Bretagna – I sospetti di Artù e la gelosia di Ginevra

Alla corte di re Artù, Lancillotto mantenne a lungo il giuramento di castità fatto al valentuomo che l’aveva confessato durante la cerca del Santo Graal. Ma il Nemico l’attaccava ogni giorno attraverso gli occhi e le dolci parole della regina dal corpo leggiadro, e lo colpiva sì forte che un giorno egli vacillò e abbandonò la retta via: tanto Ginevra-Lancillotto-manoscrittopiù che, sebbene la regina Ginevra avesse allora quasi settant’anni, era ancora sì bella che al mondo non se ne sarebbe trovata l’uguale.

Fino a quel momento Lancillotto s’era comportato abbastanza prudentemente perché nessuno s’accorgesse del suo folle amore; ma, quando si fu riacceso di lei, bruciò sì forte che non seppe più nasconderlo bene come prima: di modo che Agravain, il fratello di monsignor Galvano, ne colse il segreto.
Del che fu molto contento, il fellone, non già che sperasse di vendicare l’onta del re suo zio, ma perché contava di causare danno a Lancillotto, che mai aveva francamente amato. […]

«Sire – andò a dire al re – se pensassi di non recarvi dolore, vi metterei a parte di cosa che vi salverebbe dall’onta».
«Onta? È dunque cosa che possa riguardare il mio onore?».
«Sire, sappiate che madama la regina e Lancillotto si amano di folle amore. E poiché non si possono incontrare a loro volontà, quando voi ci siete, Lancillotto annuncia che non andrà al torneo di Winchester e vi invia quelli della sua casa: di modo che, questa notte stessa o domani, potrà vedere madama con tutto agio».
«Bel nipote, non dite simili parole, ché non vi credo affatto; Lancillotto non può pensare a ciò».
«Come, sire, è tutto? Almeno, fateli spiare: conoscerete così la verità».
«Agite a vostro discernimento: non ve lo impedirò».
«Sire, non domando di più».

Benché non volesse, quella notte il re meditò su quanto gli aveva detto Agravain; e certamente non se ne tormentò molto ché non credeva che fosse vero; eppure, il mattino, quando la regina venne a dichiarargli che sarebbe andata volentieri a Winchester con lui perché aveva inteso dire che vi si sarebbero viste grandi cavallerie, egli non lo volle e le ordinò di restare: ché contava così di verificare gli argomenti di Agravain.
Intanto, Lancillotto, saputo della partenza del re, andò a prendere congedo dalla sua dama; poi fece preparare ogni cosa dallo scudiero, e al calar del giorno si mise segretamente in viaggio.

Cavalcò tutta la notte a grande andatura, perché temeva d’arrivare in ritardo alle giostre, Lancillotto-cavallosì che al mattino raggiunse il villaggio in cui re Artù aveva dormito e ancora si trovava.
Lancillotto portava armi camuffate, ma lo scudiero conduceva per la briglia un bellissimo destriero pezzato, bianco come fiore di prato da una parte, più rosso di brace dall’altra. E il re, che era proprio alla finestra in compagnia di Giflet figlio di Do, riconobbe subito il cavallo: in realtà egli stesso ne aveva fatto dono a Lancillotto.

«Giflet – disse – ecco dunque Lancillotto. Di sicuro si propone di recarsi al torneo in segreto: è per questo che cammina solo di notte. Poiché vuole nascondersi, guardiamoci dal dire ad alcuno che l’abbiamo riconosciuto».
Lancillotto trovò alloggio da un ricco valvassore, chiamato il signore di Escalot, i cui due figli erano cavalieri da poco. Entrato nella sala, scorse i loro scudi che erano vermigli e senza emblema, ché tale era il costume del tempo: ogni cavaliere novello portava per un anno lo scudo dipinto d’un solo colore; se faceva altrimenti, era contro l’ordine della cavalleria.

«Signore – disse Lancillotto all’ospite – vi prego per amore e cortesia di prestarmi uno di questi scudi col giaco e l’armatura del cavallo. Ché, se portassi i miei al torneo di Winchester, potrebbe accadermi d’essere riconosciuto prima di quando vorrei».
«Signor cavaliere – rispose il valvassore – il mio figlio maggiore è appunto malato e non potrà recarsi all’adunata. Prendete pure le sue armi in cambio delle vostre, se il cuore ve lo consiglia».

Ora, il valvassore aveva anche una figlia, chiamata Passarosa, che era la damigella più curiosa del mondo, e sappiate che più guardava Lancillotto, più lo trovava bello e lo giudicava valentuomo. Mentre egli chiacchierava col padre, la fanciulla si avvicinò allo scudiero e gli chiese il nome del suo signore. Il valletto non la congedò affatto: ella era sì avvenente che ogni scortesia gli sarebbe sembrata villania.
«Damigella – le rispose – sappiate che messere è il migliore cavaliere del mondo: è tutto quello che posso dirvi senza disobbedirgli».
«Mi basta, valletto: eccomi soddisfatta».

fanciulla-dormiente

E subito andò a inginocchiarsi davanti a Lancillotto: «Cavaliere, per quello che amate di più al mondo – disse – concedetemi un dono».
«Ah! damigella, alzatevi. Non c’è nulla che non farei per voi».
«Centomila grazie, signore. Vi chiedo dunque di portare la mia manica sul vostro elmo o sulla vostra lancia a guisa di pennone, e di far molte gesta d’armi per amor mio. E sappiate che voi siete il primo cavaliere da cui ho reclamato un dono; non l’avrei fatto, se non fosse per il vostro grande valore».
Lancillotto fu contrariato da questa richiesta, ché ben sapeva che, se mai la regina l’avesse appreso, non gliene sarebbe stata grata. Doveva tuttavia mantenere la promessa, qualsiasi cosa accadesse: disse così alla pulzella che avrebbe portato la manica. Ed ella gli fece, col padre e il fratello, molta bella accoglienza per tutto il giorno. […]

Terminato il torneo, messer Galvano si mise in cerca dello sconosciuto, di quel novello cavaliere che al torneo aveva meritato il premio, anche se aveva dovuto lasciare il campo per una grave ferita infertagli da Lionello.
Lungo la via, trovò alloggio al castello di Escalot. E poiché rimase a desinare invece di andare a mangiare col re, fu servito da Passarosa.
Ora, la damigella di Escalot era una delle più belle pulzelle e delle meglio fatte al mondo: i capelli più lucenti d’un nappo d’oro, intrecciati con galloni d’oro e di seta, la pelle bianca e tenera come la neve che cade, gli occhi brillanti come quelli di un falco di montagna, ma ridenti; della sua beltà, la sala era tutta illuminata!

Messer Galvano la guardava con tale piacere che quasi dimenticava di desinare.
«Signore – gli chiese – è stato bello il torneo? Chi ha meritato il premio?».
«Damigella, un novello cavaliere di cui mi augurerei aver la prodezza, l’uomo più Lancillotto-cavallo-torneovalente che abbia visto da molto tempo. Ma il fatto è che non so come si chiami».
«Che armi portava?».
«Rosse, e sull’elmo una manica di dama o di damigella. Se fossi donna, vorrei che quella manica fosse mia e che colui che la porta m’amasse d’amore; mai si vide manica meglio impiegata!».

Dopo il desinare, il signore di Escalot portò gli ospiti a passeggiare nel verziere che era dietro la casa. Là, messer Galvano poté scambiare parole con la bella, e non tardò molto a richiederla d’amore.
«Ah! messer Galvano, non vi burlate di me! – ella rispose. – Siete uomo troppo nobile e ricco per amare una povera damigella come io sono. E, d’altronde, m’amaste anche al punto che il cuore vi scoppiasse, sarebbe pena perduta, ché io ho donato il mio a un cavaliere; non appena lo vidi, la mia anima fuggì verso di lui e, per l’amor di Dio!, egli non è meno prode né meno stimato di voi: è uno degli uomini più valenti del mondo!».

Messer Galvano fu molto addolorato di vedersi sì fermamente congedato: «Per cortesia, damigella, fate che si possa sapere se è migliore di me nelle armi. E, almeno, ditemi il suo nome».
«Signore, pensate che rischierei di far morire uno dei migliori cavalieri del mondo lasciandovi combattere corpo a corpo? Quanto al suo nome, non lo so affatto, ma voi potrete vedere il suo scudo, ché è appeso nella camera in cui dormirete».

Subito messer Galvano si levò e, presa Passarosa per mano, rientrò nell’alloggio, e non appena ebbe gettato lo sguardo sullo scudo che pendeva dal muro della sua camera, lo riconobbe come quello di Lancillotto.
Sicché dormì poco, tanto pensava agli amori dell’amico: «Avrei creduto – si diceva – che Lancillotto avesse posto il proprio cuore in luogo più elevato. Ma non lo si può biasimare se ama questa damigella, ché è sì bella e avvenente che il cuore più nobile è con lei ben riposto». […]

Lancillotto-Ginevra-verziere

Al mattino, mentre era sulla via del ritorno assieme a re Artù, Galvano gli chiese se conoscesse il nome del valentuomo che aveva vinto a Winchester.
«Galvano, bel nipote – rispose il re – l’ho indovinato, e voi avreste ben dovuto riconoscerlo dalle meraviglie d’armi che fece, ché alcuno, salvo lui, avrebbe saputo fare tanto. Fatene il nome: vedrò se dite il vero».
«È Lancillotto del Lago».

«Sì, e sappiate che è venuto in segreto, ché non voleva che alcuno rifiutasse di giostrare con lui, conoscendolo. E pensare che, se avessi creduto ad Agravain, io l’avrei fatto uccidere. Vostro fratello venne a chiedermi, l’altro giorno, come avessi il cuore di tenere presso di me Lancillotto, che amava mia moglie di folle amore e l’aveva conosciuta carnalmente. Voleva farmi credere che Lancillotto rifiutasse d’andare al torneo al fine di vedere da solo a sola la regina mentre io ero a Winchester. E in effetti, se Lancillotto avesse amato la regina, non avrebbe lasciato Camelot. Del resto, fosse anche preso di lei, non posso credere che mi farebbe un tradimento sì grande come quello di disonorarmi: in un cuore che alberga tanta prodezza il tradimento non può entrare, oppure si tratta della più grande diavoleria del mondo!».

«Certo, sire, mai Lancillotto amò la regina di folle amore! Nessuno ignora che ha avuto per amica la figlia del re Pelles, da cui è nato Galaad, il buon cavaliere che ha messo fine alle avventure del Santo Graal. E io so che ora egli è preso d’una delle più belle damigelle Passarosa-dama-Escalotdel regno di Logres, e lei di lui».
A tali parole, re Artù si mise a ridere e chiese più volte al nipote di dirgli il nome di quella damigella. Messer Galvano se ne schernì per qualche tempo, ma infine confessò che era Passarosa, la figlia del valvassore di Escalot.
«Ieri – aggiunse – a causa della sua grande bellezza, la pregai d’amore; ma ella mi congedò molto bene, dicendo che il suo cuore era di Lancillotto».

Dopo il desinare, la regina Ginevra li chiamò tutt’e due nel vano d’una finestra e domandò loro se sapessero il nome del cavaliere che aveva vinto il torneo.
«Signora – rispose messer Galvano – forse è un forestiero. Aveva uno scudo vermiglio come un novello cavaliere e sull’elmo portava una manica di dama o di damigella».
«Lancillotto non era dunque al torneo? Eppure so che vi è andato in segreto».
«Signora, se vi è andato, di certo ha vinto. E il cavaliere della manica era dunque lui».
«Che dite, bel nipote! Lancillotto non è sì legato ad alcuna dama o damigella da portarne l’insegna all’elmo».

A tali parole, il re cominciò a dimostrare gran gioia: «Signora – esclamò – sappiate che il vincitore del torneo è Lancillotto! In questo momento, dimora senza dubbio a Escalot accanto a una damigella che ama d’amore e che è fra le più belle del mondo. Bel nipote, ripetete quanto avete detto a me».
«Ma com’era fatto lo scudo che vedeste nella camera?», chiese la regina quando messer Galvano ebbe finito.
«Signora, era bianco con due leoni d’azzurro coronati».
«È proprio lo scudo che prese Lancillotto».

Ella parlò ancora un poco col re e monsignor Galvano, quindi si alzò e si ritirò nella sua camera dove, dolente come mai fu donna, si mise a piangere: «Signore Iddio – pensava – come m’ha malignamente ingannata colui in cui io credevo fosse solo lealtà! Ah! se potrò, mi vendicherò di lui e della damigella!».
Tutta la notte le lacrime solcarono il suo viso luminoso; infine, al mattino, mandò a chiamare Lionello e l’interrogò.

«Lionello, siete andato al torneo?».
«Sì, signora».
«E vi avete visto vostro cugino?».
«No davvero, ché non vi è venuto. Ci avrebbe parlato!».
«Eppure sappiate che vi è andato. È lui che ha vinto: aveva armi rosse e sull’elmo una giostra-medievalemanica di dama o di damigella».
«Con la vostra benevolenza, non lo vorrei per niente al mondo, ché colui che dite lasciò il torneo trafitto d’una ferita che io gli infersi al fianco».
«Maledetta sia l’ora in cui avete mancato di ucciderlo! Ah! mai avrei pensato che facesse ciò che ha fatto! In questo momento, egli è a Escalot presso una damigella che ama d’amore e che senza dubbio l’avrà preso con qualche filtro o incantamento. Possiamo ben dire d’averlo perduto, e io e voi, ché ella l’ha sì ben sistemato che non potrebbe allontanarsi da lei anche se lo volesse!».

E gli raccontò ciò che sapeva.
«Signora – fece Lionello – non crediate a tutto questo. Che Iddio mi aiuti! Non posso pensare che Lancillotto abbia così mancato verso di voi!».
«Colui che mi ha raccontato queste cose è il cavaliere più sincero del mondo. E se Lancillotto venisse domani a corte, gli impedirei di entrare nelle mie stanze».
«Io vi dico, signora, che mai messere fece ciò di cui l’accusate».
«Ah! la prova della sua colpa è troppo certa! Sappiate che mai, finché vivrò, lascerò in pace Lancillotto del Lago!».

«Signora, poiché dunque siete tanto presa d’odio e fellonia verso il nostro signore e cugino, noi, le sue genti, non abbiamo più niente da fare qui. Ed è per questo che prendo congedo da voi. Domattina, partiremo alla ricerca di monsignor Lancillotto e, quando l’avremo trovato, ce ne andremo con lui nella Piccola Bretagna, il nostro paese, presso i nostri uomini che non vediamo da molto tempo. Là, se piacerà a Dio, vivremo in letizia, ché sappiatelo, signora, non avremmo dimorato qui come abbiamo fatto, se non fosse stato per amore del nostro signore; ed egli stesso, dopo la cerca del Santo Graal, vi è restato solo per voi, che ha amato più lealmente di quanto mai cavaliere abbia amato la propria amica».

A tali parole salirono le lacrime agli occhi della regina. Ma Lionello dal cuore senza freni era già uscito. Andò a raccontare a Estor delle Paludi e a Bohor ciò che ella gli aveva detto, e tutt’e tre maledirono il momento in cui Lancillotto aveva conosciuto la regina Ginevra.
Poi andarono a prendere congedo dal re, che glielo concesse con rammarico, e già l’indomani lasciarono la corte.

(La morte di Artù, 1-2; 4-6)