Hillman – E dopo il tradimento…

Al ragazzino che si rialza dopo la caduta si aprono due strade e la sua risurrezione rimane in bilico. Può darsi che sia incapace di perdonare, e allora rimarrà fissato nel trauma, pieno di rancore e di voglia di vendicarsi, cieco a ogni comprensione e tagliato surreal-rabbiafuori dall’amore. Oppure può darsi che si avvii nella direzione che cercherò più avanti di tratteggiare.
Ma prima di rivolgerci al possibile esito fecondo del tradimento, fermiamoci ancora sulle scelte sterili, sui pericoli che si aprono dopo il tradimento.

Il primo pericolo è la vendetta. Occhio per occhio; male per male; dolore per dolore. Per alcuni la vendetta è una reazione naturale, immediata, che arriva senza che essi si pongano domande. Se compiuta direttamente come gesto di verità emotiva, la vendetta può servire a fare pulizia, a saldare il conto, senza però ottenere altri risultati.
La vendetta infatti non conduce a niente di nuovo, solo a vendette di rimando e a faide. Non è produttiva sul piano psicologico, perché si limita a una abreazione della tensione. Quando poi è procrastinata e si trasforma nel fare macchinazioni, nello starsene acquattati in attesa dell’occasione buona, incomincia a puzzare di crudeltà e astiosità.

La vendetta procrastinata, la vendetta affinata in metodi indiretti può diventare ossessiva, e sposta la messa a fuoco dell’evento del tradimento e dal suo significato alla persona del traditore e alla sua Ombra.
Per questo motivo san Tommaso d’Aquino giustifica la vendetta solo quando è rivolta al male in sé e non contro colui che ha perpetrato quel male. Il lato peggiore della vendetta, dal punto di vista psicologico, è la sua messa a fuoco ridotta e limitata, il suo effetto di restringimento della coscienza.

Il secondo di questi pericoli, di queste scelte sbagliate anche se naturali, è il meccanismo di difesa della negazione. Quando in un rapporto uno dei due partner subisce una delusione, la tentazione è quella di negare il valore dell’altro; di colpo e tutta in una volta, egli scorge l’Ombra dell’altro, una vasta panoplia di demoni maligni che ovviamente, prima, nella situazione di fiducia originale, non c’erano affatto.
Queste brutte facce dell’altro che di colpo si disvelano sono compensazioni, una Kush-aquila-cittàenantiodromia delle idealizzazioni di prima. La grossolanità di queste improvvise rivelazioni è indicativa della precedente grossolana inconscietà nei confronti di Anima. Quando la recriminazione e l’amarezza per il tradimento sono molto intense, infatti, è da presumere che esistesse un retroterra di fiducia originale, l’inconscia innocenza dell’infanzia dove l’ambivalenza era rimossa. Eva non era ancora entrata in scena, non era stata riconosciuta come parte della situazione, era rimossa.

Intendo dire con questo che gli aspetti emotivi del coinvolgimento, in particolare i giudizi del sentimento – il flusso ininterrotto di valutazioni che scorre all’interno di ogni relazione – erano respinti. Prima del tradimento, il rapporto negava l’aspetto animico; dopo il tradimento, è il rapporto a essere negato dai risentimenti di Anima.
Un coinvolgimento che sia inconscio di Anima o è fatto soprattutto di proiezioni, come succede nelle storie amorose, o è fatto soprattutto di rimozioni, come nelle amicizie tutte maschili basate sulle idee e il «fare delle cose insieme».

In questi casi, Anima riesce ad attirare l’attenzione solamente provocando guai. Grossolana inconscietà nei confronti di Anima significa semplicemente che la parte emotiva del rapporto è data per scontata, con fede animale, una fiducia originale nel fatto che non ci sono problemi, che il rapporto è solo quello che pensiamo e diciamo e «abbiamo in mente» in proposito, che tutto si aggiusta da sé, che ça va tout seul.
Poiché prima non avevamo fatto rientrare apertamente nel rapporto le speranze che nutrivamo al riguardo, il bisogno di crescere insieme nella reciprocità e in modo duraturo (tutte cose che in ogni rapporto di intimità sono costellate come possibilità ultime), adesso imbocchiamo la strada opposta e neghiamo qualsiasi speranza e aspettativa in generale e per sempre.
Ma il trapasso repentino da una grossolana inconscietà a una grossolana consapevolezza è proprio di tutti i momenti della verità e inoltre è piuttosto facile da vedere. Perciò non rappresenta il pericolo più grave.

surreal-cinismo

Più pericoloso è invece il cinismo. Una delusione d’amore, una delusione nei confronti di una causa politica, di una organizzazione, di un amico, di un superiore o di un analista, provoca spesso nella persona tradita un mutamento di atteggiamento che non solo nega il valore di quella persona o di quel rapporto particolari, ma fa dire che l’amore è sempre una fregatura, tutte le grandi cause sono per gli imbecilli, tutte le organizzazioni sono trappole, tutte le gerarchie il Male e l’analisi una forma di prostituzione, di lavaggio del cervello e di truffa.
Non farti fregare; occhio agli imbrogli; sferra tu il primo colpo; meglio soli; oh, io me la cavo sempre: la mano di vernice per nascondere le cicatrici della fiducia infranta. Coi cocci dell’idealismo viene raffazzonata una filosofia di rude cinismo.

Quando noi analisti incontriamo questo cinismo (specie nelle persone giovani), forse è perché non si è prestata abbastanza attenzione al significato del tradimento, soprattutto nel processo di trasformazione del Puer aeternus.
È perché come analisti non abbiamo elaborato il tradimento fino a coglierne l’importanza per lo sviluppo della vita del sentimento, come se fosse comunque un punto Cagnaccio-bolla-di-saponemorto dal quale non potrebbe risorgere alcuna Fenice.
Perciò il bambino tradito giura di non salire mai più su un gradino così alto. Rimane piantato a terra nel mondo del cane, kynikós, cinico.

Questa prospettiva cinica, poiché impedisce di elaborare il tradimento fino a un significato positivo, crea un circolo vizioso, e il cane si morde la coda.
Il cinismo, quel ghigno contro la nostra stella, è un tradimento delle nostre ambizioni più alte di cui è portatore l’archetipo del Puer. Quando il Puer si schianta a terra, tutto ciò che ha a che fare con lui è rifiutato. Si arriva così al quarto – a mio avviso il più grave – pericolo: il tradimento di sé.
Il tradimento di sé è forse l’esito più preoccupante. E uno dei modi in cui esso può insorgere è appunto in conseguenza dell’essere stati traditi.

Nella situazione di fiducia, nell’abbraccio dell’amore, o davanti a un amico, o con un genitore, un collega, un analista, noi apriamo uno spiraglio, mettiamo allo scoperto qualcosa che avevamo sempre custodito dentro di noi: «Questo non l’ho mai detto a nessuno in vita mia». Una confessione, una poesia, una lettera d’amore, un progetto fantastico, un segreto, un sogno o una paura infantili, che contengono i nostri valori più profondi.
Nel momento del tradimento, queste perle germinali, così delicate e sensibili, diventano sassolini, granelli di sabbia. La lettera d’amore diventata una sbrodolata sentimentale, e la poesia, la paura, il sogno, l’ambizione si riducono tutti a cose ridicole, da sbeffeggiare sguaiatamente, da spiegare col linguaggio da caserma come merda, boiate.

Il processo alchemico è rovesciato: l’oro riconvertito in feci, le nostre perle gettate ai porci. Solo che i porci non sono gli altri, ai quali tenere nascosti i nostri valori più intimi, bensì le rozze spiegazioni materialistiche che ci diamo, le ottuse semplificazioni che riducono tutto a pulsione sessuale e fame di latte, che ingurgitano tutto quanto surreal-fumata-bluindiscriminatamente; i porci sono la suina ottusità con cui ripetiamo che le cose più belle erano in realtà le più brutte, la melma in cui gettiamo i nostri valori preziosi.

È una strana esperienza quella di ritrovarsi a tradire se stessi, a volgersi contro le proprie esperienze attribuendo loro i valori negativi dell’Ombra e agendo contro le proprie intenzioni e il proprio sistema di valori.
Quando si rompe un’amicizia, una collaborazione, un matrimonio, una storia d’amore o l’analisi, di colpo viene in luce il lato più brutto e più sporco, e ci ritroviamo a comportarci nello stesso modo cieco e sordido che attribuiamo all’altro, e a giustificare le nostre azioni con un sistema di valori che non ci appartiene.
E allora sì siamo davvero traditi, consegnati a un nemico interno. E i porci ci si rivoltano contro e ci sbranano.

L’alienazione da sé dopo un tradimento ha una funzione essenzialmente auto-protettiva. Non vogliamo più farci ferire e, poiché la ferita è stata inferta quando ci siamo rivelati per come siamo, adesso non vogliamo più ritornare a vivere partendo da quel luogo dolente.
Così si ripudia il proprio sé, lo si tradisce, non vivendo la propria fase della vita (un uomo, una donna di mezza età, divorziati, senza nessuno da amare), o il proprio sesso (con gli uomini ho chiuso, sarò anch’io brutale come loro), o il proprio tipo (non seguirò più il mio sentimento, la mia intuizione, o quello che è), o la propria vocazione (la psicoterapia è davvero un mestiere sporco).

Infatti, è stato proprio nella fiducia che avevamo posto in questi aspetti fondamentali della nostra natura che siamo stati traditi. Perciò rifiutiamo di essere quello che siamo, incominciamo a imbrogliarci con giustificazioni e elusioni, e il tradimento di sé diventa precisamente la definizione che Jung dà della nevrosi come uneigentlich leiden, soffrire in modo inautentico.
Cioè, anziché vivere la nostra personale forma di sofferenza, per mauvaise foi, per mancanza del coraggio di essere, tradiamo noi stessi.

Caravaggio-bacio-Giuda

E questo in ultima istanza è, io credo, un problema religioso: siamo come Giuda o come Pietro, veniamo meno alla cosa essenziale, al dovere essenziale di assumerci e di portare la nostra croce e di essere quello che siamo, anche se ci fa soffrire.
Oltre alla vendetta, alla negazione, al cinismo e al tradimento di sé, c’è ancora un’altra svolta negativa, un altro pericolo, che potremmo chiamare la scelta paranoide. Anche questo è un modo per proteggerci dall’eventualità di essere nuovamente traditi e consiste nel costruire un rapporto perfetto.

Rapporti di questo genere esigono il giuramento di fedeltà al regime; non tollerano rischi alla loro sicurezza. Il loro motto è: «non mi dovrai mai deludere». Il tradimento deve essere escluso dal rapporto con reiterate affermazioni di fiducia, dichiarazioni di fedeltà eterna, prove di devozione, giuramenti di mantenere il segreto. Non ci può essere la più piccola crepa, il tradimento non deve assolutamente entrare.
Ma se il tradimento è dato con la fiducia, come seme opposto sepolto al suo interno, allora la pretesa paranoide di un rapporto esente dalla possibilità del tradimento non può in realtà fondarsi sulla fiducia: sarà piuttosto una convenzione intesa a escludere il rischio. Come tale, più che all’amore attiene alla sfera del potere. È un ritirarsi in un rapporto basato sul logos, imposto dalla parola, non tenuto insieme dall’amore.

Una volta lasciato il giardino dell’Eden, non è possibile ricostruire la fiducia originale. Ormai sappiamo che le promesse valgono fino a un certo punto e che dei voti si occupa la vita, la quale li può adempiere oppure rompere. E dopo l’esperienza del tradimento, i nuovi rapporti devono prendere le mosse da un punto completamente diverso.
La distorsione paranoide delle vicende umane è una cosa grave. Quando un analista (o un marito, un amante, un discepolo o un amico) si sforza di soddisfare i requisiti di un rapporto paranoide dando assicurazioni di fedeltà, cancellando la possibilità del tradimento, è garantito che si sta allontanando dall’amore. Perché, amore e possibilità di tradimento provengono dallo stesso fianco, il sinistro.

(Hillman, Puer aeternus)