I tuoi occhi sono palmeti nell’ora dell’alba,
sono balconi dai quali si dà alla fuga una luna.
Nei tuoi occhi quando sorridono germogliano pergole
e danzano luci … come lune in un fiume
che lentamente agita nell’alba il remo,
come stelle che da quel fondo ammiccano
un istante prima di naufragare
in brume di sottile tristezza
come il mare sul quale la sera si scioglie le ali
in cui è tepore d’inverno e tremore d’autunno
e morte e nascita e tenebre e luce e in tutto
il mio spirito un convulso di pianto freme
e un’ebbrezza che abbraccia il cielo
selvaggia com’è selvaggio un bimbo quando ha paura
della luna!
Allora è come se gli arcobaleni bevessero
le nuvole e goccia a goccia si fondessero
in pioggia … nel mormorio dei bambini nelle pergole,
a solleticare il silenzio degli uccelli sugli alberi
intonando il canto della pioggia …
Pioggia … pioggia … pioggia …
Sbadiglia la sera e le nuvole non cessano
di versare grevi le loro lacrime.
Come un bimbo che prima del sonno continua a smaniare
ché sua madre da un anno, quando egli si desta
più non la trova.
Poi come insiste nel chiedere
gli dicono: «dopo domani tornerà …».
Tornerà certamente
anche se i compagni bisbigliano che ella laggiù
sul fianco del colle dorme il sonno delle tombe
e ingoia la terra e beve la pioggia; come un pescatore triste
che raccoglie le sue reti
e maledice l’acqua e il destino
e scioglie il canto dove tramonta la luna.
Pioggia … pioggia …
(Badr Shâkir al-Sayyâb, Il canto della pioggia)