Le mille e una notte – La storia di Iram dalle alte colonne

preghiera-cammello

Abdallah ibn Abi Qulâba uscì alla ricerca di un cammello smarrito, e mentre si aggirava per i deserti dello Yemen, nel territorio di Saba, s’imbatté in una grandiosa città, circondata da grandi fortificazioni e, intorno a quelle fortificazioni, castelli che si elevavano nell’aria.
Avvicinandosi alla città, aveva creduto che vi fossero abitanti, cui potesse domandare del suo cammello, e vi si avviò, ma appena giunto la trovò vuota; non c’era anima viva.
Questo fu il suo racconto:

Scesi dalla mia cammella, la legai, e rinfrancato l’animo entrai in città. Sceso al castello, vi trovai due porte immense, come non avevo mai veduto al mondo le eguali, per dimensioni e altezza; erano ambedue intarsiate d’ogni sorta di pietre preziose e pietre dure, bianche, rosse, gialle e verdi. A quella vista, fui colpito di somma meraviglia, e ammirato della grandiosità di quello spettacolo. Entrai nel castello, col cuore attonito e pieno di timore, e vidi che quel castello era vasto e spazioso come la città di Medina, e conteneva padiglioni elevati, ognuno composto di molte camere, tutte costruite d’oro e d’argento e intarsiate di giacinti e di crisoliti, di perle e di pietre preziose colorate. I battenti delle porte di quei padiglioni erano per bellezza come le porte del castello; i pavimenti erano ricoperti di grosse perle e di pallottole di muschio, d’ambra e di araba-cittàzafferano.

Giunto che fui nell’interno della città, non vi trovai anima viva dei figli di Adamo, e fui per morire dallo spavento. Poi guardai in giù dall’alto delle stanze e dei padiglioni, e vidi che sotto gli edifici scorrevano corsi d’acqua; lungo le strade crescevano alberi coperti di frutta e palmizi altissimi. Gli edifici erano costruiti con un mattone d’oro ed uno d’argento.
Dissi fra me: «Non c’è dubbio: questo è il Paradiso, che ci è stato promesso nella vita futura!», e mi caricai dei gioielli che formavano la ghiaia, e del muschio che era al posto della polvere, quanto ne potevo portare. Tornai al mio paese e raccontai la mia avventura alla gente.

Ne giunse notizia a Muâwiya ibn Abi Sufyân, che a quel tempo era califfo nel Hejâz, ed egli scrisse al suo governatore di Sanâ nello Yemen di convocare quell’uomo e di interrogarlo sulla verità del caso.
Il governatore mi mandò a chiamare e mi domandò notizie della mia avventura e di quanto mi era capitato. Io gli raccontai quel che avevo veduto e mi spedì da Muâwiya.
Anche a lui raccontai quel che avevo visto, ma rifiutò di credermi. Io allora gli mostrai alcune di quelle perle e le pallottole d’ambra e di muschio e di zafferano; queste conservavano ancora un po’ di fragranza, ma le perle erano ingiallite e avevano cambiato colore.

Stupì di queste cose Muâwiya ibn Abi Sufyân, quando vide le perle e le palle di muschio e d’ambra di Abi Qulâba; mandò a chiamare Kaab al-Ahbâr e gli disse: «Ti ho chiamato per un affare che ti incarico di investigare; e ti prego di mettere in chiaro la verità».
«E di che cosa si tratta, Principe dei credenti?».
Gli disse Muâwiya: «Che tu sappia, esiste veramente una città fabbricata con l’oro e con l’argento, con i pilastri di crisolito e di giacinto, con la ghiaia di perle e di palle di muschio, d’ambra e di zafferano?».
«Sì, Principe dei credenti, questa città è “Iram dalle Colonne; nessun’altra simile fu mai creata sulla terra” (Corano, 89: 7-8). La fabbricò Sheddâd figlio di Ad il Grande».
Gli domandò Muâwiya: «Raccontami qualcosa della sua storia», e Kaab al-Ahbâr gli fece questo racconto:

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Ad il Grande aveva due figli: Shedîd e Sheddâd. Morto il padre, fu re del paese Shedîd insieme al fratello Sheddâd, e non c’era un re sulla terra che non fosse loro soggetto. Morto Shedîd figlio di Ad, fu re dopo di lui, da solo, suo fratello Sheddâd. Egli era appassionato della lettura di libri antichi, e quando gli capitò la descrizione del mondo d’oltretomba e del Paradiso, con tutti gli edifici, le stanze, gli alberi, le frutta, e le altre cose che si trovano in Paradiso, sentì voglia di costruire una simile città in questo mondo, nel modo che abbiamo descritto.

Egli aveva sotto la sua autorità centomila re, ognuno dei quali teneva in vassallaggio centomila feudatari, e ognuno di questi comandava a centomila soldati.
Fece venire tutti quanti al suo cospetto e disse loro: «Ho udito dagli antichi libri e dalle cronache la descrizione del Paradiso che si trova nell’oltretomba, e voglio fare un paradiso simile in questo mondo. Andate dunque nel luogo disabitato più bello e spazioso del mondo, e qui fabbricatemi una città d’oro e d’argento. Fate che la sua ghiaia sia di crisoliti, giacinti e perle; ponete a sostegno delle sue volte pilastri di diaspro, colmatela di palazzi e sopra i palazzi edificate stanze; intorno ai palazzi, nei vicoli e nelle piazze, piantate alberi d’ogni sorta, carichi di frutta mature, ed ai loro piedi fate scorrere corsi d’acqua in canaletti d’oro e d’argento!».

Essi risposero tutti insieme: «Come potremo mai fare quel che ci hai descritto, e dove troveremo il diaspro, i rubini, le perle, di cui parli?».
Rispose Sheddâd: «Non sapete dunque che i re di questo mondo mi obbediscono e sono città-oltretombanelle mie mani, e che nessuno al mondo può opporsi al mio comando?».
«Sì, lo sappiamo», risposero.
«Dunque andate alle miniere di diaspro e di rubini, di perle, d’oro e d’argento, estraeteli, radunatene tutto quel che se ne trova al mondo, non risparmiate sforzi; inoltre prendete per me tutto quel che si trova nelle mani del mondo di queste materie: non indugiate, non tralasciate, e guardatevi dal disobbedire!».

Quindi egli scrisse una lettera a ciascuno dei re che erano nei paesi della terra, ordinando loro di radunare tutte le materie preziose che si trovavano in mano agli uomini, e che andassero alle loro miniere ed estraessero le pietre preziose che contenevano, perfino dagli abissi dei mari.
Essi radunarono tutto questo nello spazio di vent’anni, perché il numero dei re regnanti sulla terra era di trecentosessanta re.
Poi Sheddâd trasse gli ingegneri, i sapienti, gli operai e gli artigiani da tutti i paesi e le contrade; si sparpagliarono per le pianure, i deserti, le regioni e le terre, finché giunsero a un deserto ove trovarono una piana vasta e sgombra, priva di dune e montagne; v’erano sorgenti che sgorgavano e fiumi correnti.

«Ecco, – dissero, – il genere di contrada che il re ci ha comandato di trovargli». E si posero a costruire nel modo che aveva ordinato loro Sheddâd re della Terra: vi dedussero con canali le acque dei fiumi, gettarono le fondamenta nel modo prescritto, e i re delle contrade spedirono loro i gioielli e le pietre, le perle grandi e piccole, le corniole, l’oro e l’argento puri, su cammelli, attraverso i deserti e le petraie, e mandarono grandi navi sui mari. Giunsero agli operai quelle preziose materie in quantità che non si possono né descrivere né calcolare né immaginare.

Durarono in quei lavori trecent’anni, e quando li ebbero compiuti, andarono dal re e gli annunciarono la conclusione.
Egli disse loro: «Andate e fate in cima alla città un castello ben munito, alto, elevato, e intorno al castello ponete mille padiglioni e sotto ogni padiglione mille bandiere, affinché abiti un visir in ciascun castello».
Andarono immediatamente e condussero a termine l’opera in vent’anni, poi si ripresentarono al cospetto del re Sheddâd, e gli annunciarono il compimento del suo desiderio. Egli ordinò ai suoi visir, che erano mille, agl’intimi del suo seguito e a quei militari di cui si fidava, di prepararsi al viaggio e disporsi al trasferimento verso Iram dalle Colonne, al seguito del re del mondo, Sheddâd figlio di Ad. Ordinò parimenti a Yemen-paintquelle che volle delle sue mogli, alle donne del gineceo, alle ancelle e agli schiavi, di metter mano ai preparativi. Impiegarono vent’anni ad allestire l’occorrente per il viaggio, quindi Sheddâd si pose in cammino, con le truppe che lo accompagnavano.

Lieti di aver raggiunto il desiderato fine, andarono, finché fra loro ed Iram dalle Colonne non restava più di una tappa. A questo punto Iddio scagliò su di lui e su quanti lo accompagnavano, miscredenti ostinati, un castigo divino dai cieli della Sua potenza, e tutti li fece perire con la sua voce tremenda.
Non giunse Sheddâd, né alcuno di quelli che erano con lui, alla città, e neppure arrivarono a vederla: Iddio cancellò ogni traccia della via che porta ad Iram, ed essa rimane al suo posto, intatta, fino allo scoccare dell’Ora.

Stupì Muâwiya al racconto di Kaab al-Ahbâr e gli domandò: «È mai giunto nessuno degli uomini fino a quella città?».
Rispose: «Sì, uno dei compagni del nostro signore Mohammed (Dio lo benedica e lo salvi!) e sicuramente nello stesso modo di colui che siede qui, senza dubbio alcuno».

E dice esh-Shaabi: Si racconta, in base a quel che dicevano i saggi di Himyar nello Yemen, che quando Sheddâd e i suoi compagni perirono del castigo divino, fu re dopo di lui Sheddâd il Minore, cui Sheddâd il Grande, suo padre, aveva lasciato il governo del Hadramût e di Saba, quando partì col suo seguito di truppe per Iram dalle Colonne. Quando gli giunse notizia della morte del padre, lungo la strada prima di giungere alla città di Iram, ordinò che il suo corpo fosse trasportato da quel deserto nel Hadramût, e comandò di scavargli una fossa in una caverna. Scavata la fossa e deposto che vi fu dentro, sopra un trono d’oro, gli furono messe addosso settanta tuniche intessute d’oro e tempestate di gemme, e presso la sua testa fu collocata una tavoletta d’oro su cui erano scritti questi versi:

Iram-Shiraz

Considera, o tu illuso dalla lunghezza della tua vita!
Io sono Sheddâd figlio di Ad, signore del saldo castello,
Dotato di potenza e di forza e di valore sommi.
La popolazione della terra mi obbediva, temendo la mia minacciosa violenza.
Regnai sull’Oriente e l’Occidente con autorità severa.
Ci chiamò sulla retta via colui che venne con missione ben diretta [Hûd].
Noi ci ribellammo a lui, dicendo: “Non c’è dunque scampo dal castigo?”.
Ci raggiunse un grido dal lontano orizzonte, e come una semente
falciata tra la messe nella pianura, alfine crollammo.
Ora, sotto strati di polvere, aspettiamo il Giorno promesso.

Ath-Thaâlibi racconta: «Avvenne che due uomini entrarono in quella caverna e trovarono da una parte dei gradini, vi discesero e scoprirono una cripta lunga cento cubiti, larga quaranta cubiti, alta cento cubiti; nel centro della cripta c’era un trono d’oro e un uomo di vasta corporatura occupava tutto il trono, per lungo e per largo. Portava tuniche intessute d’oro e d’argento, e aveva sulla testa una tabella d’oro con un’iscrizione. I due la presero, e portarono via da quel luogo tutto quel che poterono caricarsi di verghe d’oro e d’argento e di altre cose».

(Le mille e una notte)