Freud – Un’equazione a due incognite

Dagli esperimenti sui protozoi abbiamo appreso che la fusione di due individui a cui non segua una divisione cellulare, vale a dire la coniugazione di due individui che poco dopo si staccano nuovamente l’uno dall’altro, ha l’effetto di rafforzarli e ringiovanirli Picabia-misuraentrambi. Le generazioni successive non rivelano alcun segno di degenerazione, e sembrano in grado di resistere più a lungo alle ingiurie del loro stesso metabolismo.
Ritengo che questa possa essere assunta come un’osservazione paradigmatica per gli effetti che produce anche l’unione sessuale.

Ma come può accadere che la fusione di due cellule poco diverse tra loro determini questo rinvigorimento vitale?
L’esperimento che sostituisce la coniugazione dei protozoi con l’azione di stimoli chimici o anche meccanici ci permette di dare una sicura risposta a questo interrogativo: tale risultato è ottenuto con l’intervento di un nuovo ammontare di stimoli. Ma ciò si accorda bene con l’ipotesi che il processo vitale dell’individuo per ragioni interne tende a livellare le tensioni chimiche, e cioè tende alla morte, mentre l’unione con la sostanza vivente di un individuo diverso accresce queste tensioni, introducendo per così dire nuove differenze vitali che dovranno essere soppresse dalla morte. È ovvio che per quanto concerne questa diversità ci dev’essere un optimum, o più di uno.

L’aver riconosciuto come tendenza dominante della vita psichica, e forse della vita nervosa in genere, lo sforzo che si esprime nel principio di piacere, sforzo inteso a ridurre, a mantenere costante, a eliminare la tensione interna provocata dagli stimoli (il «principio del Nirvana», per usare un’espressione di Barbara Low), è in effetti uno dei più forti motivi che ci inducono a credere nell’esistenza delle pulsioni di morte.

Ma le nostre argomentazioni ci sembrano tuttora sensibilmente disturbate dal fatto che proprio per la pulsione sessuale non possiamo dimostrare quel carattere di una coazione a ripetere che per primo ci aveva messo sulle tracce delle pulsioni di morte. È vero che l’ambito dei processi di sviluppo degli embrioni è estremamente ricco di questi fenomeni di ripetizione; le due cellule germinali che intervengono nella riproduzione sessuale e la storia della loro esistenza altro non sono esse stesse che ripetizioni degli esordi della vita organica; tuttavia l’essenza dei processi a cui tende la pulsione sessuale è la fusione di due corpi cellulari. L’immortalità della sostanza vivente negli organismi superiori non può essere garantita altrimenti.

In altri termini, noi dobbiamo chiarire l’origine della riproduzione sessuale e la provenienza delle pulsioni sessuali in genere. È questo un compito di fronte al quale pulsione-vital’osservatore esterno non può che arretrare spaventato, e che gli stessi specialisti non sono ancora riusciti a risolvere. Noi ci limiteremo a dare una rapidissima sintesi delle molteplici e discordanti affermazioni e opinioni in merito, sottolineando ciò che ci pare interessante dal nostro punto di vista.

Una di queste concezioni sottrae al problema della riproduzione il suo misterioso fascino, dal momento che lo fa rientrare nei fenomeni della crescita (moltiplicazione per scissione, germinazione o gemmazione). L’origine della riproduzione attraverso cellule germinali sessualmente differenziate si spiegherebbe dunque, con un ragionamento sobriamente darwiniano, supponendo che due protozoi si siano coniugati per caso, e che il vantaggio costituito dall’anfimissi sia stato poi ritenuto e utilizzato nella successiva evoluzione. In questo modo il «sesso» non sarebbe un fenomeno molto antico, e le pulsioni straordinariamente violente che mirano a realizzare l’unione sessuale ripeterebbero qualcosa che in passato si è verificato per caso e che poi si sarebbe stabilizzato in ragione dei suoi vantaggi.

Anche qui, come già nel caso della morte, sorge il problema se sia giusto attribuire ai protozoi solo le caratteristiche da essi possedute palesemente, nonché se sia lecito supporre che le forze e i processi che diventano visibili solo negli organismi superiori siano in effetti sorti per la prima volta in questi stessi organismi. La concezione della sessualità che abbiamo menzionato non ci è di grande aiuto. Per confutarla si può obiettare che essa postula l’esistenza di pulsioni di vita che operano già nel più semplice organismo; infatti, se così non fosse, la coniugazione, che opera contro il corso naturale della vita e rende più difficile il compito della dipartita, non sarebbe stata conservata ed elaborata, ma invece evitata.

Dunque, se non vogliamo abbandonare l’ipotesi delle pulsioni di morte, dobbiamo supporre che fin dall’inizio esse si siano associate alle pulsioni di vita. Ma dobbiamo ammettere che qui lavoriamo con un’equazione a due incognite. A parte questo, quello che la scienza ci sa dire a proposito dell’origine della sessualità è talmente poco che questo problema può essere paragonato a un sito tenebroso dove non è penetrato neppure il raggio di un’ipotesi. Vero è che in un ambito completamente diverso incontriamo un’ipotesi del genere; ma essa ha un carattere talmente fantastico – è certamente un mito assai più che una spiegazione scientifica – che non oserei menzionarla se non soddisfacesse proprio quella condizione che noi cerchiamo di soddisfare. Essa fa derivare in effetti l’esistenza di una pulsione dal bisogno di ripristinare uno stato precedente.

Mirò-carnevale-Arlecchino

È ovvio che mi riferisco alla teoria che nel Simposio platonico viene attribuita ad Aristofane, e che non tratta solo dell’origine della pulsione sessuale, ma anche della sua più importante variazione in rapporto all’oggetto.
«Anticamente, infatti, la nostra natura non era la stessa di ora, ma differente. Anzitutto, invero, i generi dell’umanità erano tre, e non due – come adesso – il maschio e la femmina; piuttosto c’era inoltre un terzo genere partecipe di entrambi i suddetti… l’androgino…» (Simposio, 189d-191b).

Ma in questi uomini tutto era doppio, avevano dunque quattro mani e quattro piedi, due volti, due parti pudende ecc. Ora Zeus si lasciò indurre a tagliare ogni uomo in due parti, «come quelli che tagliano le sorbe per metterle in conserva… Allora, una volta divisa in due la natura primitiva, ciascuna metà, bramando la metà perduta che era sua, la raggiungeva; e avvicinandosi con le braccia e intrecciandosi l’un con l’altra, per il desiderio di fondersi insieme, perivano di fame…».

Questa stessa teoria si trova già sostanzialmente espressa nelle Upanisad. Infatti nella Brhadâranyaka Upanisad, IV, 3, dov’è descritto come l’universo proceda dall’âtman (il soggetto o l’Io), si legge: «Egli (l’âtman, cioè il soggetto o l’Io) non aveva piacere; perché il piacere non appartiene a chi sta solo. Desiderò quindi un secondo. (Fino ad allora) la sua estensione era tale quanto un uomo e una donna abbracciati. Li divise in due esseri: questi furono lo sposo e la sposa. Tale è la ragione per la quale Yājñavalkya ha detto: “Noi Cherno-pagliaccidue siamo ⟨ognuno per sé⟩ una metà”. Per questo motivo lo spazio ⟨lasciato vuoto⟩ viene riempito dalla donna».

Dovremmo seguire l’indicazione che ci dà il poeta-filosofo, e azzardare l’ipotesi che la sostanza vivente nel momento in cui venne in vita sia stata frantumata in piccole particelle, che dopo di allora tendono a riunirsi mediante le pulsioni sessuali? Che queste pulsioni, nelle quali si continua l’affinità chimica della materia inanimata, sviluppandosi attraverso il regno dei protozoi, riescano gradualmente a superare le difficoltà che a questa tensione vengono opposte da un ambiente denso di stimoli mortalmente pericolosi che le costringe a formare uno strato corticale protettivo? Che questi frammenti di sostanza vivente attingano in tal modo la pluricellularità, e alla fine demandino la pulsione della riunificazione, in una forma estremamente concentrata, alle cellule germinali?
Ritengo che a questo punto facciamo bene a fermarci.

Ma non senza aver prima aggiunto alcune parole di riflessione critica. Mi si potrebbe chiedere se e in che misura sono io stesso convinto della validità delle ipotesi che ho sviluppato in queste pagine. La mia risposta sarebbe: non ne sono convinto né mi sentirei di fare alcunché per indurre altri a credere in tali ipotesi. O meglio: non so fino a che punto credo in esse. Ma mi pare che non ci sia affatto bisogno che intervenga qui il fattore affettivo della convinzione. Dopo tutto è lecito abbandonarsi a una certa linea di pensiero, svilupparla fin dove è possibile per pura curiosità scientifica, o, se si vuole, facendo la parte dell’advocatus diaboli, senza per questo vendere l’anima al diavolo.

Non mi nascondo che il terzo passo che sto compiendo nella teoria delle pulsioni non può pretendere la stessa certezza dei primi due: l’estensione del concetto di sessualità e l’ipotesi del narcisismo. Queste due innovazioni erano l’immediata trasposizione dell’osservazione analitica nel linguaggio teorico, e non erano esposte al rischio di errori maggiori di quelli che sono inevitabili in ognuno di questi casi. È vero che anche la mia affermazione relativa al carattere regressivo delle pulsioni si fonda su un materiale empirico, e cioè sull’osservazione dei fatti che si riferiscono alla coazione a ripetere. Ma può darsi che io abbia sopravvalutato la loro importanza. E in ogni caso quest’idea può essere sviluppata solo a condizione di combinare ripetutamente i dati di fatto con elementi puramente speculativi, e quindi allontanandosi assai dall’osservazione.

Si sa che il risultato finale di una costruzione teorica diventa tanto meno attendibile quanto più spesso si compie questa operazione. Ma il grado dell’incertezza non è decidibile. Si può arrivare felicemente in porto o finire ignominiosamente fuori strada. In lavori di questo tipo attribuisco scarsa importanza alla cosiddetta intuizione; per quello che ho potuto vedere, mi sembra che essa sia piuttosto il risultato di una certa imparzialità dell’intelletto. Solo che purtroppo gli uomini sono raramente imparziali quando si tratta delle cose ultime, dei grandi problemi della scienza e della vita. Credo che in questi casi ciascuno di noi sia dominato da intime e profondissime predilezioni di cui le nostre speculazioni fanno inconsapevolmente il giuoco.

(Freud, Al di là del principio di piacere)