Qual è l’originalità del pensiero che Lévi-Strauss adduce con la «struttura elementare»?
Egli mette dal principio alla fine l’accento sul fatto che non si capisce niente dei fenomeni raccolti ormai da tempo sulla parentela e la famiglia, se si cerca di dedurli da una qualunque dinamica naturale o naturalizzante. L’incesto come tale non solleva alcun sentimento naturale di orrore. Non dico che possiamo basarci su questo, dico che è quello che Lévi-Strauss dice. Non c’è alcuna ragione biologica, e in particolare genetica, per motivare l’esogamia, ed egli lo mostra dopo una discussione estremamente precisa dei dati scientifici. In una società – consideriamo anche società che non siano società umane – una pratica permanente e costante dell’endogamia non solo non avrà inconvenienti, ma avrà per effetto dopo un certo tempo di eliminare le pretese tare. Non c’è nessuna deduzione possibile, a partire dal piano naturale, della formazione di quella struttura elementare che si chiama l’ordine preferenziale.
Questo, egli, su cosa lo fonda? Sul fatto che, nell’ordine umano, abbiamo a che fare con l’emergenza totale di una nuova funzione che ingloba tutto l’ordine umano nella sua totalità.
La funzione simbolica non è nuova in quanto funzione: essa ha abbozzi altrove che nell’ordine umano, ma non si tratta che di abbozzi. L’ordine umano si caratterizza nel fatto che la funzione simbolica interviene in tutti i momenti e a tutti gradi della sua esistenza.
In altri termini, tutto si regge. Per concepire ciò che accade nel dominio proprio dell’ordine umano, bisogna partire dall’idea che quest’ordine costituisce una totalità. La totalità nell’ordine simbolico si chiama un universo. L’ordine simbolico è dato anzitutto nel suo carattere universale.
Non si costituisce poco a poco. Appena viene il simbolo, c’è un universo di simboli. La questione che ci si potrebbe porre – dopo quanto simboli, numericamente, l’universo simbolico si costituisce? – resta aperta. Ma per quanto piccolo sia il numero di simboli che potete concepire all’emergenza della funzione simbolica come tale nella vita umana, essi implicano la totalità di tutto ciò che è umano. Tutto si ordina in relazione ai simboli sorti, ai simboli una volta apparsi.
La funzione simbolica costituisce un universo all’interno del quale si deve ordinare tutto ciò che è umano. Non per nulla Lévi-Strauss chiama le strutture elementari – non dice primitive. Elementare è il contrario di complesso.
Ora, cosa curiosa, non ha ancora scritto le Strutture complesse della parentela. Le strutture complesse, siamo noi a rappresentarle, e si caratterizzano per il fatto di essere molto più amorfe.
DR. BARGUES: – Lévi-Strauss ha parlato delle strutture complesse.
Certo, le abbozza, ne indica i punti di inserimento, ma non le ha trattate.
Nelle strutture elementari le regole dell’alleanza sono prese in una rete straordinariamente ricca, lussuosa, di preferenze e di interdetti, di indicazioni, di comandamenti, di tracce, e coprono un campo ben più vasto che nelle forme complesse. Più ci avviciniamo, non all’origine, ma all’elemento, più s’impongono la strutturazione, l’ampiezza, l’intricazione del sistema propriamente simbolico della nomenclatura. La nomenclatura della parentela e dell’alleanza è più ampia nelle forme elementari che nelle forme cosiddette complesse, cioè elaborate in cicli culturali molto più estesi.
È un’osservazione fondamentale di Lévi-Strauss che mostra la sua fecondità in questo libro. Da qui possiamo formulare l’ipotesi che questo ordine simbolico, dato che si pone sempre come un tutto, come formante un universo in sé – addirittura come ciò che costituisce l’universo come tale, in quanto distinto dal mondo – deve essere ugualmente strutturato come un tutto, forma cioè una struttura dialettica che si regge, che è completa.
Ci sono sistemi di parentela più o meno percorribili. Alcuni sfociano in impasses propriamente aritmetiche e suppongono che si producano di tanto in tanto delle crisi all’interno della società, con quel che comportano di rotture e di nuove partenze.
È a partire da questi studi aritmetici – se per aritmetica si intende non soltanto la manipolazione delle collezioni di oggetti, ma anche la comprensione della portata di queste operazioni combinatorie, che va al di là di ogni specie di dato che possa essere sperimentalmente dedotto dal rapporto vitale del soggetto col mondo – che Lévi-Strauss dimostra che c’è una classificazione corretta di ciò che le strutture elementari della parentela ci presentano.
Ciò suppone che le istanze simboliche funzionino nella società fin dall’origine, fin dal momento in cui essa appare come umana. Ora, è ciò che suppone anche l’inconscio così come lo scopriamo e manipoliamo nell’analisi.
È proprio qui che ieri sera c’è stata qualche titubanza nella risposta di Lévi-Strauss alla mia domanda. Perché, per la verità, con un movimento frequente in chi introduce nuove idee, una specie di esitazione per mantenerne tutto il mordente, egli è quasi ritornato a un piano psicologico. La domanda che gli ponevo non implicava affatto un inconscio collettivo, termine pronunciato da lui. Quale soluzione si potrebbe attendere dalla parola «collettivo» in questo caso, quando il collettivo e l’individuale sono esattamente la stessa cosa?
No, non si tratta di supporre da qualche parte un’anima comune in cui tutti questi calcoli avrebbero luogo, non si tratta di alcuna entificazione psicologica, si tratta della funzione simbolica. La funzione simbolica non ha assolutamente nulla a che fare con una formazione para-animale, una totalità che farebbe una specie di grande animale dell’insieme dell’umanità – poiché, in fin dei conti, è questo l’inconscio collettivo.
Se la funzione simbolica funziona, noi siamo all’interno. E dirò di più – siamo talmente all’interno che non possiamo uscirne.
In gran parte dei problemi che ci si pongono quando tentiamo di farne scienza, mettendo un ordine in un certo numero di fenomeni, quello della vita in primo luogo, sono sempre le vie della funzione simbolica in fin dei conti a guidarci, molto più di qualsiasi apprensione diretta.
Così, è sempre in termini di meccanismo che malgrado tutto tentiamo di spiegare l’essere vivente.
La prima questione che si pone a noi, analisti, e qui possiamo forse uscire dalla controversia tra vitalismo e meccanicismo, è la seguente – perché siamo portati a pensare la vita in termini di meccanismo? In che cosa siamo, effettivamente, in quanto uomini, parenti della macchina?
HYPPOLITE: – In quanto matematici, in quanto abbiamo la passione della matematica.
Ma sì. Le critiche filosofiche fatte alle ricerche propriamente meccanicistiche suppongono che la macchina sia priva di libertà. Sarebbe molto facile dimostrarvi che la macchina è molto più libera dell’animale.
L’animale è una macchina bloccata. È una macchina in cui certi parametri non possono più variare. E perché? Perché è l’ambiente esterno a determinare l’animale, a farne un tipo fisso.
Nei confronti dell’animale è proprio perché siamo delle macchine, cioè qualcosa di de-composto, che manifestiamo una maggiore libertà, nel senso in cui libertà significa molteplicità di scelte possibili. Mai si mette in evidenza questa prospettiva.
HYPPOLITE: – Il termine macchina non ha forse profondamente e sociologicamente cambiato di senso, dai suoi inizi fino alla cibernetica?
Sono d’accordo con lei. Per la prima volta sto tentando di inculcare ai miei uditori che la macchina non è ciò che pensa certa gente vacua. Il senso della macchina sta per cambiare completamente, per tutti voi, che abbiate o meno aperto un libro di cibernetica. Siete in ritardo, è sempre così.
La gente del XVIII secolo, sì, quelli che hanno introdotto il meccanicismo – quello che oggi è di buon gusto esecrare, quello delle macchinette lontane dalla vita, quello che credete di aver superato – persone come La Mettrie, che non vi consiglierò mai abbastanza di leggere, persone che vivevano, che scrivevano l’Uomo-Macchina, ebbene non avete idea di quanto fossero ancora impegolate in categorie anteriori, che dominavano veramente la loro mente.
Bisogna leggere da cima a fondo i trentacinque volumi della Encyclopédie des arts e des techniques, che dà lo stile di quest’epoca, per accorgersi fino a che punto le nozioni scolastiche dominassero in loro ciò che stavano per introdurre non senza sforzo. Questi tentativi di riduzione a partire dalla macchina, di funzionalizzazione dei fenomeni che si producono a livello umano, erano molto avanzati rispetto alle concatenazioni che mantenevano nel loro funzionamento mentale quando affrontavano un tema qualsiasi.
Aprite l’Encyclopédie alla parola amore, alla parola amor-proprio – vedrete a che punto i loro sentimenti umani fossero lontani da ciò che tentavano di costruire in rapporto alla conoscenza dell’uomo.
È solo molto più tardi che il meccanicismo, in noi e nei nostri padri, ha assunto il suo senso pieno, depurato, denudato, esclusivo di ogni altro sistema interpretativo.
Ecco un’osservazione che ci permette di cogliere che cos’è, essere un precursore. Non è, cosa del tutto impossibile, anticipare le categorie che verranno più tardi e che non sono ancora create – gli esseri umani sono sempre immersi nella stessa rete culturale dei loro contemporanei e non possono avere altre nozioni che le loro.
Essere un precursore è vedere ciò che i nostri contemporanei stanno costituendo come pensieri, come coscienza, come azione, come tecniche, come forme politiche, vederli come saranno visti un secolo più tardi. Questo sì, può esistere.
C’è in corso una mutazione della funzione della macchina, che si lascia alle spalle tutti quelli che sono rimasti alla critica del vecchio meccanicismo. Essere appena un po’ in anticipo vuol dire accorgersi del rovesciamento totale di tutte le obiezioni classiche fatte all’uso di categorie propriamente meccanicistiche. Credo che avrò occasione di mostrarvelo …
(Lacan, Il Seminario: 2)