La prima fioritura della vita sessuale infantile è destinata a estinguersi poiché i desideri che essa alimenta sono incompatibili sia con la realtà sia con l’inadeguato stadio di sviluppo che il bambino ha raggiunto.
Tale fioritura perisce in circostanze più che mai tormentose, accompagnate da sensazioni di dolore profondo. Dalla perdita dell’amore dei genitori e dallo scacco subito risulta per il bambino un’offesa permanente del sentimento di sé, nella forma di una ferita narcisistica che […] contribuisce più di ogni altra cosa allo sviluppo di quel «sentimento d’inferiorità» così comune fra i nevrotici.
L’esplorazione sessuale infantile, che non può oltrepassare certi limiti a causa dello sviluppo fisico del bambino, non si è dunque risolta in modo per lui soddisfacente; di qui le successive lamentele di tipo: «Non sono capace di combinare nulla, niente mi riesce».
Il tenero attaccamento che perlopiù legava il bambino al genitore di sesso opposto è stato vittima di una delusione, della vana attesa di un soddisfacimento, o della gelosia suscitata dalla nascita di un nuovo bambino, che ha dimostrato inequivocabilmente l’infedeltà dell’amato o dell’amata.
Il tentativo di fare a sua volta un bambino, intrapreso con tragica serietà, è fallito vergognosamente; la diminuzione delle manifestazioni di affetto che gli sono rivolte, le crescenti pretese dell’educazione, qualche parola severa e un’occasionale punizione, sono tutte cose che svelano alla fin fine al piccolo fino a che punto egli sia disprezzato. I modi in cui vien posto fine all’amore tipico di quest’età infantile sono pochi e sempre gli stessi.
I nevrotici ripetono dunque, nella traslazione, tutte queste situazioni indesiderate e questi dolorosi stati affettivi facendoli rivivere con grande abilità. Essi mirano a interrompere il trattamento prima che sia ultimato, sanno ricreare l’impressione di essere disprezzati, sanno costringere il medico ad apostrofarli con severità, a trattarli con freddezza; trovano appropriati oggetti per la loro gelosia; sostituiscono il bambino che avevano appassionatamente desiderato nella loro infanzia con il progetto o la promessa di un grande regalo, che si rivela perlopiù non meno irrealistico di quello di un tempo.
Nulla di tutto ciò può aver procurato piacere in passato; e siamo indotti a ritenere che oggi provocherebbe un dispiacere minore se riemergesse come ricordo o nei sogni anziché assumere la forma di una nuova esperienza.
Si tratta naturalmente dell’attività di pulsioni che dovrebbero condurre al soddisfacimento; eppure l’esperienza che anche in passato hanno procurato solo dispiacere anziché soddisfacimento non è servita a nulla. Tale attività viene nondimeno ripetuta; una coazione costringe a farlo.
Ciò che la psicoanalisi svela a proposito dei fenomeni di traslazione dei nevrotici si può ritrovare anche nella vita di persone non nevrotiche che suscitano l’impressione di essere perseguitate dal destino o vittime di qualche potere «demoniaco»; ma la psicoanalisi ha sempre pensato che questo destino sia creato da costoro in massima parte con le loro stesse mani, e sia determinato da influssi che risalgono all’età infantile.
La coazione che in essi si manifesta non è diversa dalla coazione a ripetere dei nevrotici, anche se queste persone non hanno mai mostrato i segni di un conflitto nevrotico che abbia dato luogo alla formazione di sintomi.
Esistono così persone le cui relazioni umane si concludono tutte nello stesso modo: benefattori che dopo qualche tempo sono astiosamente abbandonati da tutti i loro protetti – per diversi che siano tra loro questi ultimi sotto altri riguardi –, e che quindi paiono destinati a vuotare fino in fondo l’amaro calice dell’ingratitudine; uomini le cui amicizie si concludono immancabilmente con il tradimento dell’amico; o altri che nel corso della loro vita elevano ripetutamente un’altra persona a una posizione di grande autorità privata o anche pubblica, e poi, dopo un certo intervallo di tempo, abbattono essi stessi quest’autorità, per sostituirla con quella di un altro; o, ancora, persone i cui rapporti amorosi con le donne attraversano tutti le medesime fasi e terminano nello stesso modo, ecc.
Questo «eterno ritorno dell’uguale» non ci stupisce molto se si tratta di un comportamento attivo del soggetto in questione e se in esso ravvisiamo una peculiarità permanente ed essenziale del suo carattere la quale debba necessariamente esprimersi nella ripetizione delle stesse esperienze. Un’impressione più forte ci fanno quei casi in cui pare che la persona subisca passivamente un’esperienza sulla quale non riesce a influire, incorrendo tuttavia immancabilmente nella ripetizione dello stesso destino.
Si pensi ad esempio alla storia di quella donna che si è sposata per tre volte di seguito con persone che dopo breve tempo si ammalavano, e che essa doveva assistere fino alla morte.
La più commovente descrizione poetica di questo destino è stata data da Tasso nell’epopea romantica della Gerusalemme liberata. Senza saperlo l’eroe Tancredi ha ucciso in duello l’amata Clorinda, le cui sembianze erano nascoste sotto l’armatura di un cavaliere nemico. Dopo che essa è stata sepolta Tancredi si addentra nella sinistra foresta magica che terrorizza l’esercito dei crociati; con la spada colpisce un alto albero, ma dal tronco squarciato sgorga sangue, e la voce di Clorinda, la cui anima è imprigionata nell’albero, rimprovera a Tancredi di aver infierito ancora una volta sulla donna che ama.
Se terremo conto di osservazioni come queste, che si riferiscono al comportamento nella traslazione, nonché al destino degli uomini, troveremo il coraggio di formulare l’ipotesi che nella vita psichica esiste davvero una coazione a ripetere la quale si afferma anche a prescindere dal principio di piacere. A questo punto saremmo anche propensi a mettere in rapporto con tale coazione i sogni che si presentano nelle nevrosi traumatiche e l’impulso che spinge il bambino a giocare.
Va rilevato, tuttavia, che ci capita raramente di poter osservare gli effetti della coazione a ripetere allo stato puro, senza l’apporto di altri motivi. Nel caso del giuoco dei bambini abbiamo già sottolineato quali altre interpretazioni possono essere addotte per spiegarne l’origine. Pare che la coazione a ripetere e un soddisfacimento pulsionale direttamente piacevole vi convergano in un intimo intreccio.
I fenomeni della traslazione sono evidentemente utilizzati dalla resistenza dell’Io il quale persevera ostinatamente nella rimozione; la coazione a ripetere, di cui il trattamento intendeva avvalersi, è in certo modo tirata dalla parte dell’Io che vuole tener fermo il principio di piacere. A nostro avviso quella che si potrebbe chiamare la coazione del destino può essere in gran parte spiegata razionalmente, talché non sentiamo il bisogno di invocare qualche nuovo misterioso motivo per farcene una ragione.
L’esempio meno sospetto è forse quello dei sogni traumatici; ma se riflettiamo più attentamente dobbiamo ammettere che anche negli altri casi l’azione delle cause a noi note non è sufficiente a fornire una spiegazione esaustiva; e ciò che rimane privo di spiegazione è sufficiente a legittimare l’ipotesi di una coazione a ripetere, che ci pare più originaria, più elementare, più pulsionale di quel principio di piacere di cui non tiene alcun conto.
Ma se nella psiche esiste tale coazione a ripetere, ci piacerebbe conoscere qualcosa su di essa, sapere a quale funzione corrisponde, in quali circostanze può manifestarsi, e in che rapporto sta col principio di piacere, a cui, dopo tutto, avevamo finora attribuito l’egemonia sui processi di eccitamento che si svolgono nella vita psichica.
(Freud, Al di là del principio di piacere)
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LEFÈBVRE-PONTALIS: – Al di là del principio di piacere è un saggio in cui Freud scopre che il predominio, da lui stabilito in un primo tempo del principio di piacere, legato al principio di costanza, secondo il quale l’organismo deve poter ridurre le tensioni a un livello costante, scopre che questo principio non è esclusivo, come aveva affermato all’inizio.
È come se fosse in qualche modo spinto da un certo numero di fatti ad andare al di là di ciò che aveva affermato all’inizio. Ma è imbarazzato.
Anzitutto ci sono i sogni dei traumatizzati, cioè, fatto curioso, che nelle nevrosi traumatiche ci sarà sempre ripresa del sogno della situazione traumatizzante. Così l’idea del sogno come realizzazione allucinatoria del desiderio crolla.
Poi, i giochi che i bambini ripetono indefinitamente. Vi è il celebre esempio del bambino di diciotto mesi lasciato dalla madre che ogni volta getta un oggetto e lo recupera – processo di sparizione, di riapparizione. Il bambino tenta di assumere un ruolo attivo in questa situazione.
Il più importante è ciò che succede nella situazione di transfert, in cui l’analizzato ricomincia un certo numero di sogni, sempre gli stessi. E in modo generale è portato a ripetere anziché semplicemente ricordare.
Succede come se la resistenza non venisse, come Freud aveva dapprima creduto, unicamente dal rimosso, ma unicamente dall’io. E trova modificata la sua prima concezione del transfert.
Questo non è più solamente definito come il prodotto di una disposizione al transfert, ma di una compulsione di ripetizione.
In breve, questi fatti portano Freud a oggettivare e a passare all’affermazione che c’è un’altra cosa che il principio di piacere, che c’è una tendenza irresistibile alla ripetizione, che trascenderebbe il principio di piacere, lo completerebbe in seno al principio di costanza.
Succede come se, a fianco della ripetizione dei bisogni, ci fosse un bisogno di ripetizione, che Freud constata più che introdurlo. […]
Qualcosa che mi ha colpito – visto che sono supposto sostenere il ruolo della bocca ingenua – è che la tendenza alla ripetizione appare qui definita in modo contraddittorio.
Essa appare definita dalla sua meta, e la sua meta, per prendere l’esempio del gioco del bambino, sembra essere quella di padroneggiare ciò che minaccia un certo equilibrio, di assumere un ruolo attivo, di trionfare di conflitti non risolti.
In questo momento la tendenza alla ripetizione appare come generatrice di tensione, come fattore di progresso, mentre l’istinto, nel senso che dice Freud, è al contrario solo un principio di stagnazione. L’idea centrale è che la tendenza alla ripetizione modifica l’armonia prestabilita fra principio di piacere e principio di realtà, che essa conduce a integrazioni sempre più vaste, che è dunque fattore di progresso umano. Il titolo dell’articolo allora si giustifica. La compulsione di ripetizione sarebbe al di là del principio di piacere, invece di essere, come il principio di piacere, un rapporto di sicurezza.
Se si passa all’altro punto di vista, se si smette di definire la tendenza alla ripetizione con la sua meta, e la si definisce tramite il suo meccanismo, essa appare come pure automatismo, come regressione.
Per illustrare questo aspetto Freud fa molti esempi presi dalla biologia. L’aspetto tensione è illustrato dai progressi umani, e l’aspetto regressione è illustrato dai fenomeni di igiene alimentare.
Ecco la costruzione che ho creduto di cogliere tra la tendenza alla ripetizione, fattore di progresso, e la tendenza alla ripetizione, meccanismo.
Non bisogna rinunciare a descrivere questa ripetizione in termini biologici e comprenderla in termini unicamente umani. L’uomo è portato a padroneggiarla con la sua morte, la sua stagnazione, la sua inerzia, nella quale può sempre ricadere.
Seconda questione. Questa inerzia potrebbe essere raffigurata dall’io, che Freud definisce molto esplicitamente come il nocciolo delle resistenze nel transfert. È un passo nell’evoluzione della sua dottrina – l’io nell’analisi, cioè in una situazione che rimette in causa l’equilibrio precario, la costanza, l’io presenta la sicurezza, la stagnazione, il piacere.
Di modo che la funzione di legame non definirebbe ogni soggetto. L’io, il cui compito principale è di trasformare tutto in energia secondaria, in energia legata, non definirà ogni soggetto; da qui l’apparizione della tendenza alla ripetizione.
La questione della natura dell’io potrebbe essere legata alla funzione del narcisismo. Anche qui ho trovato certe contraddizioni in Freud, che a volte sembra identificarlo con l’istinto di conservazione e di tanto in tanto ne parla come di una sorta di ricerca della morte.
Ecco all’incirca ciò che volevo dire.
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Vi sembra abbastanza intelligibile nella sua brevità?
Per quanto breve, ritengo degno di nota il modo in cui Pontalis ha posto il problema, poiché coglie veramente in pieno le ambiguità con cui avremo a che fare, almeno nei primi passi del nostro tentativo di comprendere la teoria freudiana dell’io.
Lei ha parlato del principio di piacere come equivalente alla tendenza all’adattamento. Si renderà conto che è proprio questo che in seguito ha messo in discussione. C’è una profonda differenza tra il principio di piacere e qualcosa d’altro che se ne differenzia, come quei due termini inglesi che possono tradurre il termine di bisogno – need e drive.
Lei ha posto bene la questione dicendo che un certo modo di parlarne implica l’idea di progresso. Forse non ha messo abbastanza l’accento sul fatto che la nozione di tendenza alla ripetizione in quanto drive è esplicitamente opposta all’idea che nella vita vi sia qualcosa che tenda al progresso, contrariamente alla prospettiva dell’ottimismo tradizionale, dell’evoluzionismo, il che lascia la problematica dell’adattamento – e mi spingerei fino a dire quella della realtà – completamente aperta.
Ha fatto bene a sottolineare la differenza tra il registro biologico e il registro umano. Ma ciò può interessare solo se ci si accorge che è proprio dalla confusione di questi due registri che sorge il problema di questo testo.
Non c’è testo che metta in questione a un più alto livello il senso stesso della vita. Il che sfocia in una confusione, direi quasi radicale, della dialettica umana con qualcosa che è nella natura.
C’è qui un termine che lei non ha pronunciato, e che è assolutamente essenziale, quello di istinto di morte.
Molto giustamente lei ha mostrato che non si tratta semplicemente di metafisica freudiana. La questione dell’io vi è del tutto implicata. Lei non ha fatto che abbozzarla – altrimenti avrebbe fatto ciò a cui vi condurrò nel Seminario di quest’anno.
(Lacan, Il Seminario: 2)