Deleuze-Guattari – Tutto comincia dalla testa del padre

Chi viene prima, l’uovo o la gallina, il padre e la madre o il bambino?
Per la psicoanalisi è come se fosse il bambino (il padre non è malato che della sua infanzia), per quanto essa sia nello stesso tempo costretta a postulare una preesistenza parentale (si è bambini solo rispetto a un padre e a una madre). Lo si vede bene nella posizione originaria di un’orda. L’Edipo stesso non sarebbe nulla senza le identificazioni de-chirico-figliuol-prodigodei genitori ai bambini; e non si può nascondere che tutto comincia dalla testa del padre; è questo che vuoi, uccidermi, andare a letto con tua madre? …
Innanzitutto è un’idea del padre: così Laio. È il padre a fare un chiasso d’inferno, a brandire la legge (la madre è piuttosto compiacente: non bisogna fare tante storie, è un sogno, una territorialità …).

Lévi-Strauss dice benissimo: «Il motivo iniziale del mito di riferimento consiste in un incesto con la madre di cui l’eroe si rende colpevole. Tuttavia questa colpevolezza sembra esistere solo nella mente del padre, che desidera la morte del figlio e s’ingegna a provocarla … In fin dei conti, solo il padre fa la figura del colpevole: colpevole d’aver voluto vendicarsi. Sarà lui a essere ucciso. Questo curioso distacco nei confronti dell’incesto appare in altri miti» (Il crudo e il cotto).
Prima di essere un sentimento infantile di nevrotico, Edipo è un’idea di paranoico adulto. Così la psicoanalisi se la sbroglia male con una regressione infinita: il padre ha dovuto essere bambino, ma ha potuto esserlo solo in rapporto a un padre, che fu a sua volta bambino, rispetto a un altro padre.

Come inizia un delirio? È possibile che il cinema sia idoneo a cogliere il movimento della follia, proprio perché non è analitico e regressivo, ma esplora un campo globale di coesistenza.
Un film di Nicolas Ray, che si suppone rappresenti la formazione di un delirio al cortisone: un padre stremato dal lavoro, professore di scuola media, che fa ore supplementari in una stazione di radio-taxi, ed è curato per disturbi cardiaci. Comincia a delirare sul sistema di educazione in generale, sulla necessità di restaurare una razza pura, sulla salvezza dell’ordine morale e sociale, per passare poi alla religione, all’opportunità di un ritorno alla Bibbia, Abramo …
Ma che ha fatto Abramo? Toh, ha appunto ucciso o voluto uccidere il figlio, e forse il solo torto di Dio fu di arrestare il suo braccio. Ma l’eroe del film non ha forse anche lui un figlio? Giarda, guarda …

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Quel che il film mostra così bene, a scorno degli psichiatri, è che ogni delirio rappresenta innanzitutto l’investimento di un campo sociale, economico, politico, culturale, razziale e razzista, pedagogico, religioso: il delirante applica alla famiglia e al figlio un delirio che li deborda da ogni parte […].
Non c’è un solo delirio che non possieda eminentemente questo carattere, e che non sia originariamente economico, politico, ecc., prima di essere schiacciato nel macinino psichiatrico e psicoanalitico. […]

La regressione infinita ci costringeva a postulare un primato del padre, ma un primato sempre relativo ed ipotetico che ci portava all’infinito, a meno di saltare nella posizione di un padre assolutamente primo; ma è chiaro che il punto di vista della regressione è frutto dell’astrazione.
Quando diciamo: il padre è primario rispetto al bambino, questa proposizione in sé priva di senso vuol dire concretamente: gli investimenti sociali sono primari rispetto agli investimenti familiari, che nascono solo dall’applicazione o dal ripiegamento dei primi.

Dire che il padre è primario rispetto al bambino, significa dire in verità che l’investimento di desiderio è in primo luogo quello d’un campo sociale in cui il padre e il bambino sono immersi, simultaneamente immersi. […]
Insomma, quel che il bambino investe attraverso l’esperienza infantile, il seno materno e la struttura familiare, è già uno stato dei tagli e dei flussi del campo sociale nel suo insieme – flussi di donne e di alimenti, registrazioni e distribuzioni.
L’adulto non è mai un dopo rispetto al bambino, ma entrambi nella famiglia sono connessi alle determinazioni del campo sociale in cui essa e loro sono simultaneamente immersi.

(Deleuze-Guattari, L’anti-Edipo)

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Kendall-padre-figlioTutto comincia dalla testa del padre: Abramo ha fatto un sogno, ha sognato che il suo dio gli chiedeva di sacrificare Isacco, di fare «cosa sacra» del corpo di suo figlio. Ha ragione Kierkegaard – la follia di Abramo si aggira tuttora tra di noi, e ancora, dopo millenni di storia, attende di essere rimeditata, perché la Storia, il suo «tutto», comincia da lì, prende le mosse dalla testa del Padre.
È il padre che dice al figlio: su, arrampicati su questa scala! Ed è sempre il padre che l’abbandona, quando il figlio è asceso all’ultimo gradino, lassù sul Golgota, dove gli tocca il (tragico? nobile?) destino (si dice così) della vittima sacrificale.

Tutto comincia con un padre che «delira», con un padre «malato d’infanzia», con un padre che è stato bambino e che da suo padre, proprio sulla croce, proprio quando ne aveva più bisogno, è stato tradito. D’altronde, anche al padre di suo padre, a quanto pare, le cose erano andate così.
Perché cambiarle? Su, ragazzo, arrampicati su questa scala e gettati nelle mie braccia! E fallo, se ti riesce, a occhi chiusi! fidati di me! Sarò il tuo Corvo.

C’è un padre anche nel c. d. «mito di riferimento» (M1) sudamericano di Lévi-Strauss: questo padre ha scoperto che il figlio ha fatto l’amore con la madre, e perciò vuole ucciderlo. Lo porta nel bosco, lo fa arrampicare su per una pertica e poi, quando il figlio è «lassù», tira via la pertica e se ne va. Sbrigatela da solo, se ci riesci!
No, non è una storiella ebraica. E non è nemmeno sudamericana. È greca. È la storia di Laio. Laio è in agitazione dacché gli è nato Edipo – il concorrente che lo scaccerà dal talamo. Lui, a differenza del padre sudamericano, non aspetta che il figlio si macchi d’incesto. No, Laio l’abbandona sul monte quando ancora vagisce!

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Tutto comincia con un padre, nella cui testa è dunque già entrata l’idea di tradimento. Ma chi è che ce l’ha messa? troppo facile rispondere: è stato suo padre, a cui è stata inculcata da suo padre, e così all’infinito, procedendo per astrazioni lungo i sentieri di un Passato senza fondo.
Come se questa idea, il tradimento, non fosse viva e presente in mezzo a noi – quale che sia stato nostro padre. Come se tra figlio e padre non ci fosse, di mezzo, nessuno. Come se il loro rapporto fosse, anche solo per un momento, tenuto a distanza, e così al riparo, da tutto il resto di pensieri atti e parole del confiteor del mondo, protetto sotto una campana di vetro. Come se il padre, e con lui ogni membro della sua famiglia, fosse fuori dalla circolazione e soprattutto dalla (sempre iniqua) distribuzione dei «beni» alimentari e sessuali.

E invece sono tutt’e due, padre e figlio, tutt’altro che soli come pensano di essere. Essi sono immersi nel Presente di una Tribù. E solo una tribù di infami traditori, che si sono rassegnati a interpretare le loro reciproche relazioni alla luce (si fa per dire) di una Paranoia Condivisa – di una paranoia Adulta, altro che trasgressione Infantile! – solo costoro possono giungere all’astrazione di pensarsi «fuori dalla Rete», «autonomi» di pensieri atti e parole.
Fiducia e tradimento, sono Nomi di relazione, ereditati certo, ma – ciò che conta – è che sono presenti in un delirio Sociale. E questo delirio passa, e si rafforza, per tutti i padri Abramo-Isacco-disegnoche interpretano la loro relazione col figlio in termini di fiducia cieca e tradimento alle spalle. Passa e si rafforza per tutti gli addetti alla psiche, di ogni ordine e grado, che continuano a spacciare fiducia e tradimento per «necessità naturali», anziché per quello che sono: le chiavi di volta del nostro Simbolismo, le lenti attraverso cui siamo abituati, indotti, a «leggere» le nostre relazioni.

Se nei «fatti» incriminati crediamo di vederci qualcosa di «naturale», è solo perché la nostra Natura (il Passato Eterno) è stata tirata per i capelli dentro il presente di una Specie, nel vivo della sua Storia, del suo delirio in perenne metamorfosi paranoica.
Di questa Storia, i padri non sono che i tramiti per cui passa la Legge. Quella Legge a cui i figli devono essere, e sono, iniziati lasciandoli cadere nel vuoto – dove non ci sono più parole: dio mio, dio mio, perché mi hai abbandonato?

Perfino dio deve arrendersi, non può farci niente. Di fronte allo strapotere anonimo del Simbolismo della Tribù, dio stesso non può nulla. La Tribù ama tradire i figli suoi. La Tribù trama per la loro morte – perché essi muoiano alla loro «natura» (che è a priori, sempre e comunque, perversa) e rinascano a quest’altro mondo – alla Legge, alla Cultura, alla Parola che è ancora ferma là, a quello che disse, una volta, il Corvo.

Il Corvo ha visto Coronide, l’Amata di Apollo, fare all’amore con un altro, ed ecco è corso dal suo dio a gridare allo scandalo! Lei ti ha tradito! – disse il Corvo. E, nell’atto stesso di dire queste parole … le sue piume, da bianche che erano, divennero nere.
Qui, senza padri né figli di mezzo, è più facile vedere di che si tratta: il Corvo è loquace, il Corvo gracchia parole, idee, nozioni: fiducia e tradimento sono le sue «preferite». Quando si tratta di comprendere un fatto, a maggior ragione un «fatto amoroso» (come se l’amore stesso non fosse una parola, un’idea, una nozione, un’etichetta più o meno legale da appiccicare a qualcosa d’altro), il Corvo non ha dubbi: qui c’è stato tradimento!

Il tradimento è nella sua testa, e da qui gli salta in bocca. È il Corvo a fare di Apollo un «tradito», è lui a istigarlo a interpretare il «fatto» a norma di Legge.
Se le sue piume di botto anneriscono, è perché si sono rivoltate contro la libera corvo-sedutocircolazione dei «beni sessuali»: si sono ripiegate nel più rancido dei colori, si sono colorate a lutto. E da quel lutto, da quel trauma – sigillato nel nome del Tradimento – più non si sbloccano. La macchina (desiderante) del Corvo si è inceppata là. Non lo senti, che ancora gracchia? Gracchia nella rabbia, nella sete di vendetta. Gracchia in tutti i nostri risentimenti. Gracchia anche quando parla di perdoni e amnistie.
Gracchiando, vorrebbe tirare nella trappola della Legge e dei suoi Simboli (fiducia e tradimento) perfino un dio qual è Apollo.

Ma, dopo, una volta che l’ha intrappolato nei Nomi dei fatti, quale consiglio, quale suggerimento potrà più dare al malcapitato?
Poco o niente: un po’ di perdono, una buona dose di umiltà, tutto sommato un «te la devi piegare a libretto», un «pesa, incarta e porta a casa», e poi che altro?
Già, mi scordavo. Il Corvo gracchia: si appella alle religioni – salvo, dulcis in fondo, pretendere una «espiazione» (cosa, se non un occhio per occhio?) da parte del traditore.

Non c’è tradimento che nella gracchiata, prosaica, loquacità del Corvo. È da sciocchi starsene qui, con le mani in mano, ad aspettare che il Corvo ci porti da bere. Tutto ciò che potrà dirci, dopo averci detto: sei stato tradito! – o che dica: perdonala!, o che viceversa ci istighi ad ammazzarla (dovremo, prima o poi, farci davvero i conti con questa tragedia «culturale»), fa lo stesso.
Ci ha chiusi, ristretti, asfissiati in un «tu a tu», di cui uno deve essere il colpevole, e l’altro fare la vittima a meno che – come si dice oggi (la faccia tosta della Chiacchiera non ha limiti) – non si dividano salomonicamente la colpa, come qualcosa comunque a metà tra loro due, e nessun altro!

Caro Apollo, te la devi vedere tu e Coronide!
Caro Gesù, prenditela con tuo padre!
Caro Isacco, che ci vuoi fare? hai un padre fuori di testa!
E così è sempre assolta, sempre nascosta, sempre invisibile nella sua nigredo, la bestemmia del Corvo.
solitario-arrabbiatoIl Fantasma del Traditore non è mio, tuo o di non so chi altro. Non è del padre, né del figlio. Se esso compare in un «tu a tu», è perché la Parola è sempre lì, di mezzo, tra i due. Come il Passato che sempre all’appello risponde: presente, quale che sia il «fatto» che è chiamato a interpretare.

Il Corvo è fermo ancora lì. Tutta la Tribù è bloccata nella sua Paranoia di Stato. Nella sua più che adulta, nella sua adulterata Fissazione – la macchina umana si è inceppata. Non comprende di essere «macchinata». Si offende solo all’idea che sia possibile una cosa del genere. Si rifiuta di sapersi – di conoscersi, di darsi da fare – a migrare altrove.
È più facile, è più breve (il fatto è che non abbiamo tempo!), è più semplice prendersela col «tu» di turno. Come se in mezzo, tra io e tu, non ci fosse la Paranoia che, come un tappeto, la Parola di Corvo stende sulla circolazione dei «beni sessuali» (non desiderare la donna d’altri) e «alimentari» (non eccetera ecc.).
Ce la prendiamo con l’altro, col piccolo altro, e mai ci lasciamo, nel vivo del «fatto», sfiorare dall’idea che è l’Altro, il Social, che di padre in figlio non fa che tramare e tramandare la sua, ormai stantia, paranoia. È Lui in realtà che pretende il «sacrificio» di tutti i nostri figli. Di tutti i nostri pensieri e sentimenti.