Non occorre rievocare qui i complessi miti cosmogonici, antropogonici ed escatologici del manicheismo. Basterà dire che, sebbene utilizzasse elementi iranici e mesopotamici (mandei), Mani produsse egli stesso la sua mitologia di fondo, così come avevano fatto prima e come fecero dopo di lui tanti gnostici importanti, e come avrebbe avuto il coraggio di fare William Blake nel XVIII secolo.
Mani, inoltre, costruì una mitologia in armonia con lo Zeitgeist dei suoi tempi, che esigeva un lungo, intricato, toccante dramma divino e cosmico, col ricorso ad emanazioni, sdoppiamenti, omologie macro e microcosmiche, e così via.
L’episodio che a noi qui interessa è quello dell’inizio stesso del dramma cosmico, in cui una porzione di luce divina viene catturata dal potere delle tenebre.
Vedendo che il Principe delle Tenebre (Principio Malefico) sta per attaccare il regno della Luce, il Padre della Grandezza decide di rinunciare ad affrontare egli stesso l’avversario. «Evoca» allora, ovvero emana, la Madre della Luce, che proietta a sua volta una nuova ipostasi: l’Uomo Primigenio. Insieme ai suoi cinque figli, che sono, in realtà, il suo stesso essere – un’armatura fatta di cinque luci – l’Uomo Primigenio discende fino ai confini, ma viene catturato dalle Tenebre, e i suoi figli divorati dai demoni.
Questa sua disfatta segna l’inizio della «mescolanza» cosmica, ma si pone a garanzia del trionfo finale di Dio (della Luce). Adesso, infatti, le Tenebre (la Materia) possiedono delle particelle di Luce, e il Padre della Grandezza, preparandone la liberazione, prepara al tempo stesso la vittoria definitiva sulle Tenebre.
Eccolo allora che «evoca», in una seconda creazione, lo Spirito Vivente, che avanzando fino al confine con le Tenebre, afferra la mano dell’Uomo Primigenio e l’innalza al Paradiso della Luce, sua patria celeste. Atterrando gli Arconti demoniaci, lo Spirito Vivente crea i cieli con le loro pelli e la terra con la loro carne e i loro escrementi. Compie inoltre una prima liberazione della Luce creando il Sole, la Luna e le stelle, servendosi di quelle parti che non avevano troppo sofferto del loro contatto con le Tenebre.
Infine, onde liberare le particelle di Luce ancora prigioniere, il Padre emana il Terzo Inviato. Questo inviato organizza un gigantesco ingranaggio cosmico che nella prima quindicina del mese solleva le particelle liberate di Luce fino alla Luna, in una «colonna di gloria». Durante la seconda quindicina, la Luce si trasferisce dalla Luna al Sole, e finalmente al Paradiso di Luce.
Ma ci sono ancora delle particelle inghiottite dagli Arconti.
Il Terzo Inviato appare allora agli Arconti maschi nella forma di una vergine splendente, nuda e bellissima; e agli Arconti femmine in quella di un bel giovane fulgido e nudo.
Sopraffatti dal desiderio carnale, gli Arconti maschi spandono il loro sperma e, con esso, le particelle di Luce. Dal seme caduto per terra nascono alberi e piante. I demoni femmine, che erano già incinte, alla vista del bel giovane partoriscono degli aborti, che scagliati sulla terra divorano i germogli delle piante assimilando in tal modo particelle di Luce.
Messa in allarme dalla tattica del Terzo Inviato, la Materia, personificata nella «Concupiscenza», decide di creare una prigione più sicura attorno alle particelle divine che ancora sussistono. Un demone maschio e un demone femmina – Ašqualûn e Namrâel – divorano tutti gli aborti e quindi si accoppiano. Vengono così generati Adamo ed Eva.
Come scrive Puech, «la nostra specie nasce dunque da una sorta di atto ripugnante di cannibalismo e di sessualità» (Il manicheismo). Ma in Adamo, adesso, è raccolta la maggior quantità di Luce prigioniera. Per cui lui e la sua discendenza divengono il principale strumento di redenzione.
Tralasciamo la storia della sua salvazione, modellata sulla liberazione dell’Uomo Primigenio. Basterà dire che la natura demoniaca della sessualità è la logica conseguenza di questo mito dell’origine umana.
L’accoppiamento, e in particolare la procreazione, sono un male in quanto prolungano la prigionia della Luce nel corpo dei discendenti. Per i manichei la vita perfetta equivale a una serie ininterrotta di purificazioni, di separazioni dello Spirito (Luce) dalla materia. La redenzione coincide con la separazione definitiva; in ultima analisi, con la fine del mondo.
Gli elementi iranici e anche indo-iranici di questo mito che è centrale nel manicheismo sono stati analizzati con sempre maggior precisione dagli studiosi degli ultimi cent’anni. Ne è risultato che l’importanza religiosa della luce-seme, la teoria della «mescolanza» cosmica, la concezione delle «tre ere» (l’era precedente l’attacco, l’era presente e l’eschaton), la «seduzione degli Arconti» e molti altri episodi ancora hanno i loro antecedenti e paralleli nelle religioni iraniche.
L’ideologia della «separazione» – la volontà di mettere fine allo stato di «mescolanza» – caratterizza le religioni iraniche fin dai tempi più antichi e sussiste nella rigida ortodossia dei Sassanidi.
In un recente articolo, Gnoli spiega il sacrificio zarathustriano (yasna) in base alla sua funzione, in definitiva, di questa «separazione» soteriologica. Se l’operante dello yasna pratica correttamente il sacrificio, è in grado di raggiungere lo stato di maga, una specie di «trance attiva» che gli conferisce un potere di natura magica e quindi una mistica capacità di vedere: una conoscenza di realtà soprannaturali inaccessibili ai sensi corporei.
In questa condizione, il sacrificante «separa» la sua essenza spirituale (mênôk) dal suo essere concreto, corporeo (gêtik), e si identifica con gli Immacolati (Ameša Spenta).
Nello stato di maga, cioè nello stato di «purezza», l’uomo è inoltre «volontà pura» capace di esercitare la sua signoria: ha infatti operato la metamorfosi (fraškart), è passato dal livello di esistenza gêtik, che soggiace alla dominazione del destino (baxt), a quello di esistenza mênôk, dell’azione libera.
Secondo Gnoli, questa concezione sta alla base della dottrina mazdea del libero arbitrio, che proclama la possibilità della nostra liberazione dalle catene del Destino e del nostro ingresso nel regno della libertà.
Se l’interpretazione che Gnoli dà dello yasna è corretta, ne deriva che una tecnica «mistica» (cioè sia «estatica» che «gnostica») di «separazione» era conosciuta in Iran fin dall’inizio dello zoroastrismo.
È superfluo sottolineare la differenza di questa teologia del maga dalla dottrina e dalla pratica manichee di «separazione». La distinzione fondamentale riguarda l’origine, il significato e lo scopo della creazione (della vita cosmica e dell’esistenza umana).
Per Zarathustra la creazione non era opera di Arconti demoniaci, bensì di Ahura Mazdâ; il mondo si è corrotto dopo (è in seguito a questa corruzione che la «separazione» è il primo dovere del credente).
Non è questo il luogo per discutere il vasto problema dell’origine e della storia di tante religioni, filosofie, sette e gnosi centrate sull’idea di «separazione», per la cui realizzazione esse promettono di fornire i mezzi. Basterà dire che all’incirca dal VI secolo a. C. in India e in Iran, e dal V secolo a. C. nel mondo greco-orientale, un certo numero di tecniche metafisiche, soteriologiche e mistiche tendenti a raggiungere la libertà assoluta, la salvezza o la redenzione (ad esempio il Sâmkhya-Yoga, il buddhismo, lo zoroastrismo, l’orfismo e, nei tempi ellenistici e primitivi cristiani, lo gnosticismo, l’ermetismo, l’alchimia ed altre) implicavano la «separazione» come stadio preliminare o scopo ultimo.
Un’ideologia e tecniche di «separazione» sono state elaborate in modo particolare dallo gnosticismo. Il modello di redenzione gnostica è quasi sempre formulato in termini di separazione tra Luce e Tenebre. Con variazioni secondarie, sebbene talvolta significative, tutti i testi gnostici presentano una teologia mitologizzata e una cosmogonia, un’antropologia e un’escatologia simili o parallele a quelle manichee. Perlomeno alcune delle più importanti sette gnostiche precedono comunque cronologicamente l’attività missionaria di Mani.
Sia per lo gnosticismo che per il manicheismo il mondo è stato creato da potenze demoniache – gli Arconti – o dal capo degli Arconti: il Demiurgo. Gli stessi Arconti, più tardi, hanno creato l’Uomo, e ciò unicamente allo scopo di catturare il pneuma, la divina «scintilla» caduta dall’alto.
Dei messaggeri sono inviati dal mondo della Luce per «risvegliare» l’uomo e liberare il suo pneuma con la rivelazione della gnosi salvifica.
Redenzione significa essenzialmente liberazione di quest’«uomo interiore», divino, celeste, e il suo ritorno al nativo regno della Luce.
(Eliade, Spirito, luce e seme)
***
Qual è il «dovere» del credente?
Liberare la Luce imprigionata nel suo «corpo».
E com’è che la Luce è finita in codesta prigione?
Oh, sapessi – è stata «colpa» della Luna!
Ma cos’ha fatto mai di così grave la Luna?
Nelle sembianze di una Fanciulla Meravigliosa ha sedotto i maschi, gli ha allungato il pene, e in quelle di un bel Guaglione ha eccitato a tal punto le femmine da provocarne le mestruazioni.
Mi pare di averlo sentito già questo racconto.
Non era manicheo né gnostico, e non veniva dall’Iran né dalla Mesopotamia. Veniva dal Sudamerica. È inutile perciò provare a datarlo a un certo secolo avanti Cristo. È un frammento troppo antico, per attribuirne la paternità a questa o a quella religione di tempi storici.
È un racconto preistorico.
E perciò un racconto libero da questo o quel «dovere», a cui è stato vincolato solo dopo, solo dalle religioni, e solo dalla «coscienza morale» (come non pensare al «dover essere» di Kant?).
In fondo, quale sarebbe la «colpa» della Luna?
Quale se non quella della «seduzione»?
Ma chi è, in realtà, che ci seduce tutti, indifferentemente maschi e femmine, sia pure con «trattamenti» appropriati alle nostre differenze genitali? Chi si cela dietro la Luna? per conto di chi la Luna ci «seduce»?
È da un bel po’ che stiamo divagando tra i racconti, antichi e moderni. Ormai non possiamo più continuare a fingere di non vedere che la loro Questione, la loro Vertenza «esistenziale», è – a dispetto delle variazioni dialettali dei singoli racconti – sempre quella: la rivendicazione di una «libertà» perduta il giorno stesso e nel preciso istante in cui la Seduzione ha fatto il suo ingresso nel mondo.
Oh, sì che mi hai sedotto, amica mia! Mi hai stregato, silenziosa Luna. Ma le mie anitre «immaginali» dall’odore dei tuoi escrementi, dalla lordura del sangue mestruale, ti hanno infine riconosciuta.
Tu sei il laccio di Venere, sei il «bello naturale», sei il «miracolo» che si rinnova nei profumi di tutte le adolescenze. Di tutti i boccioli. Sei la Natura che «ripete» all’infinito Se Stessa – la sua Tentazione.
A cosa serve, in fondo, il «dover essere» del credente, se non a emanciparlo, a separarlo dal suo stesso «essere»?
A cosa mira la morale, a cosa qualunque «gnosi», se non a innalzare un muro di frontiera tra la Cultura e la Natura? se non a elevare «al sommo grado» la Resistenza – di ciascuno di noi, alle sue proprie tentazioni «naturali»? se non a metterci contro noi stessi?
E di quale lingua si serve, per giungere a tanto?
Di un qualunque dialetto, purché capace di produrre una contro-seduzione: capace di sedurre, esso, più dello stesso «bello naturale». Esso col suo gioco di «parole», più delle «cose» stesse. Esso col suo «spero, prometto e giuro» un infinito futuro, più del «presente» stesso.
No, ché non possiamo più continuare a fingere di non aver capito che l’Uomo è un essere così stolto, forse il solo in tutto l’universo, da arrendersi, e con che fiducia!, alla seduzione della Langue, del suo stesso linguaggio cioè.
Stolto al punto da lasciarselo parlare in bocca, per essere trascinato via nella sua corrente – in fuga da se stesso, dal suo proprio «essere di natura».
Stolto al punto da non volerne sapere niente di questo «tradimento», a cui pure deve quest’altro «essere», che è propriamente l’essere umano, e cioè a questo nostro «essere nella parola», «essere in quel che si dice», «essere nella coscienza», «essere nel senso», «dover essere» sensatamente e ostinatamente rimanere forestieri a noi stessi.