Mehdi Akhavân Sâles – Palude

gitana

Questa non è l’acqua che spegne il fuoco.
Dico a te, svergognata gitana dal colletto strappato!
Annaffio il campo di nostalgia della mia mente
con quell’amaro diafano estasiante
quel puro figlio della vite, focoso.

Nel silenzio immerso
come una donna nuda nel letto della propria resa, morta o dormiente,
senza allargar sorriso o stringer broncio, s’è abbandonata il corpo
l’estesa palude.

Senza palpiti, calma,
esanime o dormiente v’è una palude.
Ciò che in essa non si potrà mai vedere
è il capezzolo di un’onda, l’ombelico di un vortice.
Sono seduto sul trono della riva di questo fiume immobile,
dalla mia bocca irruento fluisce un torrente di maledizioni.
A Dio e ai Suoi messaggeri, a chiunque e ovunque,
è chiuso il colorato ponte del messaggio.

A ogni respiro un po’ della mia vita come una goccia d’oro
stilla nelle fauci di questa palude della vita, che tutto trangugia.
Il nefasto gozzo suo insaziabile ogni momento mi chiede un boccone.
È rimasta spalancata, eterna quella bocca come caverna.
Io, ogni singolo momento della mia vita faccio una carogna
e gliela getto come un pesce:
ma, si sazierà mai questo vecchio airone?
Di nuovo dice: «Un altro boccone!».
Eccoti il becco più spaventoso!

Quel deluso pescatore che ogni notte stanco e triste,
con la rete in mano
e nulla nella rete,
riprende la sua via, andando lontano
fino a che il muro della sua casupola, circondato d’invidia
lo veda ritornare ancora un’altra alba
– con la rete in mano, ma nulla in essa
per poi lanciare altrove l’artiglio in mare,
e saggiare ancora un destino infondato.

Ecco, come il pescatore
anch’io ogni notte
all’incurante coppiere cristiano, a quel severo
chiedo: «un’altra coppa!»
perché mi dia: «una dopo l’altra»
di quell’amaro diafano estasiante
di quel puro figlio della vite, focoso.

Nel momento opportuno o inopportuno
la svergognata gitana dal colletto strappato
annaffia il campo di nostalgia della sua mente.
Il viscoso pesce dell’attimo, dalle squame d’oro, possa
gli occhi dell’airone distrarre, e alle fauci rapire di questa palude!

(Mehdi Akhavân Sâles, La fine del Libro dei re)