Bretagna – Artù scopre il suo «disonore»

La ferita era così profonda e pericolosa, che Lancillotto rimase un mese tra la vita e la morte. Infine cominciò a sentirsi meglio e presto ritrovò tutta la propria bellezza: tanto che Passarosa, che lo vegliava giorno e notte, non seppe più resistere.
Un giorno andò da lui, adornata come meglio aveva potuto: «Signore – disse – non Eleanor Fortescue-Brickdale http:/www.tuttartpitturasculturapoesiamusica.com;sarebbe scortese il cavaliere che pregassi d’amore e che mi rifiutasse?».
«Damigella, lo sarebbe se avesse il cuore libero; ma, altrimenti, nessuno lo dovrebbe biasimare se vi respingesse. E vi dico questo per me, ché, se voi foste davvero presa della mia persona e se io fossi padrone di me come lo sono di se stessi molti cavalieri, certamente mi riterrei felice: mai ho visto damigella più amabile di voi».

«Come, signore? non potete disporre del vostro cuore a vostra volontà?».
«Faccio invero ciò che voglio, damigella, perché esso è là dove io voglio che sia. E in alcun altro luogo potrebbe essere meglio riposto che in quello in cui l’ho messo. A Dio non piaccia che se ne fugga: ché non saprei vivere un sol giorno di più!».
«Ahimé, signore, basta così! perché non mi avete parlato meno apertamente! Mi avreste donato un languore pieno di speranza, e la speranza mi avrebbe fatta vivere lasciandomi qualche gioia. Sappiate che, dal giorno in cui vi vidi, vi amai più che donna amò mai. Non posso più bere, né mangiare, né dormire, né riposare; non so più che soffrire notte e giorno. Solo con la morte il mio cuore potrà strapparsi da voi!».

Detto ciò, ella andò a trovare il fratello e gli confidò che amava il ferito fino a morirne.
«Sorella – le disse egli tutto dolente – anche se siete una delle pulzelle più belle del mondo, bisogna che poniate il vostro cuore più in basso, ché non potreste cogliere il frutto d’un albero sì alto».
Ma ella andò a distendersi sul letto, da cui non uscì che morta, come più avanti dirà il racconto.

Lasciata Camelot, intanto Estor, Bohor e Lionello andarono direttamente a Escalot, dove pensavano d’avere notizie del loro signore. Il valvassore li alloggiò e, quando entrarono nella camera dov’era appeso lo scudo di Lancillotto, essi lo riconobbero per certo: era l’ultimo che gli avevano fatto fare.
«Bell’ospite – disse Lionello – vi scongiuro per ciò che più amate di rivelarci dove si trova ora il cavaliere che lasciò qui lo scudo. E se non volete dircelo per le nostre preghiere, siate certo che vi daremo battaglia e vi nuoceremo quanto potremo».
«Se è per il suo bene che lo cercate, vi indicherò dov’è. Altrimenti, nessuna minaccia mi Passarosa-scudocostringerà».
«In nome di tutto quello che viene da Dio, vi giuro che siamo coloro che l’amano di più al mondo!».

Allora il valvassore disse loro che egli era dalla sorella, non lontano da Winchester. E l’indomani diede loro come guida il figlio maggiore, di modo che la sera stessa essi arrivarono al maniero della dama.
Quando Lancillotto li vide entrare nel cortile, non domandate se ne fu felice! Corse ad abbracciarli, ché poteva camminare abbastanza bene, ma non ancora cavalcare. Ed essi gli chiesero se si sarebbe ristabilito presto.
«Tra breve – rispose – se piacerà a Dio. Ma la ferita era sì profonda che sono stato a lungo in pericolo di morte, e se potessi conoscere il cavaliere che me l’ha inferta e ritrovarlo in qualche torneo, sentirebbe che la mia spada è capace di fendere un giaco d’acciaio».

A queste parole, Bohor si mise a ridere e a battere le mani, e disse a Lionello: «Si vedrà dunque come vi comporterete, ché colui con cui avrete a che fare non è il più codardo del mondo!».
«Ahimé, bel signore – disse Lionello tutto dolente al cugino – eravate camuffato da novello cavaliere, voi che portate le armi da più di venticinque anni, sì che non vi avevo riconosciuto!».

Lancillotto rispose a Lionello che, dal momento che era così, non gli avrebbe serbato rancore della ferita ricevuta.
«Bel signore – fece allora Estor – sappiate che mi avete fatto provare l’acciaio della vostra lancia in un momento in cui non lo desideravo affatto!».
Ragionarono così con grande letizia del torneo di Winchester e d’altro, e restarono dalla zia dei due cavalieri d’Escalot tutta la settimana, sì che infine Lancillotto si trovò guarito. Allora volle ritornare a corte, ché Lionello non aveva osato ripetergli le crudeli parole che la regina aveva detto di lui. Ma qui il racconto torna a re Artù.

Tornando da Tanneburg dov’era andato a trovare il duca di Cambenic, re Artù si smarrì coi suoi cavalieri nella Foresta Perduta.
Calava la notte: si cominciavano a montare le tende e i padiglioni, quando, in lontananza, si udì suonare un corno. Sagremor l’Impetuoso era già saltato a cavallo, e in capo a poco tempo tornò a dire che a qualche distanza si ergeva un piccolo castello ricco di merli e chiuso da buone mura, alte e spesse.
In realtà, il re e le sue genti furono meravigliati dalla bellezza della fortezza. Il ponte era re-Artù-cavalloabbassato, la porta spalancata; nel cortile brillavano mille torce e ceri; e non v’era muro che non fosse tappezzato di seta: mai chiesa fu similmente addobbata di parati!

La dama del castello attendeva nella sala, circondata dai suoi cavalieri e dalle damigelle, che erano vestiti a meraviglia. E nel momento in cui il re entrò, tutti e tutte gridarono a una sola voce: «Sire, siate il benvenuto! Benedetta la strada che vi condusse qui!».
Ora, la dama era Morgana la Sleale, e in quel maniero aveva tenuto prigioniero Lancillotto per due inverni e un’estate, quando era uscito dal Castello Avventuroso, come ha detto il racconto a tempo e luogo.
Il re le mostrò la più grande gioia, ché ella era sua sorella, figlia di Igerne e del duca di Tintagel, ed egli l’aveva creduta morta e trapassata dal mondo.

Ella lo condusse in una camera dove l’attendeva un bagno caldo, colato due volte, profumato di buone erbe. E quando le pulzelle ebbero ben massaggiato il re, gli fecero indossare un abito di scarlatto e lo ricondussero nella camera tappezzata di drappi di seta e giuncata di menta e di gladioli, dove lo fecero sedere su una sedia ricca e bellissima, davanti alla tavola apparecchiata.
Ognuno vi prese posto, poi fu portato di che lavarsi e due belle dame vennero a tenere le maniche del re; dopo di che le damigelle cominciarono a presentare le portate […].

Quando re Artù ebbe mangiato e bevuto a volontà, in una camera vicina si fecero udire degli strumenti, che suonavano tutti insieme e con tale dolcezza che mai egli aveva ascoltato una melodia sì piacevole. Infine entrarono due belle damigelle, che portavano ceri accesi in candelieri d’oro; ed esse andarono a inginocchiarsi davanti al re e dissero: «Sire, se questo fosse il vostro piacere, sarebbe tempo di riposare, ché la notte è già avanzata e oggi avete tanto cavalcato che siete davvero stanco, a quel che crediamo».
Il re si levò, ed esse lo condussero proprio nella camera dove era stato a lungo imprigionato Lancillotto e dove questi, per distrarsi, aveva dipinto tutte le proprie cavallerie e gli amori con la regina Ginevra. E dopo che l’ebbero svestito, il re si coricò e s’addormentò.

Morgana-Stonehenge

Al mattino, sul far dell’alba, Morgana entrò e aprì la finestrella. Il re saltò giù dal letto, s’infilò brache e camicia e corse ad abbracciarla. Allora ella gli chiese in dono di restare presso di lei vari giorni; ella avrebbe vegliato a che il re si trovasse a proprio agio come nella migliore città del suo regno. Ed egli glielo accordò.
«Dolce sorella, poiché piace a Dio che io vi abbia ritrovata – aggiunse – vi porterò con me. Farete compagnia alla regina Ginevra, mia moglie, ed ella ne sarà felice».
«Bello e dolce fratello, non verrò mai alla vostra corte, ché vi accade ciò che non vorrei vedere. Mi ritirerei piuttosto nell’isola di Avalon, ove vanno le dame che conoscono gli incantamenti».

Così parlava Morgana, poiché odiava a morte la regina dal corpo leggiadro. E proprio in quell’istante, il sole colpì la camera in ogni parte, tanto che il re cominciò a notare le immagini che un tempo Lancillotto aveva dipinto sui muri. Ed egli conosceva tante lettere da poter ben leggere gli scritti che Lancillotto aveva tracciati sotto le pitture, sì che seppe come il cavaliere bianco fosse rimasto abbagliato dalla bellezza della regina, appena l’ebbe vista a Camelot; poi tutto quel che egli aveva fatto per amore di lei, e come ella gli avesse donato un bacio nel Prato degli Arboscelli, e perché le due parti dello scudo spezzato si fossero ricongiunte dopo la notte che essi avevano trascorso insieme alla Rocca dei Sassoni, e come una parola da lei pronunciata l’avesse fatto uscir di senno, Ginevra-fiorie tutti i loro amori, e tutte le sue prodezze: di modo che in un istante il re seppe quel che non aveva mai saputo.

«Per l’anima mia – disse a mezza voce – se queste immagini sono vere, Lancillotto mi ha disonorato con mia moglie! Dolce sorella, per la fede che mi dovete, vi chiedo di dirmi cosa rappresentino queste pitture».
«Ah! sire – rispose Morgana la Sleale – cosa mi domandate! Non sapete che Lancillotto ama la regina Ginevra e che per lei compì tutte le cavallerie che vedete qui dipinte? Languì a lungo, come colui che non osa scoprire il proprio cuore. Ma, dopo l’assemblea di Galore, si legò con Galeotto, il figlio della bella gigantessa, con cui vi fece fare pace, come mostra questa immagine. Galeotto s’accorse che egli aveva perso il desiderio di bere e di mangiare tanto amava la sua dama, e sì pregò la regina che ella si dette a Lancillotto: fu preso d’amore per un bacio; questa pittura mostra in qual modo».

«Basta! Non chiedo altro. Capisco il mio disonore e il tradimento di Lancillotto. Chi ha dipinto queste immagini?».
«Lancillotto stesso, di sua mano», disse Morgana.
E raccontò come l’avesse tenuto prigioniero per un anno e mezzo, come egli fosse fuggito spezzando le sbarre con la forza più d’un diavolo che d’un uomo.
Il re intanto guardava le pitture: «Mio nipote Agravain – mormorò infine – m’ha detto ciò l’altro giorno, ma io non l’ho creduto affatto. Se Lancillotto mi disonora con mia moglie, tanto farò che lo coglierò sul fatto, e allora mi prenderò su di essi una vendetta tale che se ne parlerà per sempre, oppure non porterò mai più corona».
«Se voi non vendicaste la vostra onta, Dio e il mondo dovrebbero biasimarvi», rispose Morgana.

Per tutt’e sette i giorni che il re trascorse presso di lei, ella non cessò di esortarlo, ché odiava Lancillotto, sapendo che la regina l’amava. E, affinché nessuno entrasse nella camera delle immagini, il re ne fece murare la porta; ma ora il racconto lascia quest’argomento e torna a Lancillotto, che cavalca in compagnia dei suoi verso la città di Camelot.

camera-immagini

La regina, che era a una delle finestre del palazzo, li vide smontare nel cortile e, mentre essi salivano i gradini della sala, ne uscì e si precipitò in una camera in cui Bohor la trovò seduta su un letto, con l’aspetto di donna corrucciata.
E quando egli l’ebbe salutata ed ella gli ebbe augurato il benvenuto: «Signora – le disse – vi riconduciamo monsignor Lancillotto, che da lungo tempo era lontano da qui».
«Non posso vederlo».
«Ah! signora, perché?».
«Non ho occhi che permettano di guardare Lancillotto, né cuore che consenta di parlargli».
«L’odiate dunque sì forte?».
«Mai l’ho amato quanto oggi lo odio».

«Signora, al mondo non v’è che una cosa che messere mio cugino tema: è il vostro corruccio e, se egli conoscesse le parole che mi avete dette, non arriverei in tempo a impedirgli di uccidersi per il dolore. Del resto, un valentuomo che ami d’amore per lungo tempo finisce sempre per essere disonorato […]. Non sono trascorsi cinque anni da che Tristano, il nipote di re Marco, amò sì lealmente Isotta la Bionda e mai in vita le fece torto, da morire per lei. Farete peggio voi che potete ben vedere che Lancillotto è il Lancillotto-vetratacavaliere più bello del mondo, il più prode, il più ardito, il più nobile. Col suo corpo farete perire tutte le grazie per le quali si conquista l’onore nella vita terrena. Ah! strapperete il sole di tra le stelle e da questa terra il fiore della cavalleria! E tale sarà il bene che al nostro lignaggio verrà dai vostri amori!».

«Bohor – rispose la regina – se avvenisse ciò che voi dite, nessuno ne avrebbe da perdere quanto me, ché io vi lascerei il corpo e l’anima. Perciò andate, ché non avrete altra risposta».
Allora Bohor la lasciò e tornò da Lancillotto: «Signore – gli disse dopo averlo preso da parte – è mio parere che abbandoniamo questa città. La regina vostra signora nega l’ospitalità a voi e a tutti coloro che venissero da parte vostra».
Poi raccontò come la regina Ginevra si fosse offesa nel sapere che egli aveva portato la manica di una dama al torneo di Winchester, e come avesse detto che egli non avrebbe mai più trovato amore in lei. E Lancillotto ne fu sì sopraffatto, che rimase a lungo senza pronunciar parola.

«Amore – esclamò infine – questa è la ricompensa che si riceve per averti servito! Dovessi anche non parlare mai più con la mia dama, se ella mi avesse perdonato, me ne andrei con minor tristezza; ma, conoscendo il suo corruccio e il suo odio, ahimé!, non potrò resistere a lungo! Bel cugino, consigliatemi, ché non so cosa fare di me stesso!».
«Signore, se poteste tenervi lontano da lei, non passerebbe un mese senza che ella vi facesse cercare. Girovagate per questo paese, partecipate ai tornei, e trastullatevi il meglio possibile. Intorno a voi avete gran parte della vostra parentela, che ovunque andiate vi farà bella e nobile compagnia».

«Ah!, non mi curo di compagnia! Porterò con me un solo scudiero».
«Ma se vi accadesse sventura, come lo sapremmo?».
«Colui che finora mi ha protetto non permetterebbe che voi l’ignoraste».
E senza altre parole, Lancillotto fece dire alle sue genti che doveva partire per una bisogna e che voleva portar con sé un solo valletto di nome Anguis.
«Signore – gli dissero – non mancate di trovarvi a tempo debito al torneo di Camelot».
Egli tuttavia non volle prometterlo e, dopo averli raccomandati a Dio, si separò dai suoi amici carnali. E anch’essi lasciarono la corte già dall’indomani.

(La morte di Artù, 7-10)