Agli inizi di questo mondo non c’era quella cosa che noi chiamiamo la morte. Ognuno continuava a vivere, sicché alla lunga sulla terra ci fu tanta, ma tanta gente, che non c’era più posto per nessun altro.
I capi tennero un consiglio per decidere sul da farsi. Sapevano che bisognava trovare, e in fretta, una soluzione.
Uno di loro, il più saggio, si alzò e disse: «Sarebbe una bella cosa se la gente morisse e se ne andasse per un certo tempo, per poi tornare».
Ma non aveva neanche finito di parlare, che Coyote saltò su e disse: «No, quel che dice il capo non è poi così saggio: così il problema non si risolve, lo si rimanda solo per il tempo in cui i morti si assentano. Morire? Sì, ma la cosa migliore è che questo morire sia una volta per sempre. Il nostro mondo non è abbastanza grande da sfamare tutti. Finché i morti ritorneranno, non ci sarà cibo a sufficienza per noialtri».
Tutti i presenti, di ogni ordine e grado, si opposero alla sua proposta. Dissero che non volevano che i loro amici e i loro parenti morissero e se ne andassero per sempre, perché allora avrebbero sofferto, si sarebbero tormentati e non ci sarebbe stata felicità nel mondo.
E così tutti, a eccezione di Coyote, decisero che la gente sarebbe morta e se ne sarebbe andata solo per un certo tempo, ma che poi sarebbe ritornata a vivere di nuovo.
Gli sciamani allora costruirono in tutta fretta una grande casa di frasche con l’entrata rivolta a est. E quando l’ebbero terminata, riunirono gli uomini della tribù e dissero loro che non avevano nulla da temere: la gente morta sarebbe stata riportata in vita nella casa d’erba e di frasche che avevano costruito.
Il capo sciamano li tranquillizzò: «Conosciamo i canti – disse – per richiamare gli spiriti dei morti e farli venire qui, nella nostra casa d’erba. Non c’è da aver paura, perché, quando gli spiriti richiamati dai nostri canti entreranno nella nostra casa, noi canteremo per loro i canti che li riporteranno in vita».
Tutti furono contenti. Si fidavano dei loro sciamani. Si erano sempre fidati della loro saggezza, e più volte avevano beneficiato dei loro incantesimi. Li sapevano capaci di cantare in tutte le lingue – in quelle dei vivi, ma anche in quella dei morti – i canti della guarigione. Erano perciò pronti a morire e a veder morire i propri amici e parenti, perché tanto sarebbero tornati prima o poi a vivere con loro.
Ora, quando il primo uomo morì, gli sciamani si riunirono in assemblea nella casa d’erba e cominciarono a intonare un canto.
Passarono all’incirca dieci giorni. Dieci giorni e dieci notti, una più una meno, durò la cantilena degli sciamani, finché un turbine soffiò da ovest e volteggiò intorno alla casa.
Coyote lo vide e, proprio mentre il turbine stava per entrare nella casa, gli chiuse la porta in faccia. Sicché, lo spirito del turbine, disorientato, passò e ripassò volteggiando intorno alla casa d’erba, ma senza potervi entrare a udire i canti che lo dovevano riportare in vita. Svolazzò dunque ancora un poco e poi scomparve.
Fu così che Coyote rese la morte eterna e definitiva, e da quella volta la nostra gente piange i suoi morti ed è infelice. Da allora, ogni volta che qualcuno di noi incontra un turbine o sente il vento fischiare, dice: «C’è qualcuno lassù che sta errando».
Dacché Coyote chiuse la porta, gli spiriti dei morti devono vagare smarriti per il mondo alla ricerca di un posto dove andare, fino a quando non trovano la via che li conduce una volta per sempre nella Terra dei morti.
In quanto a Coyote, la nostra gente sa che, appena chiusa la porta, scappò via e non fece più ritorno alla casa degli sciamani, perché aveva paura, dopo aver visto quello che aveva combinato. Da allora ha corso e continua tuttora a correre da un posto all’altro, voltandosi sempre indietro a guardare da una parte e dall’altra se qualcuno lo sta inseguendo.
Da allora Coyote ha patito e tuttora continua a patire la fame: perché nessuno di noi vuole più dargli qualcosa da mangiare. È colpa sua se siamo infelici. Perché noi siamo infelici dal giorno che sappiamo che i morti più non ritornano a farci compagnia.