Bretagna – Chi guarirà il folle Lancillotto?

Re Artù era un poco sofferente: si coricò da solo in una camera dalla parte dell’acqua; grazie a ciò la regina poté fare approntare il proprio letto in una stanza che dava sul giardino; poi, avendo allontanato le pulzelle per evitare il rumore e riposare meglio, così disse, ricevette Lancillotto. Ma quando si furono deliziati come coloro che s’amano più d’ogni altro al mondo, ella si mise a piangere.
«Ah! bello e dolce amico – disse – avete inteso ciò che ha detto mio nipote Galvano: che il Ginevra-Lancillotto-abbracciofiglio della regina dai grandi dolori ha perduto l’onore di scoprire la verità del Santo Graal a causa del suo peccato. Siete voi. Preferirei non essere mai nata».
«Signora, dite male. Sappiate che senza di voi mai sarei pervenuto all’altezza in cui sono, ché ben sapevo che non vi avrei conquistata che grazie alla mia prodezza. È l’amore che ho per voi che mette ogni forza nel mio cuore».
La regina scosse il capo sospirando …

Intanto, al Castello Avventuroso, la figlia del re Pelles chiese il permesso al padre di recarsi alla corte di re Artù, ché amava Lancillotto, da cui aveva avuto il figlio Galaad, quanto una donna può amare un uomo.
Il re glielo accordò volentieri, ed ella si mise in viaggio in compagnia della governante Brisane e di quaranta cavalieri.
Il re e la regina le fecero la migliore accoglienza che poterono, tanto per la sua beltà quanto per la nobiltà e grandezza del suo lignaggio; e tutti, poveri e ricchi, ma più degli altri i tre cugini, Estor, Lionello e Bohor, si presero cura di servirla e onorarla. Ella tuttavia non aveva occhi che per Lancillotto. Da parte sua, costui pensava che avrebbe commesso un crimine troppo grande, se quella volta avesse ucciso una donna sì bella; pure non osava guardarla, tanto era pentito di ciò che aveva fatto con lei.

Ora, il martedì sera dopo la Pentecoste, la regina gli mandò a dire in segreto che l’avrebbe mandato a chiamare, la notte, quando tutti si fossero addormentati. Ma Brisane, la vecchia più scaltra che vi sia mai stata, faceva buona guardia intorno a Lancillotto, di modo che sorprese il messaggio. E, appena si fu coricato, ella si affrettò a inviargli una pulzella che gli disse: «Signore, madama vi manda a dire che veniate all’istante».
«Vi andrò», rispose Lancillotto che pensava si trattasse della regina.

Ciò detto, salta fuori dalle lenzuola e segue la pulzella. Ella lo condusse al letto della figlia del re, accanto alla quale egli si coricò senza dire parola, per prudenza, sì che non la riconobbe, ed entrambi fecero la gioia e il piacere l’uno dell’altra, dopo di che si addormentarono, felici, l’uno d’aver tenuto stretta la propria dama (così credeva), l’altra d’aver avuto colui che amava di più al mondo.

amanti-dormienti

La regina, intanto, aveva inviato a cercar Lancillotto la cugina, della quale si fidava come di se stessa. Ma la pulzella ritornò a dire che egli non era nel suo letto. Dopo aver atteso un po’, la regina inviò nuovamente la damigella; ma costei ebbe un bel tastare il letto e cercare, anche questa volta non vi trovò Lancillotto.
E allora la regina fu sì inquieta e dolente che, a mezzanotte, non potendosi più trattenere, si recò ella stessa dall’amico. Non vi vide nessuno, ma intese che nella camera vicino qualcuno si lamentava, come avviene a persona che lo faccia nel sonno. Ascoltò, riconobbe Lancillotto, senza riflettere aprì la porta, si avvicinò al letto, afferrò l’amico per la mano e: «Ah! traditore sleale – disse – che davanti a me commettete le vostre ribalderie! Fuggite da qui e non ricomparite mai più davanti ai miei occhi!».

A sentir ciò, Lancillotto, smarrito dal dolore, lascia la camera senza osare proferire parola, a piedi nudi, in brache e camicia com’era, raggiunge il cortile, poi il giardino, esce dalla città per una postierla e se ne fugge per la campagna.
«Ah! signora – diceva intanto la figlia del re Pelles – avete agito male cacciando sì villanamente l’uomo più valente del mondo! Ve ne pentirete».
«Damigella – rispose la regina – è a voi che devo questo! Sappiate che se ne troverò donna-tradital’occasione, vi ricompenserò come si deve!».
Tuttavia, quando la figlia del re Pelles le ebbe spiegato tutta la faccenda, ella cominciò a piangere e a far mostra del più grande dolore.

Quando ebbe lasciato Camelot, Lancillotto, seminudo com’era uscito dal letto della figlia del re Pelles, cominciò a strapparsi i capelli e a graffiarsi il viso.
«Ah! Camelot! – gridava – bella città, sì adorna di signori, di dame, di ogni bella cavalleria, grazie a te ho cominciato a vivere quando ho conosciuto la mia dama, ed è per te che comincio a morire. Morte, affrettati!».
Per una settimana errò nei luoghi selvaggi della foresta, procedendo a caso, gemendo giorno e notte, e senza bere né mangiare, sì che infine gli si svuotò la testa e perdette il senno.
Ben presto divenne irsuto, e scuro in viso, come colui che non conosce altra acqua che quella che cade dal cielo: in breve, sì nero, bruciato e meschino, che in capo a un mese nessuno avrebbe saputo riconoscerlo. E passò tutto l’inverno a piedi scalzi, senz’altro abbigliamento che la camicia e le brache.

Un giorno di gran freddo, arrivò davanti a un padiglione drizzato in una radura; alla porta, avevano piantato un palo cui avevano appeso una lancia, una spada e uno scudo. Subito Lancillotto sguaina la spada e dà gran colpi sulla lancia che spacca e sullo scudo che manda in pezzi, facendo tanto fracasso quanto dieci denti d’arme in combattimento.
Al rumore, uscì un cavaliere, vestito di caldi stivali e d’un abito di scarlatto ben foderato, che, a vederlo seminudo e in un sì cattivo stato, comprese che era in frenesia.
«Colui che lo risollevasse e lo riconducesse nel suo giusto senno compirebbe atto di gran misericordia», pensò quel buon signore, che aveva nome Bliant, e corse a prendere delle armi per disarmare il folle senza danno.

Ma, appena si avvicinò: «Signore – gli gridò Lancillotto – lasciatemi fare la mia battaglia!».
E poiché Bliant continuava ad avanzare, gli assestò un tal colpo sull’elmo che la lama volò in pezzi e il cavaliere crollò stordito. D’un subito, Lancillotto getta la spada, entra nel padiglione da cui una damigella fugge via con la sola camicia e gridando spaventata, salta nel letto che trova ben caldo e presto si addormenta.

Lancillotto-padiglione

Intanto la damigella slacciava l’elmo dell’amico.
«In fede mia – esclamò Bliant riaprendo gli occhi – non credevo che uomo nato da donna potesse colpire sì forte! Se piacerà a Dio, lo nutrirò e veglierò su costui finché non ritroverà il senno, ché è certamente buon cavaliere».
E, aiutato dallo scudiero, con catene e corde, legò al letto Lancillotto addormentato e lo fece così trasportare nel suo castello.
Lo trattenne là per il resto dell’inverno, poi tutta l’estate, ma non poté guarirlo, per quanto facesse. Lancillotto, ben nutrito, vestito di ricchi abiti, aveva ritrovato la sua grande bellezza e sembrava ora sì tranquillo, che si finì per lasciarlo andare a suo piacere, senz’altro impedimento che una piccola catena ai piedi perché non s’allontanasse. Rimase così presso il suo ospite due anni.

Un giorno che era seduto sul muro del castello, vide passare un cinghiale cacciato da Bliant e dai suoi cacciatori, e gli venne un gran desiderio di andare con loro. Volle correre, ma trovandosi impacciato dalla catena, se ne irritò, e la torse sì rudemente che la ruppe; poi scese gli scalini, le caviglie sanguinanti, saltò su un cavallo ben sellato che un sergente aveva lasciato legato nel cortile, fece forza con gli speroni finché raggiunse la caccia; ed eccolo gridare alla muta e incitarla, come colui che s’intende di ciò a cinghiale-cacciameraviglia, tanto che infine il verro s’arresta e comincia a far fronte ai cani, e in poco tempo ne uccide diversi.
Tutti i cacciatori erano stati distanziati, tranne Bliant. Costui avanzò con lo spiedo in mano, ma mancò il colpo, e la bestia, furiosa, fendette il ventre del cavallo che s’abbatté in tal maniera che la testa del cavaliere urtò rudemente il suolo, ed egli rimase a terra svenuto.

In quel momento arrivava Lancillotto: vedendo in grande pericolo Bliant, da cui aveva avuto buona accoglienza, salta a terra senz’altra arma che lo stocco che aveva trovato appeso all’arcione della sella e, poiché il cinghiale caricava contro di lui, lo abbassa sulla sua testa con tal forza che gli fende il cranio fino al cervello. Poi getta l’arma e s’allontana a piedi senza saper più cosa faccia, lasciando l’ospite svenuto accanto alla bestia morta.
Nuovamente errò per i boschi e, poiché non trovava più molto da mangiare, ridivenne magro e sporco, e meschino come prima.

Un giorno, Dio volle che arrivasse davanti al Castello Avventuroso. Vi entrò; ma i fanciulli, che non tardarono ad accorgersi della sua follia, gli gettarono fango e stracci; e, cacciato da costoro di strada in strada, arrivò fino al palazzo e vi entrò.
Là, gli diedero da mangiare per pietà, ed egli si saziò, ciò che gli fece gran bene al corpo, ché era molto tempo che non gli accadeva; dopo di che, il povero folle andò a coricarsi in una stalla, su un poco di fieno, e s’addormentò.

Ma una volta che dormiva nel verziere, la figlia del re, che giocava con le damigelle, andò a nascondersi proprio nello stesso luogo, e visto un uomo addormentato, ebbe dapprima paura; poi cominciò a guardarlo, con sempre maggiore attenzione, sì che infine lo riconobbe.
Subito disse alle pulzelle che era sofferente e corse dal padre, più dolente di quanto donna lo fu mai.

Burne-Jones-Lancillotto-addormentato

«Sire, volete vedere una meraviglia?».
«Quale, mia bella figlia?».
«Messer Lancillotto del Lago è qui».
«Qui? Non può essere: Lancillotto è morto».
«Venite con me: ve lo mostrerò».
Il re osservò a lungo l’uomo addormentato.
«Mio Dio! – disse infine – in quale stato! Ma noi cercheremo di guarirlo». E, dopo aver raccomandato alla figlia di non dire nulla, lo fece legare dagli scudieri e trasportare al palazzo del Graal, dove lo lasciò solo.

E lì, quando giunse l’ora della meraviglia e la colomba volò tenendo nel becco l’incensiere d’oro, e il santo vaso passò come faceva ogni giorno, sostenuto da mani invisibili (ché la figlia del re aveva perduto con la verginità il potere di portarlo), subito Lancillotto si sentì guarito: ritrovò la memoria, acquistò il giusto senno e riconobbe il dama-graalPalazzo Avventuroso dove era già stato.
Ruppe le corde con cui l’avevano legato e corse ad aprire la finestra che dava sul verziere. Re Pelles era là, che attendeva.

«Signore – egli fece – Dio vi conceda buona giornata!».
«Sire – rispose Lancillotto – che Nostro Signore vi benedica!».
Scese e il re gli raccontò la verità su quello che era accaduto.
«Signore – mormorò Lancillotto chinando il capo – vi prego in nome di Dio di dirmi se qualcuno mi ha riconosciuto».
«No davvero, all’infuori di me e di mia figlia».
«In tal caso, consigliatemi nel nome del Salvatore. Ahimé! Ho tanto mancato verso il regno di Logres che non vi potrò mai più ritornare senza che mi sia ordinato. Vorrei rimanere in un luogo dove nessuno mi conosca».
«Possiedo qui vicino un’isola disabitata».
«Signore, molte grazie. Vi andrò appena farà notte».

Così Lancillotto si ritirò nell’isola di re Pelles, il Ricco Pescatore, accompagnato da qualche scudiero per servirlo. S’era fatto indicare il punto della riva che era più vicino al regno di Logres e ogni mattina andava a sedervisi e a guardare verso il paese cui il suo cuore l’attirava.
Certo, nessun altro all’infuori di lui avrebbe saputo sopportare tanta pena senza morirne; ma egli aveva l’animo sì nobile che da quello stesso dolore che sopportava per amore traeva qualche dolcezza.

(Il castello avventuroso, 29, 34, 40-41)