Si racconta che la figlia di un certo sultano si era innamorata di uno schiavo negro, che le tolse la verginità, e che da quel giorno divenne talmente avida del piacere carnale, che non poteva resistere neppure un’ora senza goderne. Rivelò il suo stato ad una delle sue cameriste, che le disse: «Nessuno è più resistente dello scimmione a questo lavoro».
Ora avvenne che un ammaestratore di scimmie passò sotto la sua finestra con uno scimmione; essa si tolse il velo dal viso e fissando l’animale gli ammiccò con gli occhi. Lo scimmione spezzò la sua catena e salì fino a lei.
Lo teneva nascosto in casa; la bestia mangiava, beveva, e si accoppiava con lei giorno e notte.
Il padre se ne accorse e la voleva ammazzare, ma essa ne ebbe sentore, si vestì da mammalucco, salì a cavallo, prese con sé un mulo carico d’oro, metalli preziosi e stoffe di pregio indescrivibile, si portò dietro lo scimmione e andò finché giunse al Cairo.
Qui abitava in una casa sull’orlo del deserto, e ogni giorno comprava carne da un giovane macellaio, ma andava da lui soltanto nel pomeriggio, con la faccia terrea e stravolta, tanto che il giovane diceva fra sé: «Sicuramente questo mammalucco nasconde qualche cosa di singolare».
Una volta che venne come al solito a comprare carne, la seguì senza lasciarsi vedere. E questo è il suo racconto.
Continuai a tenerle dietro senza che mi vedesse, da un luogo all’altro, finché giunse a casa sua, sull’orlo del deserto. Entrai appresso a lei, la osservai da un angolo e la vidi accendere il fuoco, cuocere la carne, mangiare a sazietà e dare il resto allo scimmione che aveva con sé, il quale anche lui si saziò.
Poi essa si tolse l’abito maschile che portava, indossò il più splendido dei vestiti femminili che aveva. A questo punto compresi che era una donna. Poi preparò il vino, ne bevve e ne versò da bere allo scimmione, che le fu sopra e si accoppiò con lei una decina di volte, finché essa svenne. Allora lo scimmione distese sul suo corpo una coperta di seta e si ritirò nella sua cuccia.
Io mi feci avanti, e lo scimmione, appena si accorse della mia presenza, avrebbe voluto sbranarmi, ma io rapidamente, con un coltello che avevo, gli squarciai il ventre. La fanciulla tornò in sé, spaventata e atterrita, e vedendo lo scimmione in quello stato gettò un urlo terribile, quasi stesse per render l’anima, poi ricadde svenuta.
Quando riprese i sensi mi disse: «Perché hai fatto questo? Ora, per Dio, devi farmi fare la stessa fine!».
Ma io la presi con le buone, promettendole che avrei fatto quel che faceva lo scimmione, quanto a frequenza di coiti, finché mise l’anima in pace e me la sposai.
Però non fui capace di mantenere la promessa, me ne mancarono le forze, non ci resistevo. Mi lamentai del mio stato con una certa vecchia, raccontandole che donna fosse mia moglie, e la vecchia si impegnò ad accomodare la faccenda, e disse: «Bisogna che tu mi porti una pentola piena di aceto vergine ed un rotl di legno piretro».
Le portai questa roba, che pose nella pentola a bollire, forte e a lungo. Poi mi ordinò di congiungermi con la donna, e io mi diedi da fare finché cadde svenuta. La vecchia la sollevò, prima che riprendesse conoscenza, e la pose a sedere sulla pentola; quando il fumo le penetrò nei genitali, ne cadde giù qualche cosa. Osservai: erano due vermi, uno nero e uno giallo.
Mi disse la vecchia: «Il primo è nato dalla congiunzione con lo schiavo e l’altro dalla congiunzione con lo scimmione».
Quando mia moglie riprese i sensi, restò un pezzo senza sollecitare la copula, poiché Iddio l’aveva tolta da quello stato, ed io ne stupii e le raccontai come erano andate le cose.
Il racconto dice che la moglie visse con lui nell’abbondanza e fra le delizie, prendendo con sé quella vecchia, che le faceva da madre, e rimasero insieme, la donna, suo marito e la vecchia, con salute e gioia, finché li colse la morte che tronca le delizie e divide le compagnie.
Sia glorificato il Vivente, Colui che non muore: nelle Sue mani sono il potere e il dominio!
(Le mille e una notte)