Forse per chi considera il mondo greco non c’è niente di più sorprendente dello scoprire che di tempo in tempo i Greci davano, per così dire, delle feste a tutte le loro passioni e cattive inclinazioni, e che addirittura istituirono statalmente una specie di ordinamento celebrativo del loro troppo umano: è questo ciò che è propriamente pagano nel loro mondo, e, a partire dal cristianesimo, non più compreso, non più comprensibile e sempre, nel modo più accanito, avversato e disprezzato.
Essi prendevano quel troppo umano come inevitabile e preferivano, invece di ingiuriarlo, dargli una specie di diritto di second’ordine con l’inquadrarlo negli usi della società e del culto: anzi, tutto ciò che nell’uomo ha potenza, essi lo dissero divino e lo scrissero sulle pareti del loro cielo.
Non rinnegano l’impulso naturale che si esprime nelle cattive qualità, ma lo inquadrano e lo limitano a determinati culti e giorni, dopo aver escogitato sufficienti misure precauzionali per poter dare a quelle acque impetuose il deflusso più innocuo possibile.
Questa è la radice di tutta la libertà dello spirito morale dell’antichità.
A ciò che era cattivo e pericoloso, a ciò che era animalesco e retrogrado, altrettanto che al barbaro, al pregreco e all’asiatico, che ancora vivevano in fondo alla natura greca, si accordava uno sfogo moderato e non si mirava a distruggerlo completamente.
Lo Stato, che non era costruito su singoli individui o caste, bensì sulle ordinarie qualità umane, abbracciava l’intero sistema di queste istituzioni.
Nella sua costruzione i Greci mostrano quel meraviglioso senso per il tipico e il reale, che più tardi li rese atti a divenire investigatori della natura, storici, geografi e filosofi.
Non era una legge di costume limitata, sacerdotale o di casta, che doveva decidere della costituzione dello Stato e del culto dello Stato: bensì la considerazione più comprensiva dalla realtà di tutto l’umano.
Da dove proviene ai Greci questa libertà, questo senso per il reale?
Forse da Omero e dai poeti a lui anteriori; giacché proprio i poeti, la cui natura non suol essere la più giusta e la più saggia, posseggono in compenso quel gusto dell’effettivo, dell’efficiente di ogni specie e non vogliono completamente negare neanche il male: a loro basta che esso si moderi e non colpisca a morte o avveleni interamente ogni cosa – vale a dire, essi pensano in modo simile ai plasmatori dello Stato greco e ne sono stati i maestri e i precursori.
(Nietzsche, Umano troppo umano, 2: 220)