Prima di creare l’uomo, il Grande Misterioso creò la terra e la popolò di esseri viventi: scese giù sulla terra, prese dell’argilla, la modellò e con quella salì in cielo. Poi, di lassù, la lasciò cadere nel buco che aveva scavato.
E subito da quel buco apparve il Grande Montezuma, conducendo dietro di sé tutte le tribù indiane. Ultimi a venir fuori da quel buco furono i selvaggi e indomabili Apache, che si misero a correre in tutte le direzioni con la stessa velocità con la quale erano stati creati.
Il saggio Montezuma insegnò alla gente tutto quello che doveva sapere: come fare canestri e vasi, come piantare il granturco scavando con un bastonino, come accendere un fuoco per cucinare il cibo.
Erano tempi felici, quelli. Allora il sole era molto più vicino alla terra, sicché faceva sempre piacevolmente caldo. Non c’erano inverni e nemmeno freddo da gelare. Uomini e animali vivevano come fratelli, parlavano un comune linguaggio che tutti potevano comprendere, sicché un piccolo insetto o un uccello qualunque potevano parlare con un essere umano.
Ma poi arrivò il gran diluvio. Molto prima che inondasse la terra, l’amico di Montezuma, Coyote, ne aveva predetto l’arrivo: «Devi scavare una grossa canoa – diceva Coyote a Montezuma, che sapeva fare ogni cosa. – Presto ne avrai bisogno».
E poiché Coyote insisteva, Montezuma seguì il suo consiglio. Costruì l’imbarcazione e la tenne pronta sulla cima dell’alta montagna che i Bianchi chiamano Monte Rosa. Anche Coyote si costruì uno strano vascello. Rosicchiò il tronco di un albero fino ad abbatterlo, poi lo scavò coi denti e con la resina di pino chiuse l’apertura della prua.
Quando finalmente il grande diluvio che aveva predetto arrivò sulla terra, Coyote s’infilò nel vascello che aveva appena ultimato, mentre Montezuma si arrampicò sino alla sua canoa ricavata anch’essa da un tronco d’albero.
E così galleggiarono entrambi sulle acque, mentre tutti gli altri esseri viventi perirono. Poi, come le acque si abbassarono, la cima del Monte Rosa cominciò a spuntare un po’ al di sopra di quell’inondazione, e sia Montezuma sia Coyote si diressero verso quel punto, il solo pezzo di terraferma che si potesse vedere a perdita d’occhio.
Così i due amici s’incontrarono, contenti d’essere vivi.
Montezuma disse a Coyote: «Amico, ci devono essere degli altri luoghi asciutti da qualche parte. Tu cammini veloce con le tue quattro zampe. Va’ verso ovest ed esplora un po’!».
Coyote partì e dopo quattro giorni ritornò stanco dicendo: «In quella direzione dell’universo ho trovato soltanto acqua, nient’altro che acqua».
Montezuma gli disse: «Coyote, amico mio, riposati un po’ e poi va’ a vedere quello che puoi trovare a sud».
Di nuovo tornò indietro dopo quattro giorni dicendo: «Anche laggiù a sud ogni cosa è coperta dall’acqua». Andò a est e fu la stessa cosa: ovunque acqua.
Alla fine Montezuma mandò Coyote verso il nord e questa volta Coyote ritornò dicendo: «Nel nord le acque si stanno ritirando, e c’è molta terra asciutta».
Montezuma fu ben contento di sentire ciò e disse a Coyote: «Amico, là a nord dobbiamo iniziare a costruire un nuovo mondo».
Il Grande Misterioso era di nuovo impegnato a ripopolare la terra di uomini e animali. Dopo che ebbe ricreato la vita, incaricò Montezuma di sovrintendere a ogni cosa. Montezuma divise di nuovo le tribù in nazioni, diede loro le giuste leggi perché si governassero e ancora una volta insegnò agli uomini il modo in cui dovevano vivere.
In tutti questi compiti Coyote fu il suo fedele aiutante, sicché ben presto la gente e gli animali aumentarono di numero, e tutti furono felici.
Ma poi il potere che Montezuma aveva ricevuto dal Grande Misterioso gli diede alla testa: «Non abbiamo bisogno di un Creatore – diceva. – Sono io il Creatore. Il mio potere è uguale a quello del Grande Misterioso. Non ho bisogno di nessuno che mi comandi; io stesso sono il Grande Comandante».
Coyote lo ammoniva a essere meno superbo: «Lo sai che sopra di noi c’è un potere più grande di noi, la Potenza dell’Universo. Ubbidisci alle sue leggi!».
Montezuma rispose: «Non ho bisogno del tuo consiglio. Chi sei tu da cercare di rimproverare il Grande Montezuma? Non sono forse più importante di te? Non sono il tuo padrone? Vattene; non ho più bisogno di te».
Coyote se ne andò, scuotendo la testa, stupito.
Allora Montezuma convocò tutte le tribù e disse: «Io sono più grande di qualunque cosa sia stata mai creata, più grande di qualunque cosa che ora esiste, e più grande di qualunque cosa mai sarà. Ora voi gente mi costruirete una grande casa, un piano sopra un altro piano sopra un altro piano, una casa che salga fino in cielo, che salga in alto sopra questa terra sino al cielo, da dove governerò come Signore di tutto l’Universo».
Il Grande Misterioso discese dal cielo per persuadere Montezuma, per dirgli di cessare di sfidare quello che non può essere sfidato, ma Montezuma non volle ascoltare. Diceva: «Io sono onnipotente. Nessuna potenza fermerà il mio cammino. Io sono il Grande Ribelle. Capovolgerò questo mondo a mio piacimento».
Allora il bene si mutò in male. Gli uomini cominciarono a cacciare e a uccidere gli animali. Ignorando le leggi eterne in conformità alle quali erano vissuti, gli esseri umani cominciarono a combattersi tra loro. Il Grande Misterioso cercò di ammonire Montezuma e la gente, spingendo il sole più lontano dalla terra e collocandolo dove si trova ora.
Apparvero così inverno e neve, ghiaccio e grandine, ma nessuno diede retta a questi ammonimenti.
Nel frattempo Montezuma faceva lavorare la gente alla costruzione della sua casa a ripiani, le cui stanze erano di corallo e ambra, di turchese e madreperla. Si ergeva sempre più alta, ma proprio quando cominciò a elevarsi sopra le nubi su nel cielo, il Grande Misterioso fece tremare la terra. La casa a ripiani di Montezuma in pietre preziose rovinò in un cumulo di macerie.
Quando ciò accadde, la gente scoprì di non poter più comprendere il linguaggio degli animali; e le diverse tribù, anche se composte tutte di esseri umani, non si poterono più comprendere l’un l’altra.
Allora Montezuma agitò i pugni verso il cielo e gridò: «Grande Misterioso, ti sfido. Ti combatterò. Dirò alla gente di non pregare il Creatore e di non fargli offerte di granturco e frutta. Io, Montezuma, prendo il tuo posto!».
Il Grande Misterioso sospirò e perfino pianse, perché colui che aveva scelto per guidare l’umanità si era ribellato a lui. Allora decise di vincere quelli che si erano ribellati. Inviò la locusta a volare al di là delle acque orientali, a mandare a chiamare un popolo di una terra sconosciuta, la cui gente aveva faccia e corpo pieni di peli, che cavalcava strane bestie, che era rivestita di ferro, che brandiva armi di ferro, che possedeva magici bastoni bucati che sputavano fuoco, tuono e distruzione.
Il Grande Misterioso lasciò che questo barbuto popolo spietato attraversasse con dei vascelli le grandi acque dell’est, permettendogli di venire nel paese di Montezuma, di sottrarre a Montezuma il potere e di distruggerlo completamente.
***
Furono gli Spagnoli, nella loro marcia di conquista verso nord, a portare ai Papago il nome aureolato di leggenda del Montezuma azteco, e i Papago dovettero esserne affascinati al punto da dare il nome di Montezuma al Primo Uomo dei loro miti della «creazione».
Montezuma è, si fa per dire, il loro Adamo – dentro e fuori dal paradiso: quello che visse la felice Età dell’oro, creò le «nazioni» linguistiche, e insegnò loro le arti e le scienze; ma anche quell’altro, quello che s’insuperbisce nel proprio «io», e che va fiero di questo misero «resto» sopravanzato alle acque del Diluvio Universale.
Non sono io, è il Racconto che fa acqua da tutte le parti – quando il mondo si allaga, e tutto viene sommerso nell’oblio.
Per sopravvivere, non c’è che da seguire il consiglio di Montezuma: un piano sopra l’altro arrampicarsi verso il cielo – il nuovo a scalare sopra il vecchio: è sovrascrivendosi che si rinasce a un altro mondo, a un’altra lingua – alla lingua propria del nuovo mondo.
Non sono io, è il Racconto che insiste a ripeterlo: il guaio vero, il solo guaio degno di essere considerato il Guaio della nostra umanità, è che a ogni piano dell’«arca» costruita da Montezuma dietro consiglio di Coyote, la nostra lingua si fa sempre più estranea alle sue «origini», sempre più impotente a sapere del suo Passato, sempre più chiacchierona, sempre più distratta a parlare d’altro, e ad altro rimettendo il suo destino.
In quanto al signor Coyote, i Papago sembrano tributargli più «rispetto» di quanto si colga negli altri racconti. Qui non è il solito mariuolo, e pare non esserci in lui niente di «maligno». È piuttosto un Veggente – è lui, infatti, a prevedere il diluvio. Nella «coppia» è Coyote a «vedere» dove converrà a Montezuma mettere i piedi – per non affogare.
Non sono io, è il Racconto che ci suggerisce ancora un’altra variazione sul tema del Cieco e del Paralitico.
Per «creare il mondo», bisogna essere in due.
Non uno, né più di due. Perché la «creazione» è sempre e solo un evento duale – non singolare, né plurale.
Vogliamo dire anche questo? e sia! Non è un caso che nella mitica Età dell’oro l’anno cominciava, secondo i miti, nella costellazione dei Gemelli?
Il mondo già è, quando bisogna crearlo. Creare un mondo, è dare esistenza a ciò che già è possibile. Ma bisogna essere in due, per farlo.
Coyote «vede» dove a Montezuma conviene mettersi in salvo. È, per così dire, lui in principio il Padrone del gioco.
Ma sappiamo come vanno le cose: il Servo «non vede» l’ora di sbarazzarsi del Padrone. Una volta che ha messo il piede sulla terraferma, una volta che il bebè ha appreso a camminare sulle sue zampe, relega Coyote nel ruolo di suo «aiutante», salvo poi non stare più a sentire i suoi consigli.
Sono io che esagero, o veramente il Racconto sta qui provando a raccontare quello che i Dottori in gergo chiamano «costituzione dell’io», e che invece nelle lingue antiche era detto più modestamente «creazione»?
Creare non è dare l’essere al nulla. È dare l’«esserci» qui in mezzo a noi, è dare esistenza «popolare» a ciò che già è – avrebbe detto Parmenide.
È portarsi nel mondo. È, in principio, farsi portare dalle cavalle, o dalla mamma in carrozzella. È «vedere» dove ci portano.
E già, pappa cacca e nonna, di lassù – sulle spalle di Coyote – Montezuma «vedeva» addirittura la cima delle montagne del Paradiso, e «vedeva» se stesso nella felice Età dell’oro.
A quei tempi, Montezuma capiva i «segnali» di Coyote, capiva la «lingua degli animali». Ma non è più così dacché ha messo i piedi a terra. Adesso, è Coyote che lo serve e lo riverisce. Adesso Coyote è il Servo, e Montezuma il Padrone. Ecco perché siamo conciati così male: ché, pur sapendolo, aztechi e non, continuiamo a onorare lui, e non il suo Esaù.