Zhuang-zi – L’arte di vivere

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Zi-gong, dopo essersi recato nel principato di Chu, tornava verso quello di Jin. Passando a sud del fiume Han, vide un vecchio intento a lavorare il suo orto. Quell’uomo scendeva lungo un tunnel fino al pozzo, ne usciva con la giara colma d’acqua e la vuotava nei canaletti delle sue aiuole. Lavoro faticoso e di scarso risultato.

Zi-gong gli chiese: «Se aveste una macchina che riuscisse a irrigare cento aiuole al giorno, non vorreste servirvene?».
«Com’è fatta?», chiese il giardiniere levando lo sguardo su Zi-gong.
«È una macchina di legno cavo, pesante dietro e leggera davanti, con la quale si tira su l’acqua come si potrebbe far con la mano, ma così velocemente che l’acqua trabocca ribollendo dal secchio: questa macchina si chiama Pozzo a bilanciere».

Il giardiniere si adirò, cambiò colore e con scherno disse: «Ho imparato questo dal mio maestro: chi si serve di macchine, usa dei meccanismi e il suo spirito si meccanizza. Chi ha lo spirito meccanizzato non possiede più la purezza dell’innocenza e perde la pace dell’anima. Non ignoro i pregi di questa macchina, ma avrei vergogna a servirmene».
Confuso, Zi-gong abbassò il capo e non replicò.

Un istante dopo, il giardiniere gli chiese: «Chi siete, dunque?».
«Un discepolo di Kong-zi», rispose Zi-gong.
«Non siete per caso – disse il giardiniere – uno di quelli che si servono del loro vasto pozzo-bilancieresapere per cercare di passare per Santi, che adulano il popolo per meglio dominarlo e che vogliono consolidare la loro fama, commiserandolo senza posa? Rinunciate alla vostra intelligenza e abbandonate il vostro corpo e forse potrete ritrovare voi stesso. Se siete incapace di governare voi stesso, come potete pretendere di governare il mondo? Ora, andatevene e lasciatemi lavorare».

Zi-gong, umiliato, si curvò, pallido dall’emozione. Non poté riprendersi subito. Non si rimise che dopo aver percorso trenta li.
I suoi discepoli gli domandarono: «Chi era quell’uomo col quale poco fa vi siete intrattenuto? Perché il vostro viso ha cambiato colore? Come mai non vi siete rimesso in tutta una giornata?».

«Finora – disse Zi-gong – credevo che al mondo non vi fosse che un uomo! [Kong-zi]. Perché ancora non conoscevo costui. Il mio maestro mi diceva: “Ogni azione deve adattarsi alle circostanze, ogni opera deve tendere al successo. Col minimo sforzo ottenere il massimo dei risultati, tale è la via del Santo”. La dottrina di quest’uomo non somiglia affatto a quella del mio maestro; solo chi si affida al Tao conserva intatta la propria virtù. L’integrità della sua virtù assicura quella del suo corpo, e quella del suo corpo assicura quella del suo spirito. L’integrità dello spirito è la via del Santo. La sua vita è un passaggio come quella di tutti gli uomini: non sa dove va e la sua purezza è perfetta. Ma chi, per i propri interessi, fa un abile uso di macchine non conforma la propria vita interiore a quella di quest’uomo. L’uomo che ho appena visto non ha altra guida all’infuori della propria volontà; agisce seguendo unicamente l’impulso del suo cuore. Se il mondo intero lo loda, egli non si esalta; se il mondo intero lo condanna, egli non si abbatte. In breve, elogio e biasimo non possono modificare la sua condotta. Un uomo simile conserva intatta la propria virtù. Quanto a me, io sono ancora soltanto uno di quelli che l’opinione altrui influenza come il vento agita le onde».

Quando Zi-gong ebbe fatto ritorno nel principato di Lu, raccontò la sua avventura a Kong-zi, che gli disse: «Quell’uomo interpreta erroneamente l’arte di vivere che si praticava ai tempi dell’indistinzione primordiale. Ne conosce soltanto un aspetto. È padrone della sua vita interiore, ma non del suo mondo esteriore. Uno che conoscesse la propria innocenza, uno che avesse ritrovato la propria semplicità originaria praticando il non-agire e abbracciasse la propria natura, che serbasse la sua anima originaria e tuttavia vivesse fra gli uomini, potrebbe sorprenderti? L’arte di vivere che si praticava ai tempi dell’indistinzione primordiale, come potremmo esser degni di conoscerla, io e te?».

(Zhuang-zi, 12)