Rilke – Di giorno sei la voce che corre

Ferez-donna-bendata

Di giorno sei la voce che corre
sussurrando tra la folla,
silenzio che lento si chiude
in sé dopo il battito dell’ora.

E più il giorno con gesti sempre più
stanchi alla sera si avvicina,
più tu sei presente, Dio. Da tutti
i tetti s’alza come fumo il tuo regno.

Non angosciarti, Signore. Essi dicono mio
a tutto ciò che è paziente.
Sono come il vento che accarezza i rami
e dice: all’albero sei mio.

Notano appena
che tutto quel che toccano brucia
e che senza scottarsi non possono tenerlo
in mano neppure per l’orlo estremo.

Dicono mio come a volte qualcuno
parlando con dei contadini definisce
amico un principe grande – e molto lontano.
Chiamano miei i loro muri estranei
e non sanno chi è il padrone della loro casa.
Chiamano mie, e credono di possederle,
quelle cose che si negano se le avvicinano,
così come un ciarlatano fesso
forse chiama suo il sole e il lampo.
E dicono: la mia vita, la mia donna,
il mio cane, il mio bimbo e sanno bene
che ogni cosa: vita, donna, cane e bimbo
sono immagini estranee
contro cui sbattono ciechi e a mani tese.
Solo i grandi che anelano ad avere occhi
sanno cos’è la certezza. Perché gli altri
non vogliono credere che il loro misero vagare
non abbia nulla da spartire con le cose intorno,
e che privati dei loro averi
non riconosciuti dai loro beni
posseggono una donna quanto la vita
a tutti misteriosa di un fiore.

Malmström-dancing-fairies

Non perdere il tuo equilibrio, Dio.
Non ti possiede neppure chi ti ama
e ti riconosce al buio oscillando
come un lume al tuo respiro.
E se uno t’afferra nella notte
costringendoti nelle sue preghiere
tu sei l’ospite
che poi riparte.

Chi può trattenerti, Dio? Sei tuo,
non c’è mano che ti obblighi
e, come vino immaturo e sempre
più dolce, appartieni solo a te stesso.

(Rilke, Libro d’ore)