Kerényi – Il fanciullo divino nella mitologia greca

La mitologia non è mai biografia degli dèi, come spesso sembra a chi l’osservi. Soprattutto non lo è la «mitologia propriamente detta»: la mitologia nella sua forma più pura e più antica. Da un lato essa è qualcosa di più, dall’altro lato qualcosa di meno.
Essa è sempre meno di una biografia, benché parli anche della nascita e dell’infanzia fanciullo-squarcio-pennellodegli dèi, dei fatti della loro gioventù, spesso addirittura della loro morte prematura. Il lato prodigioso di quelle storie d’infanzia e di gioventù consiste nel fatto che esse presentano le divinità già in pieno possesso del loro carattere e del proprio potere, escludendo così la maniera di pensare biografica che considera le singole età come altrettante fasi di un’evoluzione.

D’altra parte, la mitologia è più di qualunque biografia. Anche se essa, infatti, non racconta nulla di organicamente connesso a una determinata età della vita, abbraccia tuttavia, come realtà atemporali, le età stesse della vita: la figura del fanciullo ha una parte nella mitologia, come l’ha quella della fanciulla da marito e quella della madre.
Anche queste figure – come ogni possibile forma dell’esistenza – sono, nella mitologia, espressioni del divino.

I fatti di Apollo fanciullo restano fatti apollinei, e i tiri del fanciullo Ermes sono più caratteristici di Ermes che non del bambino in genere. La Grecia classica era portata a contemplare questi due dèi in forma eternamente giovanile, perché Apollo e Ermes, come figure, intuiti nella loro purezza e perfezione, si concretano il più chiaramente, tra tutte le possibili figure terrene, proprio nella forma atemporale del giovane: esattamente come la figura di Zeus in quella dell’uomo regale, o la figura di Saturno della tarda antichità in quella del tetro vegliardo.

La Grecia arcaica intuiva i propri Apollo, Ermes e Dioniso in figure barbate, il che dimostra che esistenza divina e pienezza di vita umana possono toccarsi anche in un altro punto: all’apice di quella maturità che noi mortali possiamo raggiungere.
Afferrare l’atemporale che si cela nel caduco fiore della giovinezza, è un compito più alto. Prima che l’arte greca l’abbia risolto, le figure d’uomo barbato – figure quasi senza età – stavano a rappresentare le forme d’espressione più convenienti.

bimbi-paint

Le figure d’uomo, giovinetto e vegliardo non esprimono, nella mitologia greca, un’età biografica della vita, bensì sempre l’essenza di un dio. Il tipo arcaico barbato – Ermes, Apollo, Dioniso rappresentati nella pienezza della vitalità, all’acme dell’uomo greco, esattamente come lo sono Zeus e Poseidone – è la più semplice forma d’espressione visibile di quell’esistenza atemporale che Omero attribuisce agli dèi con le parole: essi non invecchiano, non muoiono, essi sono sempre.
Espressa che sia, alla maniera arcaica, nella maturità senza età o nella figura idealizzata del classicismo, l’età della vita di questi giovani o uomini divini ha soprattutto un valore simbolico: essi hanno pienezza di vita e pienezza di senso nello stesso tempo. Essi sono essenzialmente indipendenti da qualsiasi possibile riferimento biografico.

Molti dèi – quelli qui menzionati quasi tutti – appaiono, oltre che in figura d’uomo o di giovinetto, anche nell’immagine di un fanciullo divino, e potrebbe sembrare ora che il fanciullo avesse quel significato biografico che abbiamo or ora escluso.
La mitologia greca non ricorda forse il bambino Ermes o il bambino Dioniso solo perché sa di suo padre e di sua madre? perché la storia della nascita deve continuare madre-figlio-specchionaturalmente con la storia dell’infanzia?
Ma neanche questo apparente modo di pensare biografico va al di là di un inserimento dell’età infantile nelle storie divine. Non appena la figura del fanciullo compare, essa viene risolta e sostituita dalla figura del dio.

Il bambino Ermes è subito Ermes, il piccolo Eracle è subito in possesso della sua forza e del suo coraggio. La pienezza di vita e di senso del fanciullo prodigioso non è per nulla da meno di quella del dio barbato. Essa sembra, anzi, ancor più ricca e impressionante.
Con l’apparire del fanciullo divino – nell’Inno omerico a Ermes, nel mito di Zeus o di Dioniso, o nella IV egloga di Virgilio – ci troviamo posti in quell’atmosfera mitologica che l’uomo moderno conosce come atmosfera «fiabesca». Se qualcuno credesse di aver ritrovato nel fanciullo divino il momento biografico della mitologia, dovrebbe restar interdetto: perché è proprio qui, in questo punto apparentemente biografico, che ci troviamo per davvero fuori d’ogni biografia, e precisamente in quell’elemento primordiale della mitologia in cui le immagini più prodigiose crescono e prosperano liberamente …

Per quale delle due concezioni dobbiamo optare?
Per la supposizione che la figura del fanciullo divino sia il risultato di un modo di pensare biografico? O piuttosto per l’idea che il punto di vista biografico abbia in questo caso un’importanza solamente secondaria, mentre il fatto primario ed immediato sia il gioco della mitologia? Un gioco, come quello di un grande compositore invisibile che presenti un medesimo tema – la figura primordiale del fanciullo – nella tonalità degli dèi più differenti? Non è forse il Fanciullo – il fanciullo divino di tanti mitologemi – l’unico filius ante patrem la cui esistenza soltanto dopo ha dato nascita alle molteplici storie della sua discendenza?
È questa l’idea che o dobbiamo render più chiara e sicura, o dobbiamo confutare, se vogliamo comprendere i racconti mitologici intorno ai fanciulli divini. La via della comprensione però è quella di lasciar parlare i mitologemi stessi.

I mitologemi antichi dei fanciulli divini ci trasportano in un’atmosfera fiabesca. Ciò non avviene in una maniera del tutto incomprensibile e irrazionale, bensì è il risultato di alcuni elementi fondamentali che in questi mitologemi continuamente si ripetono e si possono indicare chiaramente.
Il fanciullo divino è perlopiù un trovatello abbandonato. Egli corre spesso pericoli straordinari: di essere inghiottito come Zeus, di essere dilaniato come Dioniso.

(Kerényi, Il fanciullo divino, in Jung-Kerényi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia)