Arawak – La datrice di miele e birra

Maba-paint

Una volta nella foresta c’era abbondanza di nidi di ape e di miele, e un indigeno era divenuto celebre per la sua abilità nel trovarli.
Un giorno, mentre scavava un tronco a colpi d’ascia per estrarre il miele, egli udì una voce che diceva: «Attenzione! Mi ferisci!».
Proseguì il lavoro con precauzione e scoprì all’interno dell’albero una donna incantevole che gli disse di chiamarsi Maba, «miele», e di essere la madre o lo Spirito del miele.
Poiché era completamente nuda, l’indio raccolse un po’ di cotone, con cui essa si fece un vestito, e le chiese di sposarlo. La donna acconsentì, a condizione che l’uomo non pronunciasse mai il suo nome in pubblico.

Essi furono felici per vari anni. E, come il marito era universalmente ritenuto il migliore cercatore di miele, così la donna divenne famosa a causa del modo meraviglioso in cui preparava il cassiri e il paiwarri. Quale che fosse il numero degli invitati, le bastava preparare una giara, e questa unica giara li metteva tutti nello stato d’ebbrezza desiderato. Era veramente una sposa ideale.

Tuttavia, un giorno che la bevanda non bastò, il marito, sicuramente alticcio, ritenne opportuno scusarsi presso i suoi numerosi convitati. «La prossima volta – disse – Maba ne preparerà di più».
L’errore era stato compiuto, e il nome pronunciato. La donna si tramutò subito in ape e volò via nonostante gli sforzi del marito.
Da allora, è raro e difficile trovare il miele!

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donna-indioLe varianti di questo mito non parlano di bevande fermentate. La sposa soprannaturale procura al marito un’acqua deliziosa che in realtà è miele, a condizione che nessun altro la beva. Ma egli commette l’errore di porgere la zucca a un compagno assetato che la chiede, e quando questi, stupefatto, esclama: «ma è miele!», il nome proibito della donna viene così pronunciato. Col pretesto di soddisfare un bisogno naturale, essa si allontana e scompare, trasformata in miele d’api. Dopo di che, l’uomo si trasforma in sciame.
Molto diversa è la versione Warrau raccolta da Roth:

C’erano due sorelle che accudivano al fratello e gli servivano del cassiri, ma, nonostante i loro sforzi, questa bevanda non valeva nulla: era insipida. Così l’uomo continuava a lamentarsi: potesse mai incontrare una donna capace di preparargli una bevanda dolce come il miele!
Un giorno, mentre si lamentava da solo nella boscaglia, udì dei passi dietro di sé. Si volse e vide una donna che gli disse: «Dove vai? Hai chiamato Koroha (l’ape). È il mio nome, eccomi!».
L’indio espose i suoi problemi e disse quanto le sorelle, e lui stesso, desiderassero che egli si sposasse. La sconosciuta si preoccupò di sapere se sarebbe stata accettata dalla nuova famiglia, e alla fine cedette di fronte all’insistenza e alle assicurazioni del pretendente.

Gli abitanti del villaggio la interrogarono, ma essa si premurò di spiegare ai suoceri che era venuta solo perché il loro figlio l’aveva pregata.
Quando però venne il momento di preparare la bevanda, essa fece meraviglie. Le bastava immergere il piccolo dito nell’acqua e muoverlo perché la bevanda fosse pronta! E com’era dolce! Non si era mai bevuto niente di così buono.
Da allora, la giovane rifornì tutta la famiglia di sciroppo. E quando il marito aveva sete, gli offriva l’acqua solo dopo avervi immerso il dito per addolcirla.

Ma l’uomo ne fu presto nauseato, e cominciò a prendersela con la moglie, che reagì: «Mi hai fatto venire proprio per avere delle bevande dolci e adesso non sei contento? Arrangiati!». Dopo di che, volò via.
Da quell’epoca gli Indios devono faticare molto per salire sugli alberi, scavare i tronchi, estrarre il miele e renderlo limpido, prima di potersene servire per addolcire le loro bevande.

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donna-Caraibi

È chiaro che questo mito trasforma quello precedente sotto il doppio aspetto dei rapporti di parentela e delle bevande evocate, benché si tratti ogni volta di birra e di acqua melata. In ogni mito, infatti, queste bevande sono caratterizzate diversamente.
Nel mito Arawak il miele è delizioso, la birra perfetta – vale a dire molto forte, poiché inebria anche se presa in infime quantità. Qui invece è l’inverso: l’acqua melata è troppo dolce e quindi a suo modo troppo forte, giacché si rivela nauseante, mentre la birra è debole e insipida.

Ora, il buon miele e la buona birra del mito Arawak risultano esclusivamente da una unione coniugale; provengono rispettivamente da un marito e da sua moglie, di fronte ai quali ci sono solo degli «invitati», ossia una collettività anonima e non qualificata sotto l’aspetto della parentela.
Contrariamente all’eroe Arawak, gran produttore di miele che è universalmente celebre per la propria abilità, quello Warrau è definito da tratti negativi. Consumatore e non produttore, per di più sempre scontento, egli è per così dire messo tra parentesi, e la relazione familiare veramente pertinente accosta e oppone le cognate produttrici: sorelle del marito, che fanno la birra troppo debole, e moglie del fratello, che fa uno sciroppo troppo forte.

Inoltre, il miele abbondante e la birra forte sono trattati nel mito Arawak come termini positivamente omologhi: la loro coesistenza risulta da una unione coniugale e riveste a indiana-schienasua volta l’aspetto di una unione logica, mentre il miele (troppo) abbondante e la birra insipida del mito Warrau si trovano in un rapporto logico di disunione. […]

L’inglese offre, meglio del francese, un equivalente approssimativo di questa opposizione fondamentale [tra i due casi di «coppie», e le loro rispettive «bevande»] con il contrasto tra soft drink e hard drink.
Ma non la ritroviamo forse anche in Francia, trasposta dal linguaggio dell’alimentazione a quello dei rapporti sociali (che del resto si limita a reimpiegare alcuni termini la cui connotazione primaria è alimentare, prendendoli in senso figurato) quando mettiamo in correlazione e in opposizione la lune de miel [«luna di miele»] e la lune de fiel [«luna di fiele»] o d’absinthe [«d’assenzio»], e introduciamo così un triplice contrasto tra il dolce e l’amaro, il fresco e il fermentato, l’unione coniugale totale ed esclusiva e il suo reinserimento nella trama dei rapporti sociali?

Mostreremo in seguito che queste formulazioni familiari e immaginifiche ci avvicinano al senso profondo dei miti molto più di quanto facciano le analisi formali, delle quali non si può però fare a meno, se non altro per legittimare laboriosamente l’altro metodo: infatti, se avessimo dovuto applicarlo subito, esso sarebbe stato screditato dalla sua stessa ingenuità.
In realtà, queste analisi formali sono indispensabili, poiché soltanto esse permettono di esporre l’ossatura logica nascosta sotto racconti apparentemente bizzarri e incomprensibili. Solo dopo che è stata svelata questa ossatura, possiamo permetterci il lusso di un ritorno a certe «verità prime», a proposito delle quali scopriremo allora, ma a questa condizione, che le due accezioni che vengono attribuite loro possono essere fondate simultaneamente.

(Lévi-Strauss, Dal miele alle ceneri)

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La «verità prima», elementare, a cui stiamo di fatto facendo ritorno dopo lunga e laboriosa peregrinazione tra i miti, sarebbe dunque questa: il miele abbondante e la birra forte «si sposano» bene, tanto nei fatti quanto nella logica. La dolcezza di lei, e la surreal-coppia-candelaforza di lui – assicurano una bella coppia.
Viceversa – si apprende in questo abbiccì – quando c’è più miele che domanda di miele, la dolcezza di lei diventa nauseante, e quando lui è debole e alla mercé di quello che gli altri (le pressioni dell’ambiente, nel mito Warrau: le sorelle) desiderano per lui, non c’è matrimonio che non sia votato, tanto nei fatti quanto nella logica coniugale, al fallimento.

A questa «verità» si attengono entrambi i nostri miti, ma ciascuno dei due la «contempla» da un’angolazione differente.
Sicché, se nel mito Arawak sono al più da investigare le ragioni del fallimento di una «bella coppia» (pareva che funzionasse, eppure è bastato un errore di sbaglio nella parola, per farla saltare e obbligarla a trasformarsi, o a perdersi per sempre), in quello Warrau invece la relazione è per così dire scoppiata in partenza, in quanto è da subito interna a una «famiglia» (cognate, suoceri, affini e pedissequi vari), intrappolata cioè fin dal principio in una Rete sociale di desideri – una relazione nata nelle parole, vuota dunque di ogni secrezione immaginale.

I due miti stanno attingendo alla stessa Morale (della favola d’amore): che la «coppia», sia essa carnale o logica, funziona – tuttavia non per sempre – ma in ogni caso a condizione che la Donna-Miele sia «estratta» dall’immaginazione del suo Partner, e non dalle parole, sia pure di preghiera, con cui ne evoca la presenza lo Sposo «inetto» e «lagnoso» del racconto Warrau.
Che «fa» costui? Cosa ci mette di «suo»? Solo una lagna: si lamenta che la birra delle sorelle è debole e insipida. Intuisce che ci vorrebbe del miele, ma lui non sa «secernere» un dolce immaginale, lui è buono soltanto a mettere a verbale la sua mancanza di miele.

E poi, facci caso, lui, la sua Sposa, non la «estrae», non la «scova», non la «stana». È lei che, credendosi evocata, gli appare: viene dalle parole, viene dal sentito-dire della Famiglia o della Tribù (a una certa età ti devi sposare!), e lei che a questo «dovere altrui» risponde sbucando dal nulla, di nuovo alla fine nel nulla delle parole, nelle parentele simboliche di una Moltitudine, è destinata a dileguare.
Lo dice lei stessa espressamente: «Sono qui perché quest’uomo mi ha pregata di addolcirgli la vita».

Se cerchi una «bella coppia», attieniti pure tu al Consiglio Antico: non andare a cercartela dove il miele è troppo, e non c’è bisogno di nessun attrezzo poetico o immaginale, e di nessuna abilità a maneggiarlo. Dove lei è miele, e tu sei acqua – acqua senza fuoco, s’intende – prima o poi sarai sopraffatto dalla noia, dall’abitudine, dalla routine.
La tua Sposa, la tua Fata – valla a cercare nel bosco. È nella «Selva» che cresce la Pianta Magica. C’è chi dice che ha tre «foglie sonanti», chi invece ci tiene a precisare che è una musica «senza parole». Che è la lingua della Musa a musicare quelle nozze che nascono e muoiono immaginali.
Durerà, finché non avrà un nome pubblico questo matrimonio. Questa unione sarà benedetta finché addosso non le cadrà la maledizione di un dialetto di babele.