Le mille e una notte – Alî il persiano, il curdo e il sacco

Una notte il califfo Harûn ar-Rashîd stentava a prender sonno; mandò a chiamare il suo visir, e quando gli comparve davanti, gli disse: «Jafar, stanotte provo un’irrequietudine grandissima, il mio petto si sente oppresso; vorrei da te qualcosa che mi allietasse lo arabian-nightspirito e mi dilatasse il petto».
«O Principe dei credenti – rispose Jafar – ho un amico chiamato Alî il persiano, che sa una quantità di racconti e di aneddoti piacevoli, capaci di rallegrare le anime e di alleviare le pene del cuore».
«Subito a me costui!», disse il califfo.
«Odo e obbedisco», rispose Jafar; uscì in cerca del persiano, gli mandò dietro gente, e quando venne gli disse: «Rispondi all’invito del Principe dei credenti».
«Odo e obbedisco», rispose Alî, e andò con lui dal califfo.

Gli comparve davanti ed ebbe il permesso di sedere. Sedette e il califfo gli disse: «Alî, stanotte ho il petto oppresso, e ho sentito dire che tu serbi nella memoria racconti e aneddoti. Fammi sentire qualche cosa che metta fine al mio affanno e mi ravvivi le idee!».
«Principe dei credenti, – rispose – vuoi che ti racconti quel che ho veduto con i miei occhi, o quel che ho udito con le mie orecchie?».
Rispose: «Se hai visto qualche cosa, raccontala!», e Alî raccontò.

Sappi, Principe dei credenti, che qualche anno fa me ne partii da questo mio paese, la città di Baghdad, accompagnato da un ragazzo che portava un piccolo ed elegante sacco di cuoio. Entrammo in una certa città, e mentre io compravo e vendevo, ecco che un Curdo violento e mascalzone mi aggredì e mi portò via il sacco dicendo: «Questo sacco è mio, e tutto quel che c’è dentro è roba mia!».
Io gridai: «O musulmani, liberatemi dalle mani del più spudorato prepotente!», e tutta la gente diceva: «Andatevene ambedue dal qadi e accettate d’amore e d’accordo la sua sentenza».

Robertson-bazar

Ce ne andammo dal qadi, ed io ero contento di stare al suo giudizio. Appena ci presentammo, disse il magistrato: «Che cosa siete venuti a fare, e qual è la vostra questione?».
Risposi: «Siamo due litiganti, che a te ci rivolgiamo e della tua sentenza ci contenteremo».
«Quale di voi due è il querelante?».
Allora si fece innanzi il Curdo, dicendo: «Iddio sostenga il qadi, nostro signore! Questo sacco è il mio, tutto quel che c’è dentro è roba mia; l’avevo perduto, e l’ho trovato nelle mani di quest’uomo!».
«Quando l’hai perduto?», domandò il qadi.
Rispose il Curdo: «L’ho perduto ieri, e pensando a ritrovarlo non ho chiuso occhio stanotte».
«Se l’hai riconosciuto, – disse il qadi – descrivimi quel che contiene».

Disse allora il Curdo: «In questo sacco ci sono due specilli d’argento per tingersi le ciglia, antimonio per gli occhi, un asciugamano. Ci avevo avvolto dentro due tazze dorate. C’erano poi due candelieri, e conteneva anche due tende da campo, due piatti e due cucchiai, un cuscino e due tappetini di cuoio, un bricco ed un vassoio e due scodelle, una pentola e due brocche, un ramaiolo, un ago da materassaio e due contagocce; una gatta, due cagne e un piatto da portata; due borse, una giacchetta e due pellicce; una vacca con due vitelli, una capra e due pecore, una pecora con due agnelli; due tende da campo qadi-abbasideverdi; un cammello con due cammelle; una bufala con due tori, una leonessa e due leoni, un’oca e due volpi; un materasso e due divani; un castello e due saloni, un vestibolo e due salotti, una cucina con due porte, e una banda di Curdi, tutti pronti a testimoniare che questo sacco è il sacco mio!».

Allora il qadi mi disse: «E tu che dici?».
Io, Principe dei credenti, mi feci avanti, stordito dalle chiacchiere del Curdo e dissi: «Iddio conceda potenza al qadi nostro signore! In questo mio sacco non c’era niente altro che una casupola diroccata, un’altra senza porta, uno stanzino per i cani, una piccola scuola per i ragazzini, giovanotti che giocano a dadi. C’erano anche delle tende con i loro tiranti, le due città di Bassora e Baghdad, il castello di Sheddàd ibn Ad. C’era la fucina di un fabbro, la rete di un pescatore, un randello e dei pioli, ragazze e bambini, e mille ruffiani pronti a testimoniare che il sacco è mio!».

Udite queste parole, il Curdo scoppiò in lacrime e singhiozzi e gridò: «O qadi, mio signore, il sacco mio è conosciuto da tutti, e quel che contiene è stato descritto… Nel sacco mio ci sono fortezze e cittadelle, cicogne e bestie feroci! C’è gente che gioca a scacchi e gente che gioca a dama! Nel sacco mio c’era una cavalla con due puledri, uno stallone e due cavalli da corsa; c’erano due lance lunghissime! Conteneva anche un leone e due leprotti, una città e due villaggi, una sgualdrina e due ruffiani che dividevano i guadagni a metà; un ermafrodito e due impiccati, un cieco e due che ci vedevano, uno zoppo e due storpi, un prete con due diaconi, un patriarca con due monaci, un qadi e due testimoni, tutti pronti a testimoniare che questo sacco è il sacco mio!».

Disse il qadi: «E tu che cosa rispondi?».
Io, Principe dei credenti, andai su tutte le furie, mi feci avanti e dissi: «Iddio sostenga il qadi nostro signore! Nel sacco mio c’era una cotta di maglia e una sciabola, c’erano fabbriche d’armi, mille capri che cozzavano, un pascolo per le pecore, mille cani che abbaiavano; orti e vigne, fiori ed erbe aromatiche, fichi e mele, quadri e statue, bottiglie e bicchieri, spose e cantatrici, festeggiamenti e schiamazzi e strilli. C’erano vaste regioni, bande di ladroni armati che partivano all’alba per incursioni, con lance e spade, archi e frecce. C’erano amici e persone care, compari e compagnoni, carcerati e beoni. C’era un questuanti-qaditamburo con flauti, bandiere e stendardi; ragazzi e bambine, spose parate a festa, schiave cantatrici. C’erano cinque abissine e tre indiane, quattro donne di Medina e venti greche, cinquanta turche e settanta persiane, ottanta curde e novanta georgiane! C’erano il Tigri e l’Eufrate, c’era una rete da pescatore, una pietra focaia e un acciarino! C’era la città di Iram dalle Colonne, c’erano un migliaio di manigoldi e di ruffiani, ippodromi e scuderie, moschee e bagni pubblici, un muratore e un falegname, una tavola e un chiodo, uno schiavo moro con un clarinetto, un capitano e un capo di carovana! C’erano città e province, c’erano centomila dinàr, c’erano Cufa e Anbàr, c’erano venti casse piene di stoffa e cinquanta magazzini di viveri. C’erano Chazza ed Asqalàn, l’Egitto da Damietta ad Aswàn, c’era il palazzo di Cosroe Anushirwàn, c’era il re Salomone, c’era la terra dal Wadi Numàn al paese del Khorasan, c’erano Balkh ed Ispahan, e dall’India al Sudan. E c’erano – Dio prolunghi la vita del qadi nostro signore! – tuniche e mantelli e mille rasoi affilati, per radere la barba al qadi, se non teme il mio castigo e non sentenzia che questo sacco è il sacco mio!».

Udendo questi discorsi, la mente del qadi si confuse, e gridò: «Vedo che voi due altro non siete che un paio di pestiferi individui, una coppia di eretici miscredenti, che prendete in giro i giudici e i magistrati senza paura del biasimo e dello scandalo! Mai nessun narratore ha descritto, e nessun ascoltatore ha udito, panzane più spettacolose di quelle che raccontate voi, mai nessuno ha spacciato chiacchiere come le vostre! Vi dico, per Dio, che dalla Cina a Shàgiarat Umm Ghailàn, dalla Persia al Sudan, dal Wadi Numàn alla terra del Khorasan, nessuno ha mai sentito quel che raccontate o creduto quel che affermate! Ma dunque il sacco sarebbe un mare senza fondo, sarebbe un altro Giorno del Giudizio che raduna tutti i buoni e i cattivi?…».

Ordinò quindi il qadi che il sacco venisse aperto; fu aperto, ed ecco che dentro c’era un panino, un limone, un pezzo di formaggio, delle olive. Io allora ho sbattuto il sacco davanti al Curdo e me ne sono andato.
Udendo questo racconto di Alî il persiano, il califfo cadde riverso dal gran
ridere e fece al narratore un bel regalo.

(Le mille e una notte)