Una indigena, sposata da poco tempo, incontrò un giorno un tapiro che la corteggiò assiduamente. Questi disse di aver assunto sembianze animali per avvicinarla più facilmente quando essa si recava nei campi: ma se la donna avesse acconsentito a seguirlo verso oriente, sino al punto il cui il cielo e la terra si congiungono, egli avrebbe allora ritrovato le sue sembianze umane e l’avrebbe sposata.
Stregata dall’animale, la giovane finse di voler aiutare il marito che andava a cogliere delle pere avocado. Mentre quest’ultimo si arrampicava sull’albero, la moglie gli tagliò la gamba con un colpo d’ascia e fuggì.
Benché perdesse sangue abbondantemente, il ferito riuscì a trasformare magicamente una delle sue ciglia in uccello, il quale andò a cercare aiuto. La madre dell’eroe arrivò in tempo sul luogo del dramma, curò il figlio e lo fece guarire.
Munito di una stampella, l’infermo si mise alla ricerca della moglie, ma le piogge avevano cancellato le sue tracce. Riuscì però lo stesso a raggiungerla, osservando i germogli del pero avocado che erano spuntati dove essa aveva mangiato i frutti e gettato i noccioli.
La donna e il tapiro erano insieme. L’eroe uccise l’animale con un colpo di freccia e gli tagliò la testa. Poi supplicò la moglie di tornare con lui, altrimenti l’avrebbe inseguita eternamente. La donna si rifiutò e riprese il proprio cammino, precedendo l’anima dell’amante, mentre il marito correva alle sue spalle. Giunta all’estremità della terra, la donna balzò in cielo.
Quando la notte è chiara, si può sempre vederla (Pleiadi), accanto alla testa del tapiro (Iadi con l’occhio rosso: Aldebaran): subito dietro c’è l’eroe (Orione, dove Rigel corrisponde alla parte superiore della gamba sana) che dà loro la caccia.
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Questo e altri miti in cui una sposa dissoluta taglia la gamba al marito, si riferiscono tutti alle Pleiadi, da sole o con costellazioni vicine (Iadi, Orione).
Ora però, mentre altrove è il corpo mutilato del marito a divenire la Pleiade, e la sua gamba il Cinto di Orione, nel nostro mito invece è la donna stessa che diviene la Pleiade, la testa del tapiro diventa le Iadi, e Orione raffigura il marito (meno la sua gamba mozzata).
Il mito del tapiro seduttore introduce dunque una variazione nel codice astronomico [da una Pleiade «maschile» si passa a una Pleiade «femminile»].
Ma è soprattutto il codice sociologico che merita attenzione. Esso dimostra la complementarità dei due cicli che abbiamo ricostruito [del tapiro seduttore e della ragazza folle di miele], pur ricollocandoli in un insieme molto più vasto.
La ragazza folle di miele del mito della Guayana e l’amante del tapiro che vediamo apparire qui come in altri miti, sono entrambe mogli adultere; ma esse lo sono in due modi i quali esemplificano le forme estreme che questa colpa può assumere: sia con un cognato che rappresenta la tentazione più vicina, sia con una bestia della foresta che rappresenta la tentazione più lontana.
L’animale infatti appartiene alla natura, mentre il cognato, la cui vicinanza risulta dalla parentela acquisita per via matrimoniale e non da un rapporto di consanguineità, che sarebbe ancora biologico, appartiene esclusivamente alla società:
(tapiro : cognato) :: (lontano : vicino) :: (natura : società).
Non è tutto. Il problema posto dai nostri miti concerne continuamente la parentela acquisita. Ma si fa luce adesso un’importante differenza tra miti e miti: finora avevamo incontrato miti in cui i parenti acquisiti erano soprattutto fratelli di mogli e mariti di sorelle, vale a dire rispettivamente: donatori e prenditori [di donne], e nella misura in cui ogni parentela acquisita implica il concorso di queste due categorie [dono e possesso], si trattava di cognati reciprocamente inevitabili, il cui intervento presenta un carattere organico e i cui conflitti sono perciò un’espressione normale della vita in società.
Viceversa, c’è un altro gruppo di miti in cui il parente acquisito non è un partner obbligatorio, ma un concorrente facoltativo.
Il cognato della donna – sia che venga sedotto da lei o che svolga egli stesso la parte di seduttore – è sempre un fratello del marito: membro del gruppo sociale, certo, ma l’esistenza del quale non è richiesta perché si stringa la parentela acquisita e che, nella costellazione domestica, figura come termine contingente.
Fra gli insegnamenti che i Baniwa impartiscono ai novizi c’è quello di «lasciar stare le mogli dei fratelli». Una considerazione teorica della società implica infatti che, per essere certo di ottenere una sposa, ogni uomo deve poter disporre di una sorella. Ma nulla esige che egli abbia un fratello. Come spiegano i miti, ciò può anzi divenire un fatto imbarazzante.
Il tapiro è certo un animale, ma di cui i miti fanno un «fratello» dell’uomo, in quanto toglie a quest’ultimo il possesso della moglie.
C’è un’unica differenza: se, per il fatto di esistere, il fratello umano si trova automaticamente inserito nella costellazione della parentela acquisita, il tapiro vi penetra invece in modo brutale e imprevisto, solo in virtù dei suoi attributi naturali o come seduttore allo stato puro, ossia come un termine socialmente nullo.
Nello scacchiere sociale della parentela acquisita, l’intrusione del cognato umano è accidentale, quella del tapiro assume le proporzioni di uno scandalo.
Ma, sia che rivolgano la loro attenzione alle conseguenze di uno stato di fatto o a quelle determinate dal sovvertimento di uno stato di diritto, i miti si occupano sempre, come abbiamo suggerito, di una patologia della parentela acquisita.
(Lévi-Strauss, Dal miele alle ceneri)
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Quello del miele, s’è detto, è un «sistema chiuso»: hai voglia a rincorrere Donna Miele attraverso tutte le sue metamorfosi – non troverai una via d’uscita dal Dramma: ogni apparizione di Donna Miele, quali che siano le sue sembianze momentanee (di Ape, Rana o Giaguaro), è solo il preludio a una sua rinnovata sparizione.
Il luogo proprio dell’Insolito – del Miraggio o dell’Incantesimo – è il Solito che di solito lo nasconde. Il Miele (e su questo il pensiero sudamericano non ammette dubbi) è l’uno e l’altro: è il dolce «fuori ordinanza», che si trova solo tra i «bocconi amari». Non è il nostro «miele» sinonimo, cento per cento, di Dolcezza. È un «miele» di cui ogni volta non si sa, è tutto da scoprire se è miele d’ape o di vespa, se è buono o se è tossico.
Il consumo di Miele comporta, e non solo per il sudamericano, sempre un rischio: lascia irrompere la Natura nella rete dei già di per sé difficili rapporti sociali – di quella «società» di cui i parenti acquisiti (anzitutto, i cognati) costituiscono, a detta di Lévi-Strauss, la prima cellula di «alleanza».
Il consumo di Miele è sempre il cedimento a una Tentazione, comporta sempre un’esposizione, quando non una soggezione, alla potenza di seduzione di un «nutrimento naturale», di un cibo «nudo e crudo», di un cibo che non ha bisogno della Cucina, e dunque della Cultura, per essere servito in tavola. Anzi, un cibo che, di preferenza, si consuma lontano dal desco familiare, furtivamente, a tradimento della «famiglia». Se deve essere assunto selvaggio, che selvaggio sia fino in fondo! O no?
Sia qui detto en passant: la Società non ha nulla da temere dalla Cultura – questa le cucinerà, magari, delle pietanze un po’ pepate, ma non ne minerà mai le basi; viceversa, è la Natura la sua unica e reale Antagonista.
È la Natura che fa saltare gli equilibri «sociali». Sono i Nomadi venuti dal Nord che fanno razzie nella Piazza del Mercato. Non sono nostri soldati che avrebbero disertato. Sono i Selvaggi che squartano e mangiano il bue vivo, senza passare per i fornelli. Sì, sono Loro la vera minaccia. Loro che costringono l’Imperatore ad affacciarsi alla finestra che dà sulla piazza.
Di questi «nomadi» (estranei a ogni cultura e a ogni società, ignari, avrebbe detto un greco, delle Leggi di Temi e di Dikê), il tapiro è, un po’ meno kafkiano, certo, ma un buon interprete, se non il prototipo sudamericano. Era il primo Signore, dicono i miti, dell’Albero del Cibo (noialtri diremmo della Vita). Il primo, l’antico, il Bestiale.
Ma tu senti che dice! Dice che ora si trova ad avere le sembianze di un animale, ma che domani, se sarà fortunato e l’Amata lo seguirà fin là dove il Cielo e la Terra si toccano, lui riprenderà il suo aspetto umano.
Come non pensare al Serpente del Mare dei racconti Zuñi? Lui sì che ci riesce, infine, a «rigenerarsi» come Uomo. Ma ci riesce solo una volta passato al di là della Montagna della Pittura Rossa, solo una volta diventato irraggiungibile al nostro (solito) sguardo. Solo là dove Cielo e Terra si toccano, solo là dove l’Immediato «nudo e crudo» ha il potere magico di vanificare in un sol colpo tutte le possibili mediazioni – solo là il Tapiro, o il Serpente, insomma il Seduttore, tornerà a essere l’Uomo che fu.
Lévi-Strauss ha scoperto una bella cosa (non è la sola). Ha scoperto che il tapiro seduttore è il protagonista di un ciclo di miti parallelo a quello della ragazza folle di miele. Ha trovato che in entrambi i cicli è posta la stessa questione, una volta al maschile, e l’altra al femminile: la questione della Seduzione.
E che dunque, nel Racconto, la Donna non solo seduce, non solo è «soggetto di seduzione» e dunque è Miele allettante, ma è insieme a sua volta avida di miele, e dunque sedotta (e con ciò trascinata via, tirata via per i capelli, dal sistema chiuso di cui sopra, che ne faceva sempre e comunque l’Agente della Seduzione).
Il «sistema Miele» si apre dunque al prezzo di una forzatura.
Il Racconto sa che deve scassinarlo, per far prendere una boccata d’aria a tutti i Personaggi che vi ha rinchiuso dentro.
Ma ditemi voi: come si fa a scardinare un mito, come può farlo il Racconto stesso, se non brutalizzando e seviziando le proprie stesse «categorie»?
La prima che manda all’aria (di’ la verità, c’eri cascato anche tu!) è quella della Donna Seducente, su cui si regge l’intero Sistema «Miele».
Se la Donna è così «seducente», dice il Racconto, è perché un «seduttore» ha esaltato in lei questa «potenza» (inconscia). Un Seduttore, a essere più precisi, gliel’ha scritta addosso. L’ha «realizzata» sul suo corpo «naturale». E proprio perciò, da quel momento, dall’istante in cui l’ha vista e insieme desiderata (eccolo qua un altro miraggio!), è diventato un animale. La sua «natura» l’ha vinto. Eppure lui dice, e ne è convinto, che gli basterebbe unirsi alla sua Amata là dove Cielo e Terra si toccano, perché l’altra sua «natura», la sua più originaria «natura di uomo», tornerà a riscattarlo.
Siamo alle solite. Chi dei due ha cominciato? Lui o Lei?
In nessuna storia si saprà mai rispondere.
Se Lui non avesse visto niente in Lei, se non avesse udito nessun richiamo venire a lui dall’immagine di Lei, se non l’avesse immaginata quando ancora era chiusa nell’Albero, se non l’avesse allevata e nutrita a fare la sua Sposa, a procurargli il Miele della sua presenza – come avrebbe mai potuto Lei sedurlo?
La Donna starebbe tuttora lì, a vegetare nel Tronco del suo «essere naturale».
Ma viceversa, se Lei non fosse naturalmente così bella, così attraente e, insieme, pardon: così scema da accettare d’assoggettarsi al rango di «oggetto» d’immaginazione e di desiderio, se Lei naturalmente non fosse avida di miele, golosa cioè proprio di quel cibo che è Lei in persona, insomma se Lei non stesse a questo gioco (crudele) fondato sulla disparità del suo sesso, fondato cioè sul suo asservimento alle Scritture del Maschio, ai Tatuaggi, ai Tacchi a spillo, e perfino al Rimmel – sai dirmi tu come potrebbe sedurre uno di noi?
Occhio rosso, mi raccomando! Occhio al tapiro Aldebaran!
Altrove, per es. in India, l’Amante della Rossa, Rohinî, è un toro, ma tu non farti ingannare dalle metamorfosi animali: tutte, se ci fai caso, condividono lo stesso colore, la Montagna della Pittura Rossa, l’Occhio Rosso del Tapiro e il nome addirittura della Stella Toro.
Ma, rosso non è notoriamente il colore di Marte? Non è il colore dell’«ira», del furore, della pazzia, e insieme del sangue?
Ogni volta che si rompe un’alleanza (il sistema è chiuso, l’acqua stagnante, la noia che avanza), il «colore» dell’evento è simbolicamente il colore più cruento.
Ciò che si strappa, è il Simbolo stesso – e perciò, anche se non si vede (ed è meglio che non si veda), c’è spargimento di sangue perché il linguaggio simbolico è l’unico garante della «parentela acquisita», ne è il fondamento. Proprio quello che l’irruzione del «nutrimento naturale» viene a scuotere.
Ora sta che il Racconto, per uscire dal torpore dei «sistemi chiusi» che esso stesso ha sparso e sparge per la Rete, per saltare – diciamo così – dall’uno all’altro, e in modo che ciascuno supporti lo squilibrio dell’altro e mantenga così l’insieme vivo e dinamico, ha bisogno come il pane di queste «scosse». Di queste intrusioni naturali.
Come dice una favola africana, basta mandare una bella figliola, una che è nata per fare la Seduttrice, in mezzo a un popolo di Seduttori che fingono di non sapere d’esserlo, per mandare all’aria non solo la Trama, ma nientemeno la Sintassi, e non solo dei loro Racconti, ma addirittura delle loro Leggi.
E tutto questo solo perché c’è un buco, intorno al quale il Racconto può girare in eterno, senza mai riuscire a raccontarlo.
È l’occhio rosso che, quando la notte è chiara, brilla in cielo dalla stella Aldebaran. Da quel buco Sansone (c’è bisogno di dire che era, come Marte, un «furioso»?) fece zampillare l’acqua di una nuova sorgente. L’acqua di un nuovo racconto in cui rinnovare l’irrisolto nodo della questione: chi ha cominciato a «sedurre», io o Lei? E questo mio «io» è il sedotto o il seduttore? l’ingannatore o l’ingannato?