Tukuna – Il cacciatore Monmaneki e le sue mogli

Al tempo della prima umanità pescata dai demiurghi, viveva un indio, la cui sola occupazione era la caccia. Si chiamava Monmaneki. Sulla sua strada, vedeva spesso una donna-indio-ranarana che, al suo avvicinarsi, saltava nella tana: così, egli si divertiva a orinarvi dentro.
Un giorno apparve nello stesso punto una donna giovane e graziosa. Monmaneki si stupì che fosse incinta, e quella spiegò: «Tu ne sei la causa, perché puntavi sempre il tuo pene verso di me».
Egli la prese allora per compagna. La madre dell’eroe trovò la nuora molto bella.

I due sposi andavano a caccia insieme, ma non si nutrivano nello stesso modo. Monmaneki mangiava carne, e per la moglie catturava coleotteri neri, perché essa non voleva altro cibo.
Vedendo gli insetti, la vecchia, che non era al corrente della cosa, esclamò: «Ma perché mio figlio si insudicia la bocca con questa lordura?». Li buttò via, e mise al loro posto del pimento.
Giunta l’ora del pasto, la moglie fece scaldare il suo pentolino personale e cominciò a mangiare, ma il pimento le bruciò la bocca. Allora essa fuggì, e saltò nell’acqua sotto forma di rana. A un topo che le rimproverava di aver abbandonato il bambino in lacrime, rispose che ne avrebbe fatto un altro, ma di notte ritornò nella casa del marito e strappò il figlio dalle braccia della nonna.

Monmaneki si rimise a cacciare. Un giorno incontrò un uccello arapaço appollaiato in un boschetto di palme bacaba.
«Dammi una borraccia piena della tua bevanda!», gli disse il cacciatore mentre passava. E al suo ritorno, egli trovò nello stesso punto una bella ragazza, che gli offrì una zucca piena di vino di palma.
La sposò. La donna era molto bella, ma aveva brutti piedi. Nel vederla, la madre esclamò che avrebbe potuto scegliere meglio. Offesa, la donna scomparve.

Monmaneki tornò a caccia. Un giorno gli venne l’idea stravagante di chinarsi, per fare i suoi bisogni sopra un buco che un verme-femmina era intento a scavare.
Il verme sporse la testa dal buco e disse: «Oh, che bel pene!».
Monmaneki abbassò gli occhi e scorse una ragazza dalla figura stupenda. Fece all’amore con lei e la portò nella sua casa, dove ben presto essa diede alla luce un bambino.

indio-cacciatore

Prima di partire per la caccia, Monmaneki disse alla moglie di affidare il bambino alla nonna, e di andare a sarchiare la piantagione. Ma siccome il bambino non la smetteva di piangere, la vecchia decise di riportarlo alla madre.
Si diresse perciò verso la piantagione e la trovò piena di erbacce, perché la donna aveva semplicemente tagliato le radici, come fanno i vermi scavando a fior di terra. Le erbe cominciavano già ad appassire, ma la vecchia non se ne accorse e si mise a commentare sgarbatamente la pigrizia della nuora. Poi, con una conchiglia di fiume dall’orlo tagliente, si mise a sarchiare da sé e tagliò le labbra della donna, che rodeva le radici a fior di terra.
La sventurata tornò a casa a notte fatta. Il bambino piangeva: essa pregò il marito di darglielo, ma non riusciva più a esprimersi chiaramente. Umiliata d’essere così sfigurata, se ne fuggì via.

Monmaneki, tornato alle sue occupazioni abituali, si rivolse a uno stormo di ara, chiedendo loro birra di mais. Al suo ritorno, una ragazza-ara lo attendeva con la bevanda desiderata. La sposò.
Un giorno, la madre del cacciatore staccò dalla trave le pannocchie di granturco che erano lì a seccare, e chiese alla nuora di preparare la birra, mentre lei andava nei campi.
Alla ragazza bastò una sola pannocchia per riempire cinque grosse giare.

Quando la vecchia tornò, inciampò nel mucchio delle pannocchie inutilizzate e accusò la nuora di non aver fatto nulla; quest’ultima era andata a fare il bagno nel fiume, ma sentì amazzone-piumatai rimproveri. Rifiutò di entrare nella capanna e, quando il marito fu di ritorno, col pretesto d’aver smarrito il pettine infilandolo nella paglia del tetto (come fanno gli Indios per riporre gli oggetti di uso comune), si arrampicò lassù cantando: «Tu m’hai sgridato, suocera mia – ora beviti da sola la birra!».
La vecchia si accorse del suo sbaglio e se ne scusò, ma la nuora non si lasciò intenerire. Appollaiata sulla trave maestra, aveva ripreso la sua forma di ara. All’alba gridò al marito: «Se mi ami, seguimi! Trova l’alloro, i cui trucioli, gettati nell’acqua, si trasformano in pesci. Scava una piroga nel tronco e scendi il fiume fino al monte Vaipi!».
Detto questo, se ne volò via verso oriente.

Fuori di sé dalla disperazione, Monmaneki si mise a correre da tutte le parti in cerca dell’alloro. Abbatté invano parecchi alberi a colpi di scure, e finalmente ne trovò uno i cui trucioli, cadendo nell’acqua, che bagnava la base del tronco, diventavano pesci.
Ogni sera, dopo aver lavorato tutto il giorno alla piroga, egli portava a casa una tale quantità di pesce che il cognato, che era un fannullone, si mise a spiarlo. Questa indiscrezione provocò l’interruzione della metamorfosi dei trucioli in pesci.
Monmaneki ne indovinò la causa, e gridò al compagno che avrebbe fatto meglio ad andare ad aiutarlo. Finirono insieme la piroga, e la misero in acqua.

Approfittando del fatto che il cognato se ne stava in piedi in un punto ove l’acqua era poco profonda, Monmaneki girò bruscamente la piroga e lo rinchiuse sotto lo scafo, dove l’uomo passò la notte lamentandosi.
Il suo persecutore non volle liberarlo prima dell’indomani, quando l’invitò ad accompagnarlo nella discesa del rio Solimões.
Monmaneki stava dietro, il cognato davanti, e così si fecero portare dalla corrente senza remare con la pagaia. Alla fine giunsero nel paese in cui si era rifugiata la donna-ara.

Tutta la popolazione accorse sulla riva per vedere la piroga e i suoi passeggeri, ma la moglie di Monmaneki si nascose tra la folla.
Il cognato, mutato in uccello /monan /, andò a posarsi sulla sua spalla. La piroga continuò la sua corsa, ma improvvisamente si alzò a perpendicolo e Monmaneki, mutato in donna-pappgalliuccello / aiča /, andò a posarsi sull’altra spalla della donna.
La corrente trascinò la piroga fino al grande lago, dove si trasformò in un mostro acquatico, signore dei pesci del rio Solimões e particolarmente dei banchi di piracema, che risalgono periodicamente il fiume per deporre le uova.

Dopo questa avventura, Monmaneki sposò una donna della sua gente.
Ogni volta che essa si recava all’imbarcadero, che era assai distante dalla capanna, il suo corpo si divideva in due all’altezza della vita: il ventre e le gambe restavano sulla riva; il petto, la testa e le braccia, entravano nell’acqua.
Attirati dall’odore della carne, accorrevano i pesci matrinchan e la donna, ridotta alla metà superiore, li afferrava con le mani nude e li infilava in una liana. Poi il torso rampante tornava sulla riva e andava a sistemarsi sulla parte inferiore, da cui sporgeva un pezzetto di midollo spinale a guisa di tenone.

La madre di Monmaneki si stupiva di avere una nuora così brava nel pescare. Un giorno, mentre preparava la birra di mais, pregò la giovane di andare a prendere l’acqua al fiume.
Siccome essa tardava a tornare, la vecchia si spazientì e volle raggiungerla. Così, scoprì la metà inferiore del corpo che giaceva sulla riva, e strappò via il pezzo di midollo sporgente.
Quando l’altra metà risalì sulla riva, la donna non riuscì più a ricostituirsi. La metà superiore si arrampicò a forza di braccia sul ramo di un albero che sovrastava il sentiero.

La notte si avvicinava. Preoccupato perché non vedeva tornare la moglie, Monmaneki accese una torcia e andò a cercarla. Mentre passava sotto il ramo, la mezza donna si lasciò cadere sulle sue spalle e vi si fissò.
Da allora essa non lo lasciò più mangiare, strappandogli di bocca il cibo per divorarlo. indios-piggybackMonmaneki dimagriva a vista d’occhio e aveva la schiena insozzata dagli escrementi della donna.

Per liberarsi, Monmaneki escogitò uno stratagemma. Disse che doveva entrare nell’acqua per ispezionare la diga per la pesca e che, se nel frattempo la donna non teneva gli occhi chiusi, avrebbe corso il rischio di farseli strappare dai pesci piranha che infestavano il fiume. Per dare più verosimiglianza alla sua argomentazione, si fece da sé una scorticatura con la mascella di un pesce che teneva nascosta.

La donna, impaurita, preferì restare sulla riva e lasciò momentaneamente libera la sua vittima. Monmaneki ne approfittò per tuffarsi e fuggire a nuoto.
Sempre ridotta alla metà superiore, la donna, smarrita, andò a posarsi su un palo della diga. Alcuni giorni dopo, si era trasformata in un pappagallo «loquace proprio come se fosse stato ammaestrato».
Il marito, nascosto nella boscaglia, la vide infine volare via e sparire, cicalando, verso le montagne a valle del Solimões.

***

A prima vista, nulla impedirebbe al racconto di proseguire.
Esso è composto di episodi successivi, ciascuno dei quali presenta il fallimento di questo o quel matrimonio di un eroe che sembra prefiggersi unicamente lo scopo di variare le proprie esperienze coniugali.
Perché la quinta moglie è anche l’ultima?
La mitologia sudamericana offre parecchi esempi di storie di questo tipo, in cui diversi episodi, tutti ritagliati su uno stesso modello, si susseguono in numero ben maggiore.

Tuttavia, esaminandola da un punto di vista formale, possiamo constatare che la struttura di questo mito è aperta e in pari tempo chiusa.
È aperta, perché dopo la sua ultima disavventura Monmaneki potrebbe benissimo risposarsi; è chiusa, in quanto l’ultimo matrimonio presenta un carattere originale che lo distingue nettamente dagli altri quattro, cosicché il mito sembra proporre le due soluzioni estreme di un unico problema, fra le quali esso colloca un certo numero di forme intermedie che presentano una molteplicità di rapporti di correlazione e di opposizione sia fra di loro, sia con le forme estreme.

Magritte-sposi

I primi quattro matrimoni dell’eroe sono esogamici; e lo sono in una maniera che si potrebbe definire iperbolica, in quanto uniscono un uomo e femmine animali, assai più lontane da un marito umano di quanto lo sarebbe una semplice straniera.
Invece l’ultimo matrimonio è endogamico, come risulta chiaramente dal testo: «Allora Monmaneki sposò una ragazza appartenente al suo stesso popolo».
Notiamo tuttavia che fra i due tipi di matrimoni, l’ultimo della serie esogamica ha la funzione di cerniera, come dice il mito stesso con una straordinaria ricchezza di mezzi.

I primi tre episodi contengono due sequenze ciascuno: 1) incontro e matrimonio; 2) separazione per colpa della madre dell’eroe.
Solo il quarto e il quinto episodio fanno proseguire oltre la storia. Ma anche questi due cominciano a divergere fin dalla seconda sequenza: come negli episodi precedenti, nel quarto la vecchia separa la nuora dal proprio figlio; nel quinto la separa da lei stessa, impedendo alle due metà del corpo della donna di ricongiungersi.
Ma la simmetria appare soprattutto in seguito. O è la donna che fugge e il marito che la segue, oppure è lei che segue il marito (e abbiamo visto con quanta tenacia) ed è quest’ultimo che scappa.

Certo, il quarto matrimonio rimane esogamico mentre il quinto è endogamico, ma, nel primo caso, l’uomo decide di andare a vivere col popolo della moglie, cosa che non aveva mai pensato di fare prima. Ci riesce solo provvisoriamente e tramutandosi in un uccello Tuzinsky-ambiguache si posa sulla spalla della donna, la quale ha dunque conservato la sua forma umana (benché originariamente fosse un uccello).
Quanto alla moglie endogamica del quinto episodio, essa non rinuncia definitivamente a risiedere con i suoi se non dopo essersi tramutata in uccello. E le montagne a valle del fiume ove andrà a rifugiarsi sono le stesse nelle quali si era rifugiata la sua congenere (la donna-ara anziché donna-pappagallo, ma selvatica, mentre la sposa successiva si comporta come se fosse stata addomesticata).

Delle due donne, l’una è signora del pesce, l’altra della pesca.
Sotto quest’ultimo aspetto, nei due episodi viene ad aggiungersi un compagno ozioso: o un maschio incapace di pescare, a differenza del cognato; o la metà inferiore – la più femminile delle due – del corpo dell’eroina, incapace anch’essa di pescare, a differenza dell’altra metà.
In seguito appariranno, fra i due episodi, altre connessioni. Ci basta, per il momento, averne messe insieme alcune per mostrare che il quarto episodio, riguardante un matrimonio esogamico come i precedenti, ma costruito esattamente come il successivo, costituisce il perno di un racconto che possiede perciò una doppia struttura, binaria e ternaria insieme:

EPISODI 1 2 3 4 5
MATRIMONI esogamico esogamico esogamico esogamico endogamico
RACCONTO 1a parte 1a parte 1a parte transizione 2a parte

(Lévi-Strauss, Le origini delle buone maniere a tavola)