Il giorno della Pentecoste, re Artù e la regina Ginevra indossarono gli abiti regali e si posero sul capo le corone d’oro; e certo così il re era molto bello e aveva proprio l’aria d’un valentuomo. Uscito dalla messa, passata l’ora terza, ordinò di mettere le tavole, ché a suo parere era tempo di desinare.
«Sire – disse Keu il siniscalco – abbiamo visto sempre che in occasione delle feste importanti non vi siete mai seduto a banchetto prima che nella vostra casa si fosse svolta un’avventura; se oggi farete altrimenti, infrangerete l’usanza».
«Dite il vero, Keu».
Mentre essi così parlavano, i cavalieri si erano avvicinati alla Tavola Rotonda. Su ogni seggio era scritto il nome di colui cui esso apparteneva. Ma su quello che veniva chiamato il Seggio Periglioso, perché alcun uomo vi si era mai seduto senza essere punito da Dio, si vide che delle lettere d’oro tracciate di fresco (non si seppe mai da chi) dicevano:
Quattrocentocinquanta anni dopo la Passione di Gesù Cristo, nel giorno della Pentecoste, questo seggio avrà un padrone.
«In nome di Dio – esclamò Lancillotto dopo aver ripetuto ad alta voce tali parole – chi vorrà fare il conto troverà che quel giorno è oggi».
Tutti i pari e i compagni della Tavola Rotonda rimasero stupefatti da questa grande meraviglia, e Keu esclamò: «In fede mia, sire, ora potete desinare, ché l’avventura non vi è mancata!».
«Andiamo!», disse il re.
Messe le tovaglie e suonato il corno per l’acqua, i cavalieri si lavarono le mani nei bacili d’oro, poi il re sedette sul suo alto seggio e ciascuno al proprio posto; e, poiché erano giunti tutti i compagni della Tavola Rotonda, tutti i seggi furono occupati, salvo il Seggio Periglioso.
Ma, al momento in cui si stava per servire la prima portata, d’improvviso le porte e le finestre si chiusero da sole; poi, nel centro della sala, apparve un vecchio in abito bianco, che teneva per mano un cavaliere vestito di un’armatura color del fuoco, ma senza scudo.
«La pace sia con voi! – disse il valentuomo a voce tanto alta che tutti lo sentirono. – Re Artù, ecco il vero cavaliere, il desiderato, il promesso, uscito dall’alto lignaggio di re Salomone e di Giuseppe d’Arimatea, colui che compirà la ricerca del Santo Graal e metterà fine ai tempi avventurosi!».
«Che sia il benvenuto – disse il re levandosi – ché noi l’abbiamo a lungo atteso! Mai vi fu letizia grande come quella che faremo per lui».
Allora il cavaliere si tolse l’elmo e si vide che era molto giovane; e come il girifalco è più bello della pica, la rosa dell’ortica e l’argento del piombo, egli era più bello di tutti quelli che erano là riuniti.
Il vecchio lo disarmò e lo accompagnò al Seggio Periglioso, ove egli si assise senza esitare, con assoluta sicurezza. E quando i baroni videro quel giovinetto in cotta rossa e sopravveste vermiglia ornata d’ermellino prendere posto con tanta semplicità nel luogo che tanti uomini buoni e valenti avevano temuto e in cui si erano già svolte tante nobili avventure, non vi fu alcuno che non lo considerò il proprio signore, ché pensarono che questa grazia gli fosse stata accordata per volontà del Nostro Salvatore. Ma quale fu la gioia di Lancillotto quando riconobbe che quel donzello non era altri che suo figlio Galaad!
«Re – diceva il vecchio – oggi tu otterrai l’onore più grande che mai sia stato accordato a un re di Bretagna, e sai quale? Il Santo Graal entrerà nella tua casa e sazierà i compagni della Tavola Rotonda».
Detto questo, uscì attraverso la grande porta che pure era chiusa, e sappiate che nessuno lo rivide mai più. Ma appena fu scomparso, risuonò un tuono, poi un raggio di sole traversò le vetrate e fece apparire tutto ciò che era nella sala due volte più luminoso: quelli che vi si trovavano ne furono illuminati come dalla grazia dello Spirito Santo; nondimeno sentirono allo stesso tempo di essere divenuti muti come animali.
Ed ecco che apparve un vaso a forma di calice, nascosto sotto una tela bianca, e che sembrava fluttuare nell’aria, ché nessuno poteva scorgere chi lo portasse. E non appena il vaso molto santo fu entrato, il palazzo si riempì di profumi, come se vi fossero state sparse tutte le buone spezie del mondo. E man mano che esso passava davanti alle tavole, queste si trovavano imbandite delle carni più squisite; ciascuno ebbe davanti a sé proprio quelle che desiderava.
Poi, quando tutti furono serviti in tal guisa, il vaso se ne andò com’era venuto, nessuno avrebbe saputo dire come; allora tutti, grandi e piccoli, ritrovarono la parola e resero grazie a Dio, che aveva permesso che essi fossero visitati dal Santo Graal.
«Signori – disse il re – Nostro Signore ci dona certo un grande segno d’amore venendo a saziarci con la Sua grazia in un giorno sacro come quello della Pentecoste!».
«Ancora una cosa non sapete – gli rispose messer Galvano – ed è che ciascuno è stato servito delle carni che si augurava e desiderava; e questo non è mai avvenuto altrove che alla corte del re Pelles, nel Castello Avventuroso. Tuttavia, a nessuno di noi è stato permesso di scorgere il Santo Graal sotto la stoffa che lo nascondeva. Per questo faccio voto di dare inizio alla ricerca domani mattina e di perseguirla per un anno e un giorno, o di più se sarà necessario; e qualunque cosa mi possa accadere, non tornerò che dopo aver scoperto la verità del vaso molto prezioso, a meno che non possa o non mi debba essere concesso di conoscerla: nel qual caso, ritornerò».
Tutti i compagni della Tavola Rotonda si alzarono e fecero lo stesso voto di messer Galvano, giurando che non avrebbero mai cessato di errare prima di sedere di nuovo al banchetto in cui era servito ogni giorno il dolce nutrimento, sempre che ciò fosse loro permesso.
Ma, ascoltandoli, il re provava un tal duolo che l’acqua del cuore gli salì agli occhi: «Galvano, Galvano – disse – m’avete tradito! Ché mi avete tolto i miei amici, la più bella compagnia e la più leale. So bene che non tutti i compagni della Tavola Rotonda torneranno da questa ricerca e che molti ne mancheranno: certo, ciò mi dà non poca pena! Li ho innalzati più in alto che ho potuto e li amo come figli e fratelli … ah!, dubito molto di rivederli mai».
«Per l’amor di Dio, sire, cosa dite? – esclamò Lancillotto. – Un re non deve nutrire nel proprio cuore il timore, ma l’ardimento e la speranza. E se moriamo in questa ricerca, sarà la più bella e la più onorevole delle morti».
«Lancillotto, Lancillotto, è il grande amore che provo per tutti voi a farmi parlare così! E quel che mi duole, è che so bene che non sarete riuniti alla Tavola del Graal come lo siete a questa, e che ben pochi vi saranno ammessi».
A questo, né Lancillotto né messer Galvano risposero, ché sentivano che il re diceva il vero e che essi stessi, forse, non avrebbero avuto posto al banchetto del Graal. Sì che messer Galvano, se avesse osato, si sarebbe pentito del voto.
Intanto tutti si erano levati, e si vide che il Seggio Periglioso recava ora il nome di Galaad, e quel nome volò di bocca in bocca finché raggiunse le tavole dove la regina desinava con le sue dame. Ah! quando ella seppe che Lancillotto, e così i compagni, aveva giurato di partire alla ricerca della verità del Graal, ebbe tal dolore che credette di svenire!
«Ahimé – diceva piangendo – è gran peccato, ché questa ricerca non avrà termine senza che molti valentuomini vi trovino la morte! Molto mi stupisce che messere il re l’abbia permessa».
Quasi tutte le dame si erano messe a piangere con lei, e non era meraviglia, ché la gran parte erano le spose o le amiche dei cavalieri della Tavola Rotonda. Così, quando le mense furono tolte ed esse si riunirono nella sala con i cavalieri, ciascuna disse al suo amato che voleva andare con lui alla ricerca del Graal. Ma nessuno consentì, ché tutti sentivano che una ricerca sì nobile, diretta a svelare i segreti stessi di Nostro Signore, non poteva essere affrontata come le altre ricerche terrene che essi avevano condotte fino a quel giorno.
La regina, intanto, era venuta a sedere accanto a Galaad e gli domandava in qual paese fosse nato, e da chi. Egli le palesò quel che sapeva, ma non di esser figlio di Lancillotto. Ella tuttavia lo indovinò dalla loro somiglianza, e perché aveva spesso sentito parlare del fanciullo nato dalla figlia del re Pelles.
«Ah! signore – gli disse – perché mi celate il nome di vostro padre? Al vostro posto, non avrei vergogna a nominarlo, che è il migliore e il più bel cavaliere del mondo. E voi gli somigliate talmente che anche il più sciocco se ne accorgerebbe».
«Signora – rispose Galaad arrossendo – poiché lo conoscete così bene, nominatelo».
«In nome di Dio, è Lancillotto del Lago, il più gentile e il più amato cavaliere che viva in questi tempi».
«Signora, se è vero, lo si saprà ben presto in questo luogo».
A lungo parlarono così, finché venne l’ora del desinare e, poi che ebbero mangiato, il re condusse Galaad nella propria camera e, per onore, lo fece dormire nel letto in cui egli stesso usava dormire.
Ora, la regina pianse tutta la notte. Ma l’indomani, come piacque a Dio che le tenebre svanissero, andò ad avvertire il proprio signore che i cavalieri lo attendevano per ascoltar messa. Re Artù si asciugò gli occhi, perché non si vedesse il gran duolo che anch’egli aveva menato a causa della partenza degli amici; poi si recò in chiesa coi cavalieri della Tavola Rotonda, tutto armato salvo il capo e le mani.
Cantata la messa, i compagni della ricerca si riunirono nella sala del palazzo per prestare giuramento. Come padrone e signore della Tavola Rotonda, Galaad si inginocchiò per primo davanti alle reliquie, e giurò di non tornare prima di conoscere la verità del Graal, se gli fosse stato concesso di conoscerla in alcun modo. Dopo di lui giurarono Lancillotto, messer Galvano, messer Ivano il Grande, Perceval il Gallese, Lionello, Bohor, Estor delle Paludi, tutti i compagni, in numero di centocinquanta, di cui nessuno era codardo. Poi fecero colazione; quindi si allacciarono l’elmo e cinsero la spada.
Intanto la regina si era ritirata nella propria camera, ove si lasciò cadere sul letto, piangendo sì forte che il cuore più duro ne avrebbe avuto pietà.
Lancillotto andò a trovarla, ma quando ella lo vide, armato com’era e pronto a partire, le lacrime colarono sul suo viso luminoso.
«Ah! signora – egli disse – datemi il congedo!».
«No, non partirete col mio congedo! Ma poiché bisogna, andate sotto la protezione di Colui che si lasciò mettere in croce per noi! Che vi guidi là dove andrete!».
«Signora, che Dio lo voglia nella Sua santa misericordia!».
Detto ciò, Lancillotto lasciò la regina e raggiunse il cortile dove trovò i compagni, molti dei quali erano già a cavallo. Il re, che sopraggiungeva, si stupì nel vedere che Galaad non portava scudo.
«Sire, farei male se ne prendessi uno qui».
«E allora, che Dio vi consigli!», disse il re.
E montò anch’egli un palafreno per far compagnia ai cavalieri, che scortò, menando gran duolo, fino al castello Vagan. Ma qui giunti, Galaad, messer Galvano, Lancillotto, tutti i compagni si levarono l’elmo e, l’uno dopo l’altro, andarono a dargli il bacio d’addio; poi ciascuno partì per la propria avventura, mentre il re, più dolente di quanto si potrebbe dire, tornava a Camelot.
(La ricerca del Santo Graal, 1-3)