Bretagna – Lancillotto combatte per Ginevra

Baudemagu-Lancillotto

Il re Baudemagu inforcò un palafreno e, scortato da tre sergenti che conducevano per la briglia un cavallo, si recò dov’era il cavaliere.
Seduto davanti al ponte, Lancillotto tamponava il sangue che usciva dai suoi tagli; riconobbe il re e si levò al suo cospetto, nonostante le ferite.
«Signor cavaliere, salite su questo destriero e siate il benvenuto – disse re Baudemagu. – Oggi è tempo che vi riposiate. Mai alcuno fu più ardito di voi».
«Sire – rispose Lancillotto – sono qui per compiere la mia avventura e non per riposarmi in simile ora. M’hanno detto che avrei potuto combattere: se il campione è qui, che venga».

«Amico, vedo colare il vostro sangue: avete tanta fretta di dar battaglia, pur essendo ferito? Aspettate che le vostre piaghe siano guarite! Vi darò dell’unguento delle Tre Marie, o uno migliore, se ve n’è. Non c’è cavaliere al mondo il quale lo faccia più volentieri».
«Sire, non so perché fareste tanto per me, ché non sono un vostro parente, né mai v’ho incontrato, a quanto credo. Chiunque io sia, fatemi dunque aver battaglia, ché non sono affatto venuto qui da tanto lontano per trovare pietà».
Il re ben comprese che il cavaliere temeva d’essere riconosciuto. «Ignoro chi voi siate – disse – e nella mia casa non ve lo domanderanno. Da questo momento, vi prendo sotto la mia salvaguardia, e vi sarò garante contro tutti, salvo colui che dovrete combattere. cavaliere-medievalMontate su questo cavallo; se non è abbastanza buono, ve ne darò uno migliore. E se ho detto che vi amo, è per la grande prodezza che dimostrate».

Così parlava, tanto cortesemente che Lancillotto acconsentì a lasciarsi condurre. Il re lo fece portare nella camera più appartata della torre, dove non gli inviò altri servitori che uno scudiero e si trattenne dall’entrarvi egli stesso per non contrariarlo.
Intanto andò a trovare Meleagant: «Bel figliolo, se tu volessi credermi – gli disse – faresti cosa che ti verrebbe eterna lode».
«Cosa dunque?».
«Renderesti al cavaliere che ha passato il ponte la regina Ginevra che fai male a trattenere, e io libererei gli altri prigionieri, ché abbastanza è durata la loro prigionia. E tutti direbbero che hai reso per liberalità quanto hai conquistato per prodezza; ciò ti varrà grande onore».

«Non vi vedo onore, ma solo indegna viltà – disse Meleagant. – Bisogna che non abbiate cuore per darmi un tale consiglio. Fosse costui Lancillotto in persona, non mi fa paura! E potete ospitarlo a vostro piacere: avrò più onore a difendere il mio diritto quanto più l’aiuterete contro di me».
«Chi t’ha detto che è Lancillotto? In fede mia, io non so nulla, ché non l’ho ancora visto che tutto armato e coperto dall’elmo. Se fosse lui, avresti torto a volerlo affrontare: a nulla ti varrebbe».
«Mai ho trovato alcuno che mi stimasse meno di voi! – esclamò Meleagant. – Ma più voi mi disprezzate, più io mi pregio. E domani avrete gioia o dolore ché, o io o lui, uno di noi lascerà questo mondo».
«Poiché è così, non dirò altro, ma se potessi distoglierti da questa battaglia senza mancare al mio dovere, non ti appenderei certo lo scudo al collo. In ogni caso, quel cavaliere non dovrà difendersi da nessun altro all’infuori di te, ché mai fui traditore e mai lo sarò».

L’indomani, al levar del giorno, c’era sì gran calca per vedere il combattimento che non si Lancillotto-manoscrittosarebbe potuto muovere un piede. Lancillotto andò a sentir messa tutto armato, tranne la testa e le mani. Poi allacciò il suo buon elmo di Poitiers e andò a reclamare la battaglia al re.
«Signor cavaliere, l’avrete – disse costui – e vi prometto che nessuno vi costringerà a farvi riconoscere. Tuttavia, vi prego, in nome di ciò che amate, di togliervi l’elmo».
Lancillotto si scoperse e, appena il re lo vide, lo riconobbe con gran gioia. L’abbracciò e gli augurò il benvenuto, felice d’aver avuto rassicurazione che non era morto, com’era corsa voce; ma non profferì parole sulla morte di Galeotto per non recargli pena.

Lo condusse sullo spiazzo davanti al castello, che era grande e largo, e là nuovamente esortò il figlio a consegnare la regina Ginevra e i prigionieri; ma Meleagant nulla volle intendere.
Allora il re raccomandò ai due cavalieri di non attaccare prima del segnale; poi salì sulla torre, dove trovò la regina circondata da una grande compagnia di cavalieri anziani e di dame. E dopo aver preso posto a una finestra della sala, la regina alla sua destra, diede ordine di gridare il bando e di suonare il corno.

Sull’istante, i due avversari abbassano le lance dipinte, si slanciano l’uno contro l’altro alla massima velocità dei loro cavalli ben coperti di ferro, e si urtano col fracasso di un tuono.
In quel momento, in tutto il paese di Gorre i prigionieri pregavano con tutto il cuore per il cavaliere che combatteva per liberarli. E sappiate che Meleagant urtò lo scudo di Lancillotto con tanta forza che ne disgiunse le assi; ma la lancia s’arrestò contro il giaco e volò in pezzi come un ramo morto.
Al contrario, il colpo di Lancillotto capovolse lo scudo in tal modo che Meleagant si sentì rudemente percosso alla tempia dalla propria arma di difesa, mentre il ferro del nemico trapassava le maglie del giaco e scivolava lungo il suo petto. Fu sbalzato a terra, e le armi risuonarono.

torneo-cavalieri

Ma subito si rimise in piedi, mentre Lancillotto smontava dal destriero come colui che mai attaccherebbe a cavallo un uomo appiedato, e gli correva addosso, la spada sguainata, dicendo: «Meleagant, Meleagant, ora v’ho reso la ferita che mi faceste un tempo, e non è per tradimento!».
A tali parole essi si gettano l’uno contro l’altro come due cinghiali. L’uno è veloce, e l’altro è più veloce ancora: si colpiscono con tanti colpi sì duri e fitti, che mandano in pezzi gli scudi, e le scintille sprizzano dagli elmi fino al cielo, le maglie dei giachi cadono e a ogni colpo zampilla il sangue vermiglio.

Quanti rudi, fieri, lunghi colpi di spada! Ciascuno avrebbe voluto strappare all’altro il cuore sotto la mammella. Presto il sangue di Meleagant arrossa il suo bianco giaco, ma Lancillotto soffre per le mani ferite.
Alla finestra, la regina s’accorge che egli indebolisce. «Lancillotto, Lancillotto, sei proprio tu?», ella mormora.
Una pulzella, che le era accanto, la intese: si sporse e gridò sì forte che tutti la udirono: «Lancillotto, volgiti, guarda chi si commuove per te!».

A causa della calura e del gran turbamento, la regina aveva scostato il velo e Lancillotto, levati gli occhi, scorse all’improvviso colei che più al mondo desiderava vedere. Ne fu sì torneo-cavalieri-piediturbato che poco mancò che gli cadesse la spada!
E ora non fa che contemplare la regina! Si lascia aggirare e colpire da dietro; si difende sì male che Meleagant lo ferisce in più punti!
Ma di nuovo la pulzella gli grida: «Lancillotto, che ne è stato del tuo valore? Difenditi! che questa torre veda quello che sai fare!».
Lancillotto la sente e si riprende. Di nuovo avreste potuto vederlo dare addosso a Meleagant; lo colpisce con tanta forza che l’altro vacilla due volte, e presto lo spossa e lo incalza di qua e di là come un cieco o un trampoliere.

Allora il re ebbe pietà del figlio.
«Signora – disse alla regina – io v’ho onorata come meglio ho potuto e non ho permesso che vi si mancasse in nulla. In ricompensa, accordatemi un dono. Vedo chiaramente che mio figlio è stremato. Signora, abbiate misericordia! Fate che non venga ucciso da Lancillotto».
«Bel signore, andate a separarli».
Il re scese e ripeté le parole della regina.

Subito Lancillotto rimette la spada nel fodero: così è colui che ama, che volentieri fa quanto deve far piacere all’amica. Ma Meleagant lo colpì con tutta la forza, ché il suo cuore era di legno, senza dolcezza né pietà.
«Come! – disse il re. – Egli s’arresta, e tu lo colpisci!».
E fa prendere il figlio dai suoi baroni. Ma Meleagant gridava che aveva la meglio, e che gli si strappava la vittoria, e che Lancillotto si sarebbe dichiarato vinto se avesse lasciato il campo.
«Nel momento in cui vorrai sfidare Lancillotto alla corte di re Artù, egli combatterà di nuovo contro di te – disse il re. – E se sarai vincitore, la regina ti seguirà».
Questo fu giurato sui santi.

Russel-Barrer-Ginevra-Lancillotto

Quando Lancillotto fu disarmato e si fu lavato il collo e il viso, re Baudemagu lo prese per il dito e, seguito da tutti i baroni, lo condusse nelle stanze della regina. E appena Lancillotto ebbe scorto la sua dama, si mise in ginocchio.
«Signora – disse il re – ecco il cavaliere che vi ha conquistato a sì gran prezzo».
«Signore – ella rispose – se ha fatto qualcosa per me, è stata fatica sprecata».
«Signora – mormorò Lancillotto – in cosa vi ho mancato?».

Ma, senza degnar risposta, ella si alzò e passò in un’altra stanza, sì che re Baudemagu non poté trattenersi dal dirle: «Signora, signora, l’ultimo servigio che v’ha reso dovrebbe farvi dimenticare i suoi torti, se ne ha».
Lancillotto accompagnò la sua dama con gli occhi e col cuore, ma, ahimé, solo il cuore poté varcare la porta. Per confortarlo, il re lo condusse nella camera dove giaceva Keu ancora ferito; poi s’allontanò per lasciarli parlare in libertà.

«Benvenuto sia il signore dei cavalieri – esclamò il siniscalco – che ha portato a termine quanto io da folle avevo intrapreso!».
Lancillotto gli raccontò come la regina l’avesse trattato male alla presenza del re e di tutti i baroni.
«Tali sono i guiderdoni delle donne – disse Keu. – Eppure quante lacrime ha versato quando Meleagant l’ha condotta via. Fin dalla prima notte, egli avrebbe voluto coricarsi con lei, ma ella gli disse che non avrebbe acconsentito finché non l’avesse sposata. E donna-dispettosaquando il re venne ad accoglierci, ella si gettò ai piedi del suo palafreno gridando e piangendo; ma egli la rialzò e le promise una dolce e buona prigionia, e mai, da quel momento, ha permesso che il figlio la tenesse sotto la sua custodia. Tuttavia Meleagant la reclamava con insistenza, sì che un giorno non ho potuto trattenermi dal dirgli che sarebbe stato un peccato troppo grande se fosse passata dal maggior valentuomo del mondo a un uomo dappoco. Per vendicarsi, ha fatto mettere a tradimento sulle mie piaghe, invece degli impiastri appropriati a guarirle, degli unguenti che le hanno infettate».

Quando ebbero conversato a piacere, Lancillotto dichiarò che era deciso a partire l’indomani alla ricerca di monsignor Galvano.
All’alba, si mise in cammino; ma, mentre si avvicinava al Ponte Sommerso, la gente del paese s’impossessò a sorpresa di lui, credendo di far bene. E mentre lo riconducevano a corte, i piedi legati sotto il ventre del cavallo, vi giunse la notizia che era stato ucciso.
Quando la regina lo seppe, cadde svenuta: «Son io che gli ho inferto il colpo mortale – pensava. – Quando ho rifiutato di parlargli, non gli ho forse tolto il cuore e la vita allo stesso tempo? Ah! perché non l’ho tenuto tra le mie braccia ancora una volta?».
Si mise a letto, e il racconto dice che rimase tre giorni e tre notti senza bere né mangiare: corse voce che era morta.

La notizia raggiunse Lancillotto, di modo che egli prese in odio la sua stessa vita: poco mancò che s’uccidesse. Fortunatamente, il re s’era affrettato ad andargli incontro a cavallo per farlo liberare: gli raccontò il gran dolore che aveva sofferto la regina quando l’aveva creduto ucciso; sentendo ciò, Lancillotto avrebbe preso il volo, tanto la felicità lo rendeva leggero. E, appena la regina seppe che egli era sano e salvo, fu a sua volta felice al punto che si trovò guarita all’istante.

Ginevra-Lancillotto-anello

Appena Lancillotto fu giunto al castello, re Baudemagu lo condusse nella sua camera e, questa volta, ella non si curò di rifiutargli lo sguardo!
Il re si sedette con loro un momento, poi – poiché era saggio – ben presto annunciò che andava a vedere come stava Keu il siniscalco.
Allora essi chiacchierarono molto teneramente: l’amore non li lasciò certo a corto di argomenti. E quando Lancillotto vide che ella non diceva nulla che non gli fosse gradito: «Signora – mormorò – perché l’altro giorno rifiutaste di parlarmi?».
«Non siete forse partito dalla gran corte di Logres senza il mio congedo quando vi metteste in cerca di mio nipote Galvano, rapito da Caradoc della Torre Dolorosa? Ma v’è di peggio: mostratemi il vostro anello».
«Signora – egli disse – eccolo».
«Avete mentito, non è il mio!».

E gli fece vedere quello che lei aveva al dito; poi la regina gli raccontò come la brutta damigella glielo avesse riportato, ed egli seppe che Morgana la Sleale l’aveva ingannato.
Subito gettò l’anello dalla finestra, più lontano che poté, e a sua volta narrò l’avventura del sogno e del suo riscatto, di modo che la regina gli perdonò tutto.
«Ah! signora – egli disse – se fosse possibile, non vorreste che questa notte venissi a parlarvi? È da tanto tempo che non mi è stato concesso!».
Ella gli indicò la finestra, ma con lo sguardo, non con il dito.
«Bello e dolce amico, venite quando tutti saranno addormentati. Fino a domani, se vi farà piacere, vi rimarrò per amor vostro. Badate che alcuno vi veda!».

(Il cavaliere della carretta, 11-13)