Si narra che una volpe aveva la propria tana su una montagna e che, ogni volta che dava alla luce un figlio e questo cresceva, lo divorava per fame e se non mangiava il proprio figlio la fame la tormentava.
Sulla cima di quella montagna soleva rifugiarsi un corvo, e la volpe disse fra sé: «Voglio stringere amicizia con questo corvo, farne il compagno della mia solitudine e un amico che mi aiuti nella ricerca del vitto, perché esso può fare in questo ciò che non posso fare io».
Ciò detto, si avvicinò al corvo, fino a giungere a una distanza tale che potesse consentirgli di udire la sua voce, indi lo salutò e gli disse: «Vicino mio, il musulmano che è vicino di un altro musulmano ha su di lui due diritti: quello di vicinato e quello della comune religione islamica; sappi che il mio vicino sei tu e quindi hai su di me un diritto che va rispettato, specie se consideriamo il lungo periodo del nostro vicinato; io nutro in petto dell’affetto per te e questo mi spinge ad usarti cortesia e m’induce a sollecitare la tua amicizia; che cosa ne dici?».
Il corvo rispose: «Sappi che il miglior detto è quello più sincero; tu potresti dire con la lingua ciò che non senti nel cuore, ed io temo che tu manifesti l’amicizia a parole mentre hai l’ostilità nel cuore, giacché tu sei quello che mangia e io quello che è mangiato, onde dobbiamo differenziarci nell’affetto e non possiamo esserne reciprocamente legati; che cosa ti ha indotto a chiedere quel che per te non è raggiungibile e che non potrà mai essere, giacché tu appartieni alla specie delle fiere ed io a quella dei volatili, e questa fratellanza che tu proponi non ha fondamenta?».
Rispose la volpe: «Chi conosce dove si possono trovare i veri amici fa bene la sua scelta nella speranza di conseguire i vantaggi dell’amicizia. Ora, io ho voluto avvicinarmi a te ed ho scelto di far lega con te allo scopo di poterci essere di scambievole aiuto nel raggiungimento dei nostri fini, sì che la nostra amicizia sia coronata da successo; conosco certe storie che trattano dell’amicizia e, se vuoi, te ne racconterò».
Il corvo acconsentì ad ascoltare queste storie, al fine di conoscere che cosa l’altra si proponeva con esse, e la volpe disse: «Si narra di una pulce e un topo, e questa loro storia serve a dimostrare quanto io ho affermato».
«Come è ciò?», chiese il corvo, e la volpe si mise a narrare: «Si racconta che un topo stava in casa di un ricco mercante, e una volta una pulce, portatasi nel letto di quel mercante, ne vide il corpo prosperoso e siccome era assetata bevve del sangue di lui. Il mercante sentì dolore alla puntura della pulce e destatosi dal sonno si mise a sedere, indi chiamò dei servi che si affrettarono ad accorrere presso di lui e rimboccatesi le maniche si posero alla ricerca della pulce. Quando questa si accorse di essere ricercata, fuggì via e trovato il buco di un topo vi entrò.
«Il topo nel vederla le disse: “Che cosa ti ha indotto ad entrare da me, se tu non sei della mia natura né della mia specie, né sei al sicuro dall’essere da me maltrattata e malmenata?”. Rispose la pulce: “Son fuggita in casa tua scampando così alla morte e vengo a chiederti protezione; non ambisco affatto alla tua casa, né ti sarà fatto da me alcun male che possa spingerti ad uscirne; spero di poterti ricompensare con ogni bene del favore che mi rendi e ti troverai contento della conseguenza di quanto ti dico”.
«Quando il topo udì queste parole della pulce disse: “Se le cose stanno come affermi, sta’ pur tranquilla qui; non ti capiterà alcun male ma troverai solo ciò che ti farà piacere; altro non potrà colpirti che quello che colpirà me stesso, poiché ti do la mia amicizia. Non pentirti di aver bevuto il sangue del mercante né dispiacerti di esserti nutrita di esso, ma sii soddisfatta di quel che ti è dato dalla vita, e ciò ti farà miglior pro; io ho sentito, o pulce, un predicatore recitare questi versi:
Ho seguito la via della temperanza e della solitudine,
e ho trascorso la vita così come veniva:
con un tozzo di pane, un sorso d’acqua,
del sale grosso e un abito logoro.
Se Allâh mi rende facile la vita, bene,
altrimenti mi accontento della sua provvidenza.
«Udite queste parole del topo, la pulce disse: “Fratello mio, ho udito la tua raccomandazione e sono incline a ubbidirti, né avrei la forza di contrariarti fintanto che vivo con questa buona intenzione”. Il topo osservò: “Per una sincera amicizia basta la buona intenzione”. Poi conclusero il patto di amicizia e dopo ciò la pulce prese a recarsi nel letto del mercante senza mai superare il suo fabbisogno di cibo, e durante il giorno trovava asilo nella casa del topo.
«Avvenne che una sera il mercante rincasò portando seco molti dinàr e si pose a rovesciarli; il topo nell’udire il rumore delle monete mise la testa fuori della sua buca e si pose ad osservarle, fino a che il mercante le ripose sotto un cuscino e si addormentò. Allora il topo disse alla pulce: “Non vedi che buona occasione e che grande fortuna? Saresti capace di trovare un’astuzia che mi faccia arrivare a prendere quei dinàr?”. La pulce rispose: “Chi si propone qualcosa deve essere capace di farla, ché se non ci arriva finisce col cadere nei guai; debole com’è, egli non raggiungerà il suo scopo, anche se usa salda forza d’astuzia, come l’uccellino che per raccogliere i chicchi cade nella rete e viene preso dal cacciatore; tu non hai la forza di prendere i dinàr e di portarli fuori casa, e nemmeno io posso farlo, anzi sono incapace di portare anche un solo dinàr; dunque lasciali stare”. Ma il topo disse: “Io ho preparato nella mia buca settanta vie di salvezza attraverso le quali posso uscire quando mi aggrada ed ho apprestato per le riserve un posto sicuro, perciò se tu riesci a far uscire il mercante, con un’astuzia, dalla stanza, io son sicuro del successo, ove mi assista la fortuna”.
«Allora la pulce si impegnò a far uscire il mercante dalla stanza ed infatti si portò sul suo letto e lo punse tanto forte come mai quello aveva provato, quindi si ritirò in un posto dove stava al sicuro da lui. Il mercante si svegliò e si mise a cercare la pulce, ma non avendo trovato niente si voltò dall’altro fianco e si riaddormentò; la pulce lo punse nuovamente più forte ancora di prima, tanto che il mercante si spazientì e, lasciato il letto tormentoso, uscì e andò a dormire su di una panca presso la porta di casa, senza più risvegliarsi fino al mattino; intanto il topo andava a portar via i dinàr e non ne lasciò neanche uno. Al mattino seguente, il mercante si diede ad accusare la gente e a fare mille congetture».
La volpe continuò, sempre rivolta al corvo: «Sappi, o corvo perspicace, giudizioso ed esperto, che io non ti ho detto queste cose se non acciocché ti possa giungere la ricompensa del bene che mi fai, così come il topo si ebbe quella del bene fatto alla pulce; vedi infatti come quella lo compensò bene e bene lo rimunerò!».
Disse il corvo: «Fare il bene è in libera facoltà del benefattore; rendere un favore non è obbligatorio verso chi sollecita una unione che costi una rottura; e se io facessi a te del bene, pur essendo tu mio nemico, verrei a causare una rottura con me stesso, giacché tu, o volpe, sei perfida e ingannatrice, e a chi ha per proprio distintivo la perfidia e l’inganno non si affida un impegno, e quindi non è sicuro; ora io ho saputo recentemente che tu hai ingannato il tuo amico lupo, attirandolo in un tranello dove lo hai fatto perire, con la perfidia e l’astuzia tua; gli hai fatto simili cose pur essendo egli della tua stessa specie, e pur avendolo avuto per amico lungo tempo non ti sei mossa a compassione di lui; come potrei io avere in te fiducia, se tale è stato il tuo agire con quello che era il tuo amico ed apparteneva alla tua specie, e in qual maniera ti comporteresti con chi è tuo nemico e non è della tua specie? I rapporti fra me e te non possono paragonarsi ad altro che a quelli dello sparviero con gli uccellini».
Allora la volpe chiese quale fosse la storia di costoro, e il corvo narrò: «Si racconta che uno sparviero era prepotente e violento nei giorni della sua vecchiaia, e tutte le fiere della terra e dell’aria avevano paura di lui, nessuno si salvava dalla sua malvagità e molti fatti si narravano a proposito della sua tirannia e prepotenza. Questo sparviero soleva recar sempre nocumento agli altri volatili, ma col passare degli anni si indebolì, soffrì la fame, si diede molto da fare dopo aver perduto le forze, indi venne nella determinazione di portarsi presso gli altri uccelli e mangiare i loro avanzi, cosicché finì col procacciarsi il necessario alimento mediante l’astuzia, laddove prima lo faceva con la forza e la violenza. Tu sei lo stesso, o volpe: se ti son venute meno le forze non ti è mancata l’astuzia, ond’io non dubito punto che la richiesta di amicizia da te fattami sia essa stessa un’astuzia in sostituzione della tua forza, e non sono di coloro che pongono la loro mano nella tua, poiché Iddio mi ha dato forza nell’ala, prudenza nell’anima, e acutezza nello sguardo; sappi che chi vuole assomigliarsi a chi è più forte di lui si affatica invano e rischia di perire. Io temo per te, se vuoi assomigliarti a chi di te è più forte, che non ti accada quel che accadde all’uccellino».
La volpe chiese: «E che accadde all’uccellino? Ti scongiuro di dirmelo».
Il corvo rispose: «Ho sentito narrare che un uccellino mentre stava volando al disopra dell’addiaccio di un gregge guardò a quella volta e vide a un tratto una grande aquila piombare addosso a un agnellino, afferrarlo con gli artigli e volar via. Ciò vedendo, l’uccellino spiegò le ali e disse: “Farò anch’io come quella”, appunto perché si era inorgoglito e si voleva assomigliare a chi era più grande di lui. Si levò infatti in volo e si lanciò su un grasso montone dal vello assai folto di lana che era tutta appiccicaticcia come la saliva, per aver l’animale dormito giacendo sulla sua orina ed i suoi escrementi. Piombato su di esso, l’uccellino batté le ali, ma le sue zampette rimasero impigliate nella lana e quando cercò di levarsi in volo non poté volare. Mentre tutto questo avveniva, il pastore li guardava; l’aquila ritornò presso l’uccellino, lo afferrò e gli spennò le ali, quindi legategli le zampette con un filo lo portò ai suoi figli gettandolo a loro. Uno dei piccoli chiese cosa fosse quello ed essa rispose: “Questo è uno che ha voluto imitare chi è al disopra di lui e si è perduto”. Tu sei lo stesso, o volpe, onde ti consiglio di guardarti bene dall’assomigliarti a chi è più forte di te, ché ti rovineresti; questo è quanto ho da dire, e vattene in pace».
Quando la volpe disperò di potersi guadagnare l’amicizia del corvo, se ne tornò lamentandosi dal dispiacere e facendo scricchiolare i denti dal pentimento.
Il corvo, nell’udire il suo pianto e i suoi gemiti e vedendola afflitta e triste, chiese: «O volpe, perché i tuoi denti battono l’uno sull’altro?».
Rispose la volpe: «I miei denti scricchiolano perché ho visto che sei più astuto di me».
Poi se ne fuggì via e fece ritorno alla sua tana. Questa è la loro storia, o re.
(Le mille e una notte)