Hillman – Il perdono e l’espiazione

Che cosa c’è allora che è degno di fiducia nel padre buono o psicopompo? Qual è la differenza sotto questo profilo tra il mago bianco e il mago nero? Che cosa distingue il savio dal bruto? Non c’è il rischio, in base a quanto sono venuto dicendo, di giustificare Gesù-voltoqualsiasi brutalità e tradimento che un uomo possa compiere come un segno dell’avvenuta «integrazione di Anima», come segno della sua «compiuta paternità»?

Non so come altro rispondere a questa domanda se non richiamandomi alle storie di prima. In tutte troviamo due elementi: il motivo dell’amore e/o un senso di necessità.
L’interpretazione cristiana dell’abbandono di Gesù sulla croce da parte del Padre dice che Dio amava talmente il mondo da sacrificare il Suo unico figlio per la sua redenzione. Il Suo tradimento era necessario per compiere il destino del figlio. Abramo amava talmente Dio da accingersi a calare il coltello sacrificale su Isacco. Il tradimento di Esaù da parte di Giacobbe era una necessità preannunciata quando Giacobbe era ancora nel ventre materno.
Anche il padre della nostra storiella doveva amare il figlio al punto di rischiare che egli si ritrovasse con le ossa e la fiducia spezzate, nonché di distruggere la propria immagine ai suoi occhi.

Questo più vasto contesto di necessità e di amore mi induce a credere che il tradimento – rimangiarsi una promessa, negare aiuto, divulgare un segreto, ingannare l’amante – sia un’esperienza troppo tragica per poter essere giustificata nei termini personalistici di meccanismi psicologici e motivazioni.
La psicologia personale non è sufficiente; le analisi e le spiegazioni non bastano. Occorre riferirsi al contesto più vasto dell’amore e del destino.
Ma chi può dire con certezza quando è presente l’amore? chi può stabilire che nel tal caso il tradimento era necessario, era destino, una chiamata del Sé?

È certo che un elemento dell’amore è il senso di responsabilità; e così pure lo sono l’impegno, la partecipazione, l’identificazione, ma forse un metodo più sicuro per capire se si è più vicini al bruto o al savio consiste nel cercare il contrario dell’amore, il potere.
Se il tradimento è perpetrato soprattutto a vantaggio personale (per cavarsi da un impiccio, per fare del male all’altro o per usarlo, per salvarsi la pelle, per il proprio piacere, per placare un desiderio o un bisogno, per fare i propri comodi), allora si può stare sicuri che c’entra più il potere, il bruto, che l’amore.

tre-monaci

Il contesto più ampio di amore e necessità è dato dagli archetipi del mito. Quando l’evento [del proprio tradimento personale] è collocato in questa prospettiva [del tradimento come Necessità «mitologica»], è possibile che ne emerga nuovamente un disegno ricco di significato. L’atto stesso di sforzarsi di vedere la cosa da questa più ampia prospettiva, è già terapeutico. Purtroppo può occorrere molto, moltissimo tempo perché l’evento riveli il suo significato, e nel frattempo esso rimarrà sigillato nell’assurdità o a suppurare nel risentimento.
Ma lo sforzo d’inserirlo nel contesto più ampio, lo sforzo per interpretarlo e integrarlo è il modo per uscirne, per andare oltre. A me pare che sia l’unico modo per passare attraverso i vari gradi di differenziazione di Anima, e anzi per fare un passo ulteriore, verso uno dei sentimenti religiosi più alti, il perdono. […]

Chiunque può dimenticare un insulto, un affronto personale di scarsa importanza. Ma chi è stato condotto un gradino dopo l’altro in un rapporto la cui sostanza stessa era la fiducia e ha denudato la propria anima e poi è stato tradito nell’intimo, nel senso di essere consegnato in mano ai propri nemici, esterni o interni, allora il perdono assume un significato grandioso.
Potrebbe ben darsi che il tradimento non abbia altro esito positivo che il perdono, e che l’esperienza del perdono sia possibile solo se si è stati traditi.
Il perdono di cui parlo è un perdonare che non equivale a dimenticare, ma è ricordo del croce-porcitorto subito, trasformato all’interno di un contesto più vasto, ovvero, come ha detto Jung, il sale dell’amarezza trasformato nel sale della saggezza.

Una saggezza, Sofia, che, una volta ancora, rappresenta un contributo del femminile al maschile, in grado di fornire quel contesto più vasto che la volontà da sola non sa raggiungere.
La saggezza di cui parlo è quell’unione di amore e necessità dove finalmente il sentimento può liberamente riversarsi nel nostro destino, riconciliandoci con ciò che ci è accaduto.

Così come la fiducia conteneva il seme del tradimento, il tradimento contiene in sé il seme del perdono. Sarà questa, dunque, la risposta all’ultima delle nostre domande iniziali: che posto occupa il tradimento nella vita psicologica?
Senza l’esperienza del tradimento, né fiducia né perdono acquisterebbero piena realtà. Il tradimento è il lato oscuro dell’una e dell’altro, ciò che conferisce loro significato, ciò che li rende possibili.
Questo forse spiega in parte come mai il tema del tradimento sia così forte nelle nostre religioni. Forse il tradimento è la porta attraverso la quale gli esseri umani possono arrivare alle più alte esperienze religiose del perdono e della riconciliazione con quel muto labirinto che è il creato.

Ma il perdono è talmente difficile da dare, che probabilmente c’è bisogno della collaborazione dell’altro, di colui che ha tradito. Voglio dire che l’offesa, se non è ricordata da entrambi gli interessati (e ricordata come offesa), ricade tutta su colui che è stato tradito.
Il contesto più vasto in cui è accaduta la tragedia sembra richiedere sentimenti paralleli in entrambi gli interessati, i quali sono ancora legati in un rapporto, nei nuovi ruoli di traditore e di tradito.

archetipi-stelle

Se è solo il tradito a percepire l’offesa, mentre l’altro ci passa sopra con razionalizzazioni, allora il tradimento continua, anzi si accentua.
Questa elusione in malafede di ciò che è realmente accaduto è, di tutte le piaghe, la più bruciante per il tradito. Il perdono diventa più difficile; il risentimento cresce, perché il traditore non si assume la sua colpa e non prende con onestà coscienza del proprio atto.
Jung ha detto che il senso dei nostri peccati è che dobbiamo assumerceli, vale a dire non dobbiamo scaricarli sugli altri perché li portino per noi. Per assumersi i propri peccati, bisogna prima riconoscerli, e riconoscere la loro brutalità.

Per la psiche, assumersi un peccato significa semplicemente riconoscerlo, ricordarlo. In entrambe le persone coinvolte, tutte le emozioni connesse con l’esperienza del tradimento (rimorso e pentimento nel traditore, risentimento e vendicatività nel tradito) premono verso il medesimo punto psicologico: la memoria.
Il risentimento, in particolare, è un’afflizione emotiva della memoria che l’oblio non riuscirà mai a rimuovere del tutto. E allora non è meglio ricordarla, l’offesa, piuttosto che girare a vuoto tra oblio e risentimento?

Si direbbe che lo scopo di tali emozioni sia quello di impedire che le esperienze si dissolvano nell’inconscio. Sono il sale che preserva l’evento dalla decomposizione. Col loro sapore amaro, esse ci obbligano a rimanere fedeli a quel peccato. Sì, perché uno dei surreal-risentimentoparadossi del tradimento è la fedeltà che tradito e traditore mantengono, dopo l’evento, alla sua amarezza.
Questa fedeltà ce l’ha anche il traditore.

Se io infatti sono incapace di ammettere di aver tradito un altro, o se cerco di dimenticarlo, rimango bloccato nella mia brutalità inconscia. E allora il più ampio contesto dell’amore e della necessità destinale della mia azione e dell’intero evento non verranno colti.
Non solo continuerò a offendere l’altro, recherò offesa anche a me stesso, perché mi sarò precluso la possibilità di perdonarmi. Non potrò diventare più saggio, e non avrò nulla con cui riconciliarmi.

Per questi motivi sono convinto che il perdono da parte del tradito richiede l’espiazione da parte del traditore. Espiazione è il sentimento che accompagna il comportamento silenzioso del padre, secondo l’interpretazione che ne abbiamo dato. Il padre si fa carico del proprio senso di colpa e del proprio dolore. Pur rendendosi pienamente conto di ciò che ha fatto, non cerca di spiegarlo al figlio, e con ciò espia il proprio atto, vale a dire si pone in relazione con esso.

L’espiazione implica inoltre una sottomissione al tradimento in quanto tale, alla sua realtà trans-personale, destinale.
Chinando il capo dinanzi alla vergogna della mia incapacità a mantenere la parola data, sono obbligato ad ammettere umilmente sia la mia personale debolezza sia la realtà di potenze impersonali.
Attenzione, però: l’espiazione non deve servire a metterci la coscienza in pace e neppure ad appianare la situazione. Essa è una forma di riconoscimento dell’altro.

A mio avviso, questo è un punto che non si sottolineerà mai abbastanza, perché noi, anche se siamo vittime di temi cosmici, come la tragedia, il tradimento, il fato, viviamo in un mondo di uomini.
Il tradimento può sì rientrare in un contesto più vasto e rappresentare un tema cosmico, ma è pur sempre all’interno di rapporti individuali, attraverso una persona cara con la quale siamo in stretta intimità, che i grandi temi si toccano.
Se gli altri, nel rovesciarci addosso la tragedia, sono strumenti degli dèi, alla stessa stregua essi sono anche il mezzo attraverso il quale noi facciamo ammenda presso gli dèi. Le condizioni si trasformano all’interno del medesimo tipo di situazione intima e personale nel quale si erano verificate.

Basterà allora espiare soltanto davanti agli dèi? Con questo, la faccenda è chiusa? La tradizione non associa forse la saggezza con l’umiltà?
L’espiazione, come il pentimento, può anche non essere expressis verbis, ma probabilmente è più efficace se si manifesterà in qualche forma di contatto con l’altro, nel pieno riconoscimento dell’altro.
E che cos’è, in fondo, il pieno riconoscimento dell’altro, se non amore?

(Hillman, Puer aeternus)