«Passiamola con gli antichi questa notte!», esclamò il Narratore.
«Ma sì, passiamola quest’antica notte!», risposero in coro gli Ascoltatori.
***
Ai tempi dei nostri avi, sulla Montagna Tuono sorgeva un villaggio chiamato Casa delle Aquile. Ora è in rovina: i tetti hanno ceduto, le scale sono crollate, i focolari sono spenti. Ma quando era vivo, era la dimora di una bella fanciulla, la figlia del capo sacerdote. Era bella, molto bella, questa fanciulla, ma aveva una strana fobia: non tollerava il più piccolo granello di polvere o di sporcizia sui suoi abiti o sulla sua persona.
Ecco perché era continuamente a lavarsi nell’acqua della sorgente che zampillava ai piedi della Montagna. Quella però era una sorgente sacra: ora la chiamiamo la Pozza degli Apache, ma allora era sacra a Kolowissi, il Serpente del Mare. E dunque: ogni volta che vi sciacquava i suoi panni o vi s’immergeva di persona, la fanciulla contaminava quel sacro luogo.
Ed ecco che un mattino, che come al solito si era recata alla sorgente, la fanciulla vi trovò un bambino sorridente che sguazzava nell’acqua.
La fanciulla si guardò attorno, e non vedendo nessuno si domandò: «Di chi può essere questo bel bambino? Quale madre può essere stata così crudele da lasciarlo qui ad annegare?».
La fanciulla parlò poi dolcemente al bambino, lo prese in braccio e lo portò su per la collina fino a casa. Là lo portò nella sua stanza, dove viveva appartata dalla famiglia per via della sua ripugnanza per la polvere e la sporcizia.
Intanto, le sorelle più giovani avevano preparato il pasto della sera e la stavano aspettando: «Dove mai può essere?», si chiedevano.
«Di sicuro è ancora alla sorgente – rispose il padre. – Andatela a chiamare!».
Andò la più giovane delle sorelle, ma, non avendola trovata, tornò a casa e salì nella camera della sorella. La fanciulla era là, seduta sul pavimento a giocare col bambino!
Quando il padre lo venne a sapere, ne fu subito contrariato. Era il capo dei sacerdoti e non poteva ignorare che le acque della sorgente erano sacre, e che una volta profanate non mandavano doni o favori, ma sciagure e punizioni.
«Credete poi che una vera madre – disse alle figlie – credete che lascerebbe il bimbo in una sorgente? Le cose non stanno come sembrano. State lontane dal bimbo!». E vietò loro di entrare nella stanza.
Era ormai notte, il bimbo sbadigliava e la fanciulla lo mise a letto e si mise a giacere accanto a lui. Il sonno della fanciulla era vero, quello del bambino invece era una simulazione.
Il bambino, in realtà, era Kolowissi, il Serpente del Mare. Sicché, appena si distese, cominciò ad allungarsi sempre di più. E quando riprese le sembianze di serpente, era così enorme che dovette avvolgersi più e più volte nella stanza, riempiendola di squame luccicanti. Poggiando la sua testa sulla spalla della fanciulla, e avvolgendola con le sue spire, Kolowissi alla fine prese sonno.
La notte passò così. Al mattino, cosa del tutto insolita, la fanciulla non uscì per andare alla sorgente. Il padre non ne sembrò meravigliato: «Ora che ha il bimbo – disse – non le importa più di noialtri».
La sorella più piccola era però troppo curiosa per trattenersi. Andò alla stanza, e spinse la porta dapprima leggermente, e poi con tutte le sue forze, ma non le riuscì di aprirla. Spaventata, corse a chiamare le altre sorelle: «Su, venite! Nostra sorella non può uscire dalla stanza».
Le sorelle andarono, ma pur spingendo tutte assieme riuscirono a malapena a spostare la porta di quel tanto che bastò loro a dare un’occhiata. E cosa videro? Videro le squame luccicanti del Serpente, e si spaventarono ancora di più.
Solo il padre non si scompose: «Me l’aspettavo – disse. – Era impossibile, e io lo sapevo, che una donna fosse così stolta da lasciare il suo bimbo in balia delle acque della sorgente. Non è impossibile invece che una donna sia così sciocca da portare un tale bimbo nella sua casa».
Andò allora alla porta e gridò: «Oh, Kolowissi, sono io che ti parlo: io, il tuo sacerdote. Ti prego, lascia che mia figlia ritorni ancora da me, farò una espiazione per i suoi errori. Lei è tua, ma lasciala ritornare da noi ancora una volta».
A queste parole, il Serpente del Mare cominciò ad allentare le spire. L’intero villaggio fu scosso violentemente, e tutti tremarono di paura. Tremò tutta la terra e quel trambusto, finalmente, risvegliò la fanciulla.
Il padre, intanto, da dietro la porta continuava a pregare il Serpente di non infierire su sua figlia: «È tua – diceva. – Non appartiene che a te, ma tu allenta la morsa delle tue spire, lasciala venir via di là. È tua, a te appartiene e a te comunque tornerà».
Il Serpente allentò ancora un poco la presa, ed ecco, come un cerbiatto, la fanciulla fuggì via dalla stanza.
Dovendo prendere una saggia decisione, il padre convocò d’urgenza il Gran Consiglio dei Sacerdoti e per quattro giorni, ininterrottamente, furono eseguiti i riti solenni, preparati i vestiti di piume e i bastoncini da preghiera.
Poi, il padre chiamò a sé la figlia e così le parlò: «Figlia mia, prendi queste offerte e portale al Serpente del Mare. Dimentica d’ora in poi la tua casa e la tua gente. Tu d’ora in avanti abiterai nella dimora di Kolowissi, giù nella sua Casa in fondo al mare. Di tutte le nostre offerte, tu sei la più preziosa. Va’, figlia mia, perché questo è stato il tuo desiderio. Hai attirato su di te questo destino sporcando le acque sacre della Sorgente».
La fanciulla pianse e tentò inutilmente di aggrapparsi al collo della madre. Poi, tutta tremante, si rassegnò a lasciare la sua casa. Abbigliata delle sacre vesti ricamate, adorna di orecchini, braccialetti, perline e gioielli vari, col viso che le avevano dipinto di rosso, prese la strada tracciata con la sacra farina, che conduceva alla Sorgente conosciuta come il Passaggio del Serpente del Mare.
Il vecchio sacerdote, senza una lacrima, disse alla figlia d’incamminarsi: «Va’, quella è tua strada!».
Il Serpente uscì allora dalla stanza dov’era rimasto in attesa, si lasciò scivolare giù per la Montagna, finché non posò la sua testa sulla spalla della fanciulla.
«È giunto il momento!», disse a quel punto il padre.
E la fanciulla partì verso occidente, prese il sentiero che portava al fiume, passò di là della Montagna della Pittura Rossa, e tuttavia il Serpente era ancora in parte avvolto nella stanza della fanciulla. La sua coda non spuntò sino a quando non ebbero valicato la Montagna.
All’improvviso Kolowissi cominciò ad assumere una nuova sembianza. Non passò molto tempo e la sua forma di serpente si contrasse, si accorciò fino a sollevare la testa dalla spalla della fanciulla, e si rizzò in piedi: era un bel giovane nell’abbigliamento cerimoniale sacro!
Fece scivolare le sue squame di serpente, ora divenute piccole, sotto il suo svolazzante mantello. Poi, fischiando e sibilando come fanno i serpenti, chiese alla fanciulla: «Sei stanca?».
Glielo chiese tre volte, ma tutt’e tre le volte la fanciulla non gli rispose. Non si girò nemmeno a guardare, sebbene la voce le sembrasse più gentile.
Sentiva ancora il peso della testa del serpente sulla spalla, e non immaginava che non ci fosse più. Alla fine, tuttavia, si voltò e vide uno splendido giovane, magnificamente vestito.
«Perché non parli? perché non mi rispondi?», le chiese Kolowissi.
«Perché ho paura».
«Di cosa hai paura?».
«Ho paura di quella creatura mostruosa che è venuta via con me dalla mia casa».
«Ti ho seguita per tutto il cammino, e non ho visto nessuna creatura», disse lui.
La ragazza, incredula, si guardò allora sulla spalla e, non vedendoci nessun serpente: «Dov’è andato?», domandò.
Lui sorridendo replicò: «Lo so io dov’è andato».
«Sono dunque libera di tornare alla mia gente?».
«No, perché c’è un legame indistruttibile ormai, tra te e lui».
«Ma, lui – insisté la fanciulla – lui, dov’è?».
«È qui – disse il giovane. – Sono io lui».
«Non ci credo», gridò la fanciulla.
Ma lui, aprendosi il mantello, le mostrò le squame di serpente che c’erano rimaste appiccicate, e le disse: «Vedi! sono io quello che ti ha desiderato, mia bella fanciulla, fin dalla prima volta che sei venuta a bagnarti nuda nelle acque della Sorgente. Quel desiderio è, e sarà per sempre il nostro legame. Su, vieni, andiamo a vivere il nostro destino!».
E mentre proseguivano il viaggio, la fanciulla dimenticò del tutto la sua tristezza e presto dimenticò anche la sua casa. Seguì il suo sposo fin dentro il Passaggio del Serpente del Mare, e da allora vive di là, ancora e solo con lui.
***
Saltiamo i preamboli. Non facciamoci prendere dalla tentazione di metterci qui a parlare, pure noi!, della Bella e la Bestia. Non è che l’argomento non c’entri, o che non si potrebbe qui tentare un abbozzo di comparazione con la favola di Eros e Psiche. Ma, noi, abbiamo altro da fare, un altro gioco a cui giocare. Abbiamo una Sceneggiata che da noi s’aspetta ancora molti aggiustamenti.
Punto primo, è che vorremmo saperne di più di quella strana Apparsa che ha un vizietto e lo ripete: appare e subito scompare: … e fu sera …. e fu mattina … e fu sempre che fuggiva, Angelica nel bosco …
La Sceneggiata dice che appare solo negli istanti fatali delle sue metamorfosi. E che, poi, di qua dove siamo noi, di qua dal Passaggio del Serpente del Mare a noialtri non rimane visibile che una delle sue controfigure «animali».
Ma Lei, la Fanciulla, la Vegetale, la Pianta Magica, al di fuori di quegli «istanti», per tutto il resto del tempo, dov’è e com’è che se la passa?
È presso il Serpente – nella dimora del Grande Seduttore. È là che «abita» la Donna: giù, giù, nel fondo inconscio della prima Tentazione del Serpente. Ha dimenticato la sua gente, ha dimenticato perfino quelli della sua casa. Ha dimenticato tutto, la Donna. Solo, di tanto in tanto, si ricorda di controllare se ancora porta il peso d’un Mostro, d’un rampone, o di una qualche colpa sulle spalle.
Di qua dove «abitiamo» noi, la Donna mai e poi mai apparirebbe, se il Padre, il Gran Sacerdote, non avesse trovato la Parola per allentare la morsa delle spire del Serpente nel momento stesso in cui gliela «offriva». Il Padre è sceso a patti col Diavolo, e grazie a questo «mefistofelico» accordo, a noialtri è dato «rivedere» la Donna a dispetto della sua progressiva deiezione.
Ma se e quando ci appare, quale sia la Bestia di cui assume la forma – Ape, Rana o Giaguaro – la Donna appartiene per sempre al Serpente del Mare, al Signore di Oceano, a Eros il (desiderio) Primogenito.
È sua, la Donna è del primo desiderio che l’ha concepita, del primo desiderio a cui ha contaminato le acque sorgive.
Solo quel Desiderio in un «corpo naturale» seppe vedere la Donna. E solo lui accettò di prendere su di sé la «sporcizia» di quel «corpo», e perfino delle sue vesti. Solo lui da tanto «sudiciume naturale» ebbe la potenza (e il seme) di «rigenerarsi» nelle sembianze di un Uomo.