per il «dire» di un Oracolo riconosciuto dal Popolo, se vogliamo «svenire» al nostro narcisismo. Dobbiamo pubblicarlo, per andare oltre il nostro «io».
Il chiasso, la confusione, la babele è la parola della Madonna – solo dinanzi allo «spettacolo» di un pazzo, di un poeta o d’un saltimbanco, la Madonna tace all’unisono (allora, la folla è presa in una superstizione) per dispensare visioni e immaginazioni troppo «arcaiche» per essere riducibili alle parole, perfino a quelle del Sommo Poeta.
Solo intimidito dai marchingegni di una spettacolarità, il baccano tace, cede, si rende a un «religioso silenzio» … e tutti a sentire cosa a ciascuno profetizza la Pizia, dall’alto del suo pulpito.
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Gli Ateniesi si trovavano dunque in queste condizioni, ma in seguito ai suddetti avvenimenti i Tebani mandarono a interrogare il dio, poiché volevano vendicarsi. La Pizia sentenziò «che da soli essi non bastavano a se stessi, che tornassero pure a riferirlo all’assemblea confusa /es polúphemon (ες πολύφημον)/: essi avevano bisogno dei vicinissimi /tón ánchista».
Quando i messi che erano andati a consultare l’oracolo furono tornati, riferirono all’assemblea il responso; e, quando appresero dalle loro parole di dover chiedere aiuto ai «vicinissimi», i Tebani dissero: «Non abitano forse più prossimi a noi i Tanagrei e i Coronei e i Tespiesi? Ed essi combattendo sempre di buon animo al nostro fianco ci sostengono nelle guerre. Perché dunque chiedere il loro aiuto [se già ce l’abbiamo]? Bisogna piuttosto vedere se sia proprio questo quel che intende l’oracolo».
(Erodoto, Storie, 5: 79)
L’assemblea dei Tebani era discorde (polýphemos): il Popolo non sapeva che pesci pigliare. Perciò manda qualcuno a consultare l’Oracolo. Perché solo l’Oracolo può aiutarlo a uscire dall’impasse.
È la piazza in difficoltà, è il rumor della Piazza impotente ad ascoltare Se Stessa, che fa della Pizia la sua «Madonna»: parlaci, le chiedono, per favore parlaci, perché così non si può più andare avanti. E la Madonna la Pizia «risponde» al caso: /es polýphemon/ a chi è prigioniero della Voce di popolo, a chi è intrappolato nella Confusione, a lui la Pizia manda a dire che la sola via di uscita che gli rimane, è ricorrere all’aiuto dei «vicinissimi».
Questi «vicinissimi» però non sono i «confinanti»: i Tebani non faticano a comprenderlo, dal momento che i «confinanti» già sono loro alleati. Ma allora, si domandano, qual è il senso del Responso? Di quale vicinanza parla?
Ecco, per comprenderlo, ai Tebani sarebbe servito, eccome, un saltimbanco che «saltasse» alla Kierkegaard di palo in frasca, dal finito all’infinito, andata e ritorno, dal sapere al non-sapere.
Di sicuro, non avrebbe perso tempo a cincischiare con la «lettera» delle parole del conte Ugolino. Dal suo «dire» avrebbe anzi preso subito lo spunto per «tradire» ogni senso letterale, per andare oltre a ricreare quel «nulla di senso» da cui soltanto, dice Carmelo Bene, la Madonna ci appare.
La Madonna che parla ai nostri orecchi – appare ai nostri occhi. Ci fa vedere le sue voci! Così avrebbe detto ai Tebani il saltimbanco, il pazzo, il visionario – se solo l’avessero consultato tre millenni dopo.
Avrebbe detto che gli orecchi afflitti dalle mille confuse voci della Piazza «da soli non ce la faranno mai», che gireranno in eterno a vuoto nel Paese dei (Balocchi) significati, senza mai giungere a dare loro un senso compiuto. E avrebbe, in conclusione, consigliato loro di «ricorrere all’aiuto dei vicinissimi»: di farsi dare cioè una mano dagli occhi!
Mettere a tacere la Piazza, far parlare la sua Madonna – far parlare la «mia donna» nella sua Lingua (non è quello che ha fatto Dante?) – ma solo per ripristinare, per tornare a balbettare il «nulla di senso» da cui si vedono le sue voci.
Restituire la Parola alla Visione – ricondurre il linguaggio simbolico alla sua fonte immaginale. Questo raccomanda la Pizia, tre millenni prima di Lacan.
Raccomanda la trasparenza del suo stesso dire – raccomanda l’oltraggio al senso apparente di quel che Si dice. Di quel che Madonna la Piazza «dice», quando il suo vociare polýphemos, per riverenza al suo giullare, si tace. E tacendo – non aggiungendo altre chiacchiere alle chiacchiere – lascia ai «vicinissimi», agli occhi (illuminati dal loro demone, dice Parmenide), venir via dalle Vertigini e «trovare» l’Immagine che le «assoggetta».
Rendere teatrale un Soggetto come Carmelo Bene? macché, non me lo sogno nemmeno!
In fondo, è come dice lui: ci sono cretini che hanno visto Parmenide danzare in quel di Casalvelino, e cretini che l’hanno soltanto udito …
Cretini che l’hanno sentito parlare dell’Essere che è, e cretini che invece l’hanno visto rincorrere l’Immagine, la sua Immagine, su e giù per la via di Polifemo, ai piedi degli Asinelli. Ancora tremila anni, o giù di lì, dopo l’incontro «visionario» col demone della sua pazzia.