La questione non è se un mito riguardi il sole o la luna, il padre o la madre, la sessualità o il fuoco o l’acqua, ma si tratta sempre di circoscrivere e caratterizzare approssimativamente un nucleo di significato pre-cosciente.
Il senso di questo nucleo non è mai stato, né sarà mai cosciente. Esso fu sempre e sarà sempre soltanto interpretato, e ogni interpretazione che si avvicini alquanto al senso recondito (o, parlando dal punto di vista dell’intelletto scientifico, al non-senso, il che, in fondo, non fa differenza), non solo pretende per sé un’assoluta verità e validità, ma nello stesso tempo anche rispetto e devozione religiosa.
Gli archetipi furono e sono forze vitali psichiche che pretendono di essere prese sul serio e anzi, nella maniera più singolare, provvedono anche a farsi valere.
Essi erano sempre garanti di protezione e salvezza, e l’offesa recata ad essi porta la conseguenza ben nota dalla psicologia dei primitivi, dei perils of the soul. Essi sono, infatti, moventi infallibili dei disturbi neurotici e anche psicotici, dato che essi si comportano esattamente come gli organi del corpo o i sistemi funzionali organici trascurati o lesi.
Ciò che un contenuto archetipico sempre esprime è, anzitutto, una similitudine. Se esso parla del sole, identificandolo col leone, col re, con l’oro custodito dai draghi, o con la vitalità e la salute degli uomini, esso non è né l’uno né l’altro, bensì un terzo ignoto che può essere espresso più o meno adeguatamente per mezzo di tutte quelle similitudini, ma che – a eterno dispetto dell’intelletto – rimane fatalmente ignoto e indefinibile.
L’intelletto scientifico finisce perciò sempre col darsi delle arie illuministiche e spera di liquidare una volta per tutte lo spettro.
Se i suoi sforzi si chiamavano evemerismo, apologetica cristiana o illuminismo in senso più stretto, o positivismo, questi non erano, in fondo, che altrettante nuove vesti sorprendenti del mito che secondo la buona regola antica si spacciavano da soluzione definitiva.
In realtà, non ci si libera della base archetipica in modo legittimo, a meno che non si sia disposti a prendere in cambio una nevrosi, come non si può liquidare, senza commettere suicidio, il corpo o i suoi organi vitali.
Ora, se gli archetipi non si possono dominare o neutralizzare, vuol dire che ogni nuovo grado di differenziazione della coscienza culturale deve misurarsi col compito di trovare una nuova interpretazione adeguata a quel nuovo grado raggiunto, e precisamente per poter ricollegare la vita passata vivente ancora in noi con la vita presente che minaccia di staccarsene.
Se ciò non avviene, si produce una coscienza sradicata, disorientata nei riguardi del passato, completamente alla mercé di ogni suggestione, vale a dire praticamente disposta a soccombere alle epidemie psichiche.
Insieme col perduto passato, diventato in tal modo «insignificante», svalutato e non più rivalutabile, va perduto anche il salvatore, perché il salvatore è sempre o l’insignificante stesso o nasce dall’insignificante.
Nella metamorfosi degli dèi, egli nasce sempre annunciatore o primo frutto di una nuova generazione e si presenta, inatteso, in luoghi inverosimili (nascite dalla pietra, dall’albero, dall’acqua, ecc.) e sotto un aspetto equivoco (nano, omuncolo, bambino, animale, ecc.).
Questo archetipo del «dio fanciullo» è straordinariamente diffuso e intimamente connesso con ogni altro aspetto mitologico del motivo del bambino.
È quasi inutile accennare al Bambino Gesù ancora vivo fra di noi, che nella leggenda di san Cristoforo mostra anche il tipico aspetto del «più piccolo del piccolo e più grande del grande».
Nel folklore, il motivo del bambino appare nelle figure di nano o di elfo, espressioni di recondite forze della natura.
A questa sfera appartiene anche la figura dell’anthrôparion della tarda antichità, l’ometto di metallo che fin nel tardo Medioevo animava sia le miniere, sia i metalli alchimistici, e rappresentava soprattutto Mercurio rinato in forma perfetta (come Ermafrodito o come filius sapientiae o infans noster).
Grazie all’interpretazione religiosa del «fanciullo», ci sono rimaste anche alcune testimonianze dalle quali risulta che il fanciullo non era soltanto una figura tradizionale, ma anche visione spontaneamente vissuta (cosiddetta «irruzione dell’inconscio»).
Rammento la visione del «putto denudato» in Mastro Eckhart e il sogno di Fra Eustachio. Interessanti resoconti di simili esperienze spontanee si trovano anche nei racconti inglesi di spettri, in cui si rammenta la visione di un «Radiant Boy» visto, a quanto si afferma, in un luogo dove c’erano ruderi romani.
Questa figura è rammentata come portatrice di malaugurio. Sembra quasi che si tratti di una figura di puer aeternus diventato nocivo per «metamorfosi», condividendo così il destino degli dèi antichi e germanici, diventati tutti «spiriti maligni».
Il carattere mistico dell’esperienza è confermato anche dalla II parte del Faust di Goethe, in cui Faust stesso si trasforma in bambino e viene accolto nel «Coro dei fanciulli beati»: ciò come «fase larvale» del Doctor Marianus.
Nel singolare racconto L’impero senza spazio di Bruno Goetz una figura di puer aeternus, di nome Fo (= Buddha) appare insieme con interi cori di «fanciulli infelici» di carattere nefasto. (È meglio astenersi dal commento di contemporanei). Ricordo questo caso solo per accennare alla sempre permanente vitalità dell’archetipo.
Nel campo della psicopatologia il motivo del fanciullo non è raro. Presso le donne alienate è frequente l’allucinazione del bambino che, di regola, viene interpretato in senso cristiano.
Ricorrono anche homunculi, così nel noto caso Schreber dove essi si presentano in schiere e tormentano l’ammalato.
Le manifestazioni più chiare e significative del motivo del fanciullo si trovano però, nella terapia delle nevrosi, in quel processo di maturazione della personalità, provocato per mezzo dell’analisi dell’inconscio che io ho denominato «processo di individuazione».
Si tratta, in questi casi, di processi pre-coscienti che, in forma di fantasie più o meno modellate, passano direttamente nella coscienza o diventano coscienti in forma di sogni o, infine, per mezzo del metodo dell’«immaginazione attiva».
Questo materiale contiene abbondanti motivi archetipici, fra i quali è frequente il motivo del fanciullo. Spesso il fanciullo è plasmato sul modello cristiano, ancor più spesso però si sviluppa da gradi preparatori assolutamente non-cristiani, e precisamente da animali inferi, come coccodrilli, draghi, serpenti o scimmie.
Di frequente, il bambino appare nel calice d’un fiore, esce da un uovo d’oro o sta nel centro di un mandala. Nei sogni egli figura spesso come il figlio o la figlia, giovinetto o vergine, talvolta di origine esotica, cinese, indiana, di pelle scura, oppure anche con carattere cosmico, fra le stelle, o come figlio di re o di streghe, con attributi demoniaci.
Caso specifico del motivo del «tesoro difficilmente accessibile», il motivo del fanciullo è estremamente variabile e assume tutte le forme possibili, come quella della pietra preziosa, della perla, del fiore, del vaso, dell’uovo d’oro, della quaternità, della sfera d’oro, ecc. Esso risulta quasi illimitatamente sostituibile con queste e simili immagini.
(Jung, La psicologia dell’archetipo «fanciullo», in Jung-Kerényi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia)