Apache White Mountain – Tacchino, Coyote e il granturco

Molto tempo fa, quando tutti gli animali parlavano come gli esseri umani, Tacchino udì per caso un ragazzo che supplicava la sorella di dargli da mangiare.
«Che cosa vuole il tuo fratellino?», domandò alla ragazza.
«Ha fame, ma non abbiamo niente da mangiare», disse.
A quelle parole, Tacchino si scosse tutto. Molte specie di frutta e di cibo selvatico caddero dal suo corpo, e il fratello e la sorella la mangiarono in un baleno. Tacchino si scosse ancora e dalle sue piume cadde una varietà di grano molto grande. Si scosse una terza tacchinovolta e cadde del grano giallo. E quando si scosse per la quarta volta, cadde del grano bianco.

Arrivò Orso e Tacchino gli disse: «Sto aiutando quella mia sorella e quel mio fratello laggiù a nutrirsi».
«Tu puoi scuoterti, è vero – disse Orso – ma non più di quattro volte, per farti uscire fuori il cibo. Io invece ho su di me ogni specie di cibo, dalla testa ai piedi».
Orso si scosse e dalla sua pelliccia caddero bacche di ginepro. Si scosse di nuovo e cadde una qualità di cactus buona da mangiare. Poi scosse ghiande, poi un altro genere di cactus, poi ghiande di quercia Gambel, poi ghiande di quercia blu, poi pinoli, poi una sorta di sumac, poi bacche di manzanita, poi more selvatiche, poi frutta da saguaro.

Tacchino disse al ragazzo e alla ragazza: «Ho qui per voi quattro specie di semenza di grano, e questo è un buon posto per piantarla».
La sorella e il fratello prepararono dei bastoni per scavare il terreno e con quelli fecero dei buchi. Nei buchi piantarono tutti i loro chicchi. Il giorno dopo il grano era già spuntato ed era alto circa un piede e mezzo.
«Abbiamo ancora dei semi di melopoponi», disse la ragazza e così piantarono anche quelli.

Quando tornarono, udirono Tacchino che urlava sul campo di grano. Corsero laggiù e lo videro che stava trascinando un’ala sul terreno, dalla loro parte. C’erano serpenti sull’altro lato ed egli fingeva di avere un’ala spezzata per distogliere i serpenti e proteggere il ragazzo e la ragazza.
Le piante di melopoponi portavano già dei giovani frutti e il granturco era già alto e aveva le pannocchie e le barbe. Le barbe contenevano il polline delle piante di granturco.

Tacchino disse al ragazzo e alla ragazza di stare lontani dal granturco per quattro giorni, cioè sino a quando i serpenti se ne fossero andati. Alla fine del quarto giorno il granturco granturcoera maturo.
«Questa sarà la sola volta in cui il granturco crescerà in quattro giorni – disse Tacchino. – D’ora in poi ci vorrà un certo tempo».
E così fu.

Ormai il fratello e la sorella avevano piantato il granturco già tre volte e diedero la semenza ad altra gente. Allora arrivarono Coyote l’Astuto e ne chiese un po’.
«Il granturco che avete piantato sta crescendo bene e sta mettendo le pannocchie – disse. – Mi piacerebbe avere un po’ di semenza per piantarlo anch’io».

Coyote avrebbe dovuto lavorare molto per far crescere il suo granturco, ma non aveva un’intenzione del genere: «Quella gente pianta il granturco e dopo che è cresciuto deve cuocerlo. No, io non farò in questo modo. Prima cuocerò il granturco e poi lo pianterò, di modo che non dovrò preoccuparmi di cuocerlo quando sarà maturo».
Ecco dove Coyote fece un grosso sbaglio. Cucinò il granturco, ne mangiò un po’ e con il resto seminò tutto un appezzamento. Si sentiva piuttosto competente in materia: «A dire il vero – pensò – ho fatto le cose per bene. Voi, gente, dovete cucinare il vostro granturco dopo averlo seminato, mentre il mio spunterà già cotto».

Dopo aver piantato, partì con l’altra gente per andare a raccogliere ghiande, ma quando ritornarono ai campi, su quello di Coyote non era cresciuto un bel niente.
Arrabbiato disse: «Dovete aver sottratto il cuore dai chicchi del granturco che mi avete dato».
«No, non è vero – gli dissero – ma tu li hai tirati fuori e li hai cotti prima di piantarli».

Coyote chiese dell’altra semenza, e questa volta la piantò nel modo giusto. E così il suo granturco crebbe; il giorno dopo che l’aveva piantato era già alto circa un piede e mezzo. Era soddisfatto.
La gente che a suo tempo aveva piantato il granturco, ora lo stava mietendo e legando in fasci. Coyote li vide e ne volle un po’. La gente cominciò a essere furente con Coyote perché continuava sempre a chiedere del granturco.
«Voglio soltanto un po’ di pannocchie verdi per sfamare i miei figli – disse. – Non appena il mio granturco sarà maturo, ve le restituirò».

campo-granturco

La gente aveva già ritirato tutto il granturco, mentre i melopoponi, non ancora maturi, erano nei campi. Coyote rubò dei melopoponi e tutta la gente andò al suo campo. Voleva sapere se era lui che li aveva rubati.
Coyote finse di arrabbiarsi: «Mi accusate sempre di rubare ogni cosa. Ci sono molti campi laggiù. Perché dovete scegliere il mio per venire con le vostre accuse?».

Ma la gente sapeva che Coyote aveva l’abitudine di rubare: «D’ora in poi, non fare la tua fattoria vicino alle nostre. Trasloca e vattene a vivere in qualche altro posto!», gli dissero.
«Benissimo. Stavo per restituire ad alcuni di voi il granturco, ma ora che mi avete trattato in questo modo, non lo farò più», protestò.
Così la famiglia di Coyote visse miseramente e non si prese mai il fastidio di cuocere il cibo prima di mangiarlo.

***

È sempre così: quello che a prima vista sembra un mito sull’origine di un certo «bene» (nel nostro caso, il granturco), è in realtà un mito sulla perdita della Forma Perfetta di quel «bene».
Una volta, per seminare piantare mietere cuocere e, dunque, mangiare il granturco bastavano solo quattro giorni. Oggi invece – come dice Tacchino, che ne ha fatto dono surreal-uomo-melaagli uomini affamati – oggi «occorre un certo tempo».
Oggi il granturco bisogna sudarselo.

Dici sudore, dici fatica – dici proprio quello che a Coyote non va giù. Lui, il granturco, lo vuole mietere già cotto. È già tanto se si dà la pena di piantarlo. Dipendesse da lui, gli fosse concesso, diciamo, di esprimere un desiderio, lui vorrebbe immediatamente sedersi a tavola e gustarsi il suo bel piatto di pastasciutta.
Il fatto però degno di nota è che, questa pretesa, Coyote non l’accampa solo ora che ci vuole «un certo tempo» per far maturare il granturco. No, Coyote l’accampò già a quei tempi in cui bastavano appena quattro giorni. Sicché, quale che sia il lasso di tempo, l’intervallo richiesto tra la semina e il consumo, a Coyote sembra tempo perso, e lui di tempo da sprecare non ne ha. Il fatto è che Coyote non ha tempo.

Coyote, a dire il vero, un tentativo di coltivare il granturco, sia pure a modo suo, lo fa. Ma l’impazienza gli costa cara, e il lavoro non gli dà mai i frutti sperati. Tanto vale dunque tornare al «mestiere» di sempre, a quello che Coyote sa fare, e lo sa fare meglio di tutti: rubare!
Coyote è mariuolo, non ha tempo da perdere, e quel po’ di tempo che ha, lui – al contrario dei buoni seminatori – l’accorcia, non l’allunga! Ecco perché semina chicchi già «pronti all’uso». Lui anela all’immediato. Tutta questa lungaggine delle «mediazioni» lo disturba.

In quanto a noi, se mai la finiremo di interpretare i racconti che lo riguardano attraverso i princìpi della nostra morale, e apriremo gli occhi sul Mariuolo che è in noi, sul nostro «ermetismo immaginario», forse ad accorciarsi sarà la distanza tra ciascuno di noi e Coyote. Perché, se Coyote è mariuolo, è «briccone» come dicono gli «addetti ai lavori», è però insieme anche il Demiurgo del nostro mondo, il suo «fondatore». I suoi imbrogli sono i nostri imbrogli. Le sue truffe sono le nostre truffe. I suoi furti sono le nostre «creazioni».

Rubando il granturco, Coyote se l’è immaginato già «cotto». Ma lui, della «cottura» non è capace. Incontrando la tartaruga, Ermes se l’è immaginata già «lira». Però Ermes la lira non la sa suonare.
È l’Immaginazione che non ha tempo da perdere: ciò che immagina è già «realtà». Perché dunque attardarsi in una procedura simbolica a «realizzarlo» realmente? e quand’anche fosse realmente realizzata, l’immagine non sarebbe proprio così mortificata, degradata, sfigurata, alterata?
Ma sì: quello che a prima vista sembra un mito sull’origine di un certo «bene» (il granturco per Coyote, la lira per Ermes), è in realtà sempre un mito sulla perdita dell’immaginazione perfetta di quel «bene».