Maori – Rupe libera la sorella Hinauri

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Quando Maui tikitiki a Taranga lasciò questo mondo, suo fratello Maui mua non patì nessun dolore, niente di simile al dolore che invece provò in seguito alla scomparsa della sorella Hinauri.
Era convinto che non fosse morta, perché assieme a lei era scomparsa anche la cintura incantata, che di sicuro doveva averle salvato la vita.
Visitò dunque ogni isola e villaggio in cerca della sorella, senza però trovare qualcuno che fosse in grado di dargli notizie di Hinauri.

Gli restava da fare una sola cosa: salire in cielo e consultare il suo grande antenato Rehua, figlio di Rangi e Papa, che abitava nel più alto dei cieli, chiamato Te Putahi nui o Rehua, ovvero «il Grande Incrocio di Rehua».
Nessun altro mortale s’era avventurato fin lassù prima di lui. Maui mua però aveva ereditato i poteri che prima erano stati di Maui tikitiki a Taranga, e perciò poteva riuscire nell’impresa.

Proseguì nel suo cammino, cercando in tutti i modi di arrivare all’antenato Rehua, e alla fine giunse in un posto che era il primo dei cieli abitato da gente, e lì chiese loro: «Sono Rehuaabitati i cieli al di sopra di questo?».
«Sì, sono abitati», gli risposero; ed egli continuò a chiedere: «Posso allora raggiungerli?».
La risposta fu: «No, perché i cieli al di sopra di questo sono quelli i cui confini furono fissati da Tane».

Ma Maui mua cercò di salire attraverso quei cieli e infatti dopo un po’ giunse in un altro posto anch’esso abitato, e pose alla gente di lassù la stessa domanda ed ottenne la stessa risposta: «Sì, sono abitati».
Chiese ancora: «Pensate che possa raggiungerli?», e gli risposero: «No, perché i cieli al di sopra di questo hanno i confini fissati da Tane».
Ma Maui mua si aprì la strada con forza attraverso quei cieli e raggiunse il cielo situato oltre il nono, e là trovò la dimora di Rehua.

Rehua, vedendo che si avvicinava uno sconosciuto, gli andò incontro e lo salutò com’era sua abitudine, piangendo e lamentandosi. La nostra gente infatti è solita piangere quando incontra gli amici, e quando li lascia.
Rehua fece questo senza sapere chi fosse l’uomo che aveva davanti; Maui mua nel suo lamento di risposta recitò una preghiera, che mise Rehua in grado di indovinare in segreto la sua identità.

Finite le lamentazioni di saluto, Rehua ordinò ai servi di accendere i fuochi e di preparare da mangiare per il visitatore. Subito i fuochi vennero accesi; molte zucche vuote furono portate davanti a Rehua.
Maui mua non capiva da dove sarebbe arrivato il cibo per riempire le zucche. Poi notò che Rehua si stava sciogliendo il nodo di capelli che si levava nella parte sacra della testa. Sciolti i capelli, il vecchio scosse la testa e da essa si levarono in volo stormi di uccelli, di un nero brillante e con una pettorina bianca intorno alla gola. Lì avevano nidificato nutrendosi dei pidocchi di Rehua.

Appena presero il volo, i servi di Rehua li catturarono, poi lo spennarono e cucinarono. Così riempirono tutte le zucche di uccelli conservati nel loro grasso. Quando ogni cosa fu pronta, posero i recipienti con gli uccelli dentro dinanzi all’ospite e glieli offrirono in dono; poi li collocarono accanto a Rehua, che lo invitò a mangiare.
Ma Maui mua provava una tale soggezione davanti a Rehua ed era anche così intimidito surreal-uccelli-addossodalla scena appena vista, che non se la sentiva di toccare cibo.
«Non posso mangiare – disse. – Ho visto gli uccelli levarsi dai tuoi capelli. Chi oserebbe mangiare gli uccelli, che si sono nutriti degli insetti che vivevano sulla testa sacra di Rehua?».

Non toccò cibo e le zucche restarono intatte dinanzi a lui. Tanto più che Maui mua non era là per mangiare, ma per avere notizie della sorella. Sicché, alla fine, trovò il coraggio di porre all’antenato la domanda per cui aveva fatto tanta strada.
«O Rehua – disse dopo essersi schiarita la voce con qualche colpo di tosse – hai per caso avuto notizia dal mondo di sotto di qualcuno a cui sono legato affettivamente?».
Parlò in questo modo indiretto, perché nella tradizione maori portava sfortuna menzionare il nome della persona o cosa cercata, per paura di vederla svanire per sempre.
«Sì – rispose Rehua, che sapeva con esattezza a chi alludesse Maui mua. – Mi è giunta notizia dall’isola di Motutapu, dal mondo che sta sotto a questi cieli».

Bastarono queste parole a Maui mua per sapere quello che desiderava. Prese commiato da Rehua e, usando formule magiche fino ad allora a lui del tutto sconosciute, si trasformò in un piccione e spiccò il volo verso l’isola di Motutapu.
Da quel momento non fu più conosciuto come Maui mua, perché assunse il nome di Rupe, che è un altro termine per designare il piccione.

Volò a lungo fino a quando scorse l’isola di Motutapu, che in un primo momento gli apparve come una nuvola sopra il mare lontano, poi man mano che si avvicinava, Rupe scorse le spiagge, e quando sorvolò il villaggio di Tinirau, vide la siepe di ortiche che circondava la casa di Hinauri.
Proprio in quell’istante, la sorella che intanto aveva perso ogni speranza che il marito diventasse gentile con lei, l’invocò chiamandolo per nome con tutta la forza del suo cuore: «Oh, Rupe – gridò – soccorrimi! Tinirau non mi ama più, mio figlio è nato e io ho bisogno di te».

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Rupe scese, battendo le ali, e si sistemò sulla trave principale della casa della sorella. Alcuni abitanti del villaggio lo videro e uno di loro si precipitò a prendere una lancia e gliela scagliò.
Ma Rupe la girò dall’altra parte col becco e la spezzò contro la trave. Davanti a questo, Hinauri capì che quello non era un piccione qualsiasi, e gridò alla gente che cercava di prenderlo: «Lasciatelo stare per un momento, perché voglio guardarlo».

Andò poi a scrutare il piccione da vicino e gli chiese perché fosse venuto.
Rupe aprì e chiuse il becco come se volesse parlare.
Al che Hinauri gridò: «È mio fratello Rupe!», scoppiando a piangere dalla gioia.
Allora Rupe restò accanto alla sorella come un fratello e le rivolse questa forma di saluto:

Hinauri,
Hinauri è mia sorella,
e Rupe è suo fratello,
ma com’è giunto qui?
È giunto da sotto?
È giunto da sopra?
Sali lungo la tua strada,
lascia che il tuo amore si volga a Motutapu.

Quando Rupe finì con le sue lamentazioni, la sorella gli rispose con le sue:

Rupe,
Rupe è mio fratello,
e Hinauri è sua sorella,
ma com’è giunto qui?
È venuto da sotto?
È venuto da sopra?
Lascia che il suo sentiero sia verso l’alto,
verso Rehua.

Mentre si scambiavano i saluti, Tinirau fece abbattere la siepe e poi entrò di fretta a vedere il figlio. Ma nel momento in cui Hinauri disse: «Lascia che il suo sentiero sia verso l’alto, verso Rehua», Rupe la afferrò insieme al bimbo e si levarono in volo verso i cieli.
Hinauri-bambinoTinirau, sorpreso di trovare un uomo all’interno della casa, gridò a Rupe: «Riportala indietro! Riporta indietro Hinauri e il bambino!».
Hinauri gli rispose: «Non acconsento. Si tenga però il figlio!».
Infatti la donna, pur riconoscendo la cattiveria del marito, era indecisa se togliergli anche il figlio.

Così fecero cadere il bambino dolcemente e Tinirau lo raccolse, lo nutrì di acqua e lo chiamò Tuhuruhuru o Tu piumato, dalle piume di Rupe e anche dal nome del dio Tu, il dio della guerra.
Mentre Rupe e la sorella volavano sopra il mare, Hinauri lasciò cadere anche la placenta, con cui il figlio s’era nutrito fino alla nascita. Finì nel mare, dove venne divorata da un pescecane.
Il fatto spiega perché nel corpo del pescecane femmina si trovano numerose grosse uova.

Finalmente fratello e sorella raggiunsero la dimora di Rehua, situata oltre il nono cielo, e lì restarono per un certo tempo.
Volendo ricambiare la gentilezza di Rehua, Rupe pulì il cortile del vecchio, sporco e malandato, perché la gente di Rehua era pigra. Vedendolo, Rupe provò un forte disgusto e ciò lo spinse a pronunciare un detto diventato proverbiale: «Oh Rehua, la tua gente è così pigra che, se la sporcizia fosse costituita da tante lucertole, non si scomoderebbe neppure a toccare loro la coda per farle scappare».

Così Rupe costruì due vanghe di legno, dette l’una Tahitahia, cioè «Spazza», e l’altra Rakerakea, ovvero «Gratta», e poi si accinse a mettere in ordine.
Quindi costruì una vera latrina per l’igiene del villaggio e, secondo il costume maori, la fece sull’orlo di una rupe, che faceva parte di quel cielo, con una ringhiera su cui accovacciarsi e un palo a cui tenersi. Ma non lo conficcò bene nel suolo (secondo alcuni lo fece di proposito) in modo che Rehua perse il figlio Kaitangata. Mentre se ne stava piegato coi piedi sulla ringhiera, il palo si allentò e Kaitangata perse l’equilibrio e cadde indietro sulla roccia.
Il sangue scorse sopra i cieli ed è per questo motivo che gli uomini ora dicono, quando vedono il cielo rosso: «Kaitangata tinge i cieli del suo sangue».

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Hinauri non riuscì a dimenticare il figlio, che si era lasciato alle spalle e di cui ignorava perfino il nome.
Provava vergogna e un forte rimorso per averlo abbandonato e lasciato a Tinirau. Passò del tempo, e poi Rupe e la sorella lasciarono la dimora di Rehua e tornarono al loro villaggio.