L’erma originaria si trovava sul monte, nella cui grotta era venuto alla luce il bambino Ermes. Quella grotta era un luogo originario caotico, della stessa natura di quello indicato col nome «Delfi» [«grembo, utero»].
In un’antichissima sede di culto [a Pharai, in Arcadia], Ermes aveva, oltre all’erma, una sorgente con pesci che gli appartenevano e che non si dovevano pescare.
Nell’Inno omerico a Ermes manca, tuttavia, ormai ogni tratto di primitività: la grotta vi figura già come degna dimora di una dea, madre di un figlio di Zeus, e il bambino Ermes entra subito nel mondo dell’ordinamento olimpico, e quando abbandona la grotta, sono il nostro sole e la nostra luna a splendere sopra di lui. Nell’Inno accadono soltanto quella specie di fatti che sono possibili al chiaro di luna: fatti peculiari di quel mondo di Ermes che anche Omero conosce e riconosce.
Il poeta omerico ha misura. La grandezza della sua arte sta nel rappresentare nella figura di un fanciullo un aspetto del mondo che nello stesso tempo costituisce un intero cosmo a sé.
Ermes, in rapporto agli dèi adulti, deve rimanere nei limiti della sua figura infantile, mentre le orme dei piedi di un fanciullo divino indù sono orme gigantesche nel caso di Ermes. E con ciò non fa, di nuovo, che illustrare la figura di Ermes, padre di tutte le astuzie.
Ma anche in questo mondo omerico naturale, al primo incontro fatto da Ermes, emerge qualcosa di primitivo ed elementarmente mitologico. La casualità di quest’incontro è caratteristica per Ermes ed è primitivo-elementare solo in quanto il caso è in generale una qualità inerente del caotico stato originario: questo tratto del mondo primitivo passa nel mondo olimpico mediante la figura di Ermes.
Un animale del mondo primitivo è la tartaruga che il bambino Ermes incontra. Anche la più giovane tartaruga sembra l’animale più vecchio del mondo. Ed essa è, infatti, un animale delle antichissime mitologie.
I Cinesi vedono in essa solo la madre, la vera Madre fra gli animali. Gli Indù venerano in Kašyapa, l’uomo-tartaruga, un Primo Padre degli Dèi; per loro il mondo riposa su una tartaruga, forma d’apparizione di Visnu: dimorando fra le basi più profonde del mondo, essa regge tutto il corpo cosmico.
Il suo nome italiano, tartaruga, conserva una denominazione della tarda antichità, che la definisce portatrice del più profondo strato cosmico, il Tartaro (ταρταροῦχος). Del resto, essa è, sia pure in modo meno appariscente del delfino, una delle metamorfosi di Apollo.
Nell’Inno omerico però essa appare solo come un animale senza sospetto, giocattolo e vittima di un fanciullo ingegnoso: un fanciullo divino, s’intende. Essa sembra non avere affatto un carattere più cosmico di quanto ne hanno in generale i giocattoli degli dèi, ove questi siano dèi greci e non trascendano l’ordinamento naturale del mondo. Ciò che avviene della tartaruga è soltanto un miracolo omerico. Qualcosa di divino si rivela per mezzo di essa: Ermes con essa fabbrica la lira.
Ma questa prima lira, invenzione del fanciullo Ermes, che Apollo riceverà da lui in regalo, non è tuttavia, sotto un certo aspetto, di carattere cosmico? Noi intendiamo qui per cosmica una realtà che può manifestarsi tanto nel linguaggio mitologico, quanto nelle forme della filosofia o della matematica, della musica o di qualunque arte in genere.
Questa possibilità di manifestarsi è inerente alla natura del mondo, che è, infatti, ideomorfa, vale a dire anche spirituale e adatta quindi ai modi di espressione filosofici e matematici. Ma è anche immaginifica e musicale, e tutto ciò insieme.
Della ricchezza d’immagini della mitologia più facilmente si può parlare in termini musicali. Il primo che ha osato riconoscere la natura musicale della realtà nella materia più immaginifica, la grande pittura, è stato K. Tolnay. E un altro studioso ungherese, D. Kövendi, ha messo in rilievo come la nascita del nostro Fanciullo divino, nella sua qualità di Eros Proteurythmos, significasse per i Greci l’ordinamento ritmico-spirituale dell’universo.
La lira nelle mani del Fanciullo esprime questa musicalità del mondo, anche indipendentemente dalle intenzioni del poeta. Essa è caratteristica anzitutto di Ermes stesso. Il poeta omerico intuiva la natura musicale del mondo come una cosa fondamentalmente «ermetica» e l’ha realizzata nel colore Ermes dello spettro cosmico.
Egli stesso non ambiva certamente a questa musica primordiale, bensì al suo grado più alto, apollineo. Poiché però anche il fanciullo a cavallo del delfino (di nome, per esempio, Phalantos) regge una lira in mano, non dobbiamo pensare soltanto a una connessione di questa figura con Apollo Delfinio, ma a una connessione più generale, primordiale e anteriore a ogni denominazione particolare, fra acqua, fanciullo e musica.
(Kerényi, Il fanciullo divino, in Jung-Kerényi, Introduzione allo studio scientifico della mitologia)
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Per quanto «aggiornato» ai tempi omerici – intendiamoci bene: ai tardi tempi degli ultimi «aedi» – il mito di Ermes conserva, dice bene Kerényi, i suoi due tratti più primordiali: la tartaruga e la lira.
La tartaruga è un animale, la lira uno strumento musicale – la tartaruga è natura, la lira è cultura. Ermes è il dio capace di questa ingegnosa metamorfosi che fa, del misero guscio di un animale, un potente mezzo culturale. Da un «resto» vuoto qual è il carapace di una tartaruga morta, Ermes estrae lo strumento di una nuova vita – di una vita «musicata» al di là di quella «vissuta» secondo natura.
È la tartaruga stessa che così prolunga la sua esistenza oltre i suoi confini naturali. Essa pure «si umanizza», che dico? – si «deifica» addirittura se e quando, come la prima volta, a suonarla è Apollo.
Dunque: Ermes fabbrica, e Apollo suona la lira. Ermes immagina, e Apollo traduce su una scala di note le sue immaginazioni. È sempre la solita storia: Mastro Ciliegia «trova» il ceppo prodigioso, ma solo Mastro Geppetto è in grado di estrarne un burattino.
Ermes è immerso negli strati più profondi, nel Tartaro, del suo primitivo linguaggio immaginario. È buono solo a «pescare» da laggiù la materia prima di un mondo nuovo – la materia ancora allo stato grezzo, naturale, animale – ed è capace, con l’immaginazione, anche di trasformarla questa materia, ma non giunge mai, come Apollo, a estrarne «surrealtà», o a farla simboleggiare.
Ermes è troppo bambino per frequentare l’Olimpo linguistico: perciò quale «filosofia» puoi pretendere da lui? e quale «matematica» vai trovando, se per lui ancora nulla «conta»? Suonare la lira è mestiere di chi, come Apollo, parla la lingua dei segni.
Ermes non conosce nessuna metrica, la sua immaginazione non ricade in nessuna ripetizione. Tutto, nel suo mondo, è incontro casuale, episodico, singolare. Visto da qui, quel mondo è caos. Quel mondo non ancora suonato, quel mondo in cui niente ancora conta, quel mondo senza numero e che, senza numero, non sa ancora «portare il tempo», è tuttavia «pieno di dèi» diceva Anassimandro, «pieno d’idee» lo corresse Platone, «pieno d’ingegno» comunque in entrambi i casi. È il mondo delle Astuzie, il mio mondo – disse, dall’altra parte dell’Oceano, Coyote. È il mondo delle Creazioni, è mio finanche l’Alfabeto – replicò l’Ermes egizio, Thot.
Lasciamoli pure a discutere tra loro. Coyote, Thot, Ermes e tutti i loro «affini» sparsi per il Racconto, non sono che gli Interpreti «dialettali» di un unico Personaggio, il Fanciullo, il Bambino, il Guaglione – che parla dal fondo, dal Tartaro profondo, dall’inconscio di tutte le lingue del mondo, e da laggiù le alimenta e le rinnova istante per istante.
Il paradosso di ogni sua interpretazione, è che questo Personaggio è proprio l’Interprete – quello «che è più vicino a Dio», il walî, l’amico intimo, il confidente di Dio, dicono i mistici musulmani.
Coyote, Ermes, Thot interpretano, dunque, l’Interprete – il Fanciullo che interpreta il mondo, le sue lingue, i suoi segni, quando ancora non parla, non significa e non simboleggia un bel niente. Questo Primo Interprete del Mondo che vive nel Tartaro della nostra mente immagina soltanto. E tanto gli basta per farsi un’immagine del Mondo in cui è capitato per caso.
Sappiamo su quale specchio il Fanciullo la vede riflessa. La vede ondulare sulla Superficie di quell’Oceano che ci stiamo attrezzando a chiamare Coscienza.
La vede (vede in realtà le «vacche di Apollo») e la «ruba», se la porta a casa e la fa «propria», per trasformarla a misura del suo ingegno. Quell’immagine nel mondo ermetico rimane immagine, non assurge mai a segno, ma diventa, al più, materia di un’altra immagine ancora. La tartaruga è diventata una lira – ma Ermes non la sa suonare. Egli la può solo «donare» ad Apollo in cambio delle «vacche» che gli ha rubato.