Bretagna – Morgana fa impazzire Lancillotto

Re Artù aveva una sorella chiamata Morgana, che aveva appreso da Merlino tanti inganni e incantamenti che una moltitudine di persone, tra cui molti sciocchi, la chiamavano Morgana la Fata, o perfino la Dea.
Ella amò un cavaliere chiamato Guiomar, cugino della regina Ginevra, e costei le faceva Siedlova-fata-Morganaspesso dei rimproveri. Un giorno li colse perfino sul fatto, e bandì il cugino: da ciò ebbe origine il grande odio che Morgana portò sempre alla regina. Ella comunque fuggì e raggiunse Guiomar, ma egli s’era intanto invaghito di una damigella di grande bellezza.

Più volte Morgana volle sorprenderli, ché sapeva la verità come la si può sapere per sentito dire. Tanto li spiò, il giorno e la notte, che alla fine li scoprì in una valle che era una delle più belle del mondo. E a causa del grande dolore che ne patì, li rinchiuse in un muro d’aria e condannò la damigella a sentire sempre un freddo glaciale dalla testa alla vita, e un calore torrido dalla vita ai piedi; fece di poi un incantamento, sì che nessun cavaliere potesse uscire dalla valle una volta che vi fosse penetrato, a meno che non avesse mai, nemmeno col pensiero, tradito il proprio amore.

Da vent’anni, alcun cavaliere errante di quanti avevano superato il muro d’aria aveva potuto valicarlo di nuovo, e ve n’erano già duecentocinquantaquattro; così il luogo veniva chiamato la Valle dei Falsi Amanti o la Valle senza Ritorno.
Le dame, le damigelle, gli scudieri vi entravano e ne uscivano a loro piacere: così molti prigionieri avevano con sé le amiche che li amavano e i valletti che li servivano e che portavano loro le rendite, gli abiti, gli uccelli; e abitavano in case ricchissime; e nella valle v’erano anche cappelle in cui ogni giorno si cantava messa.
Frattanto tutti attendevano, con cuore dolce, umile e leale senza biasimo, chi li potesse liberare. […]

Giunto sulla riva d’uno stagno, in fondo all’acqua trasparente Lancillotto vide un cavaliere tutto armato che una dama teneva abbracciato. Lancillotto smontò subito da cavallo.
«Badate, signor cavaliere – disse la damigella al suo seguito – mai nessuno ha potuto trarli via di là».
«Se qualcuno l’avesse fatto, non potrei certo tentare quest’avventura».
Ciò detto, d’un subito Lancillotto salta nell’acqua e presto ne riappare, portando il cavaliere che distende sulla riva; poi la dama accanto a lui.

donna-stagno

«Signore – dice la damigella – questa dama fu buona e bella. Un cavaliere l’amava di grande amore, ed ella pure l’amava, ma lealmente, e mai tra loro vi fu indegnità. Sfortunatamente, il marito era geloso e, dopo aver ucciso il cavaliere, lo fece gettare in segreto in questo stagno. Quando ella lo seppe, si mise in ginocchio: “Signore Iddio, esclamò, così com’è vero che mai tra noi ci fu indegno amore, fate che veda il corpo del mio cavaliere!”. E l’amico le apparve come voi l’avete visto oggi. Allora ella si gettò nell’acqua accanto a lui». […]

Morgana, intanto, faceva tutto ciò che era in suo potere, ma né con preghiere, né con minacce riuscì a farsi dare da Lancillotto l’anello donatogli da Ginevra.
Allora, una notte, fece prendere a Lancillotto un beveraggio che l’addormentò, e gli tolse l’anello e gli mise al dito quello che aveva, e che era simile. In seguito, commise una delle più grandi slealtà del mondo; ascoltate.

Inviò una damigella a Londra dov’era re Artù, e sappiate che questa pulzella era brutta sotto tutti gli aspetti. Aveva il viso e il collo più grigi del ferro, gli occhi più rossi del fuoco, i capelli più neri d’una piuma di cornacchia, i denti color del rosso d’uovo, una sola treccia che somigliava più alla coda d’un topo che ad alcun’altra cosa, il naso ritorto, Egon Schiele-donna-capelli-nerile labbra d’asino o di bue, le narici grandi e aperte, le gambe corte e i piedi sì curvi che non poteva reggersi sulle staffe: così cavalcava la coscia sul collo del palafreno, orgogliosamente, tenendo alta la bacchetta.

Fatta a tal guisa e più turpe d’un diavolo dell’inferno, ella aveva nome Rosetta. E giunse davanti al re. Lo salutò da parte di Lancillotto e gli disse che doveva fargli un’ambasciata, ma che doveva parlare davanti a tutta la corte.
Subito il re, lieto, mandò a chiamare Galeotto e i baroni, la regina e le dame; e quando tutti furono riuniti, Keu il siniscalco non poté trattenersi dal dire alla regina, ridendo: «Signora, temo che il re ami quell’avvenente pulzella più di voi! Per quanto mi riguarda, se sapessi dove se ne può trovare di simili, andrei a cercarle!».

Intanto, la brutta damigella diceva a voce molto alta: «Sire, voglio dapprima che mi concediate la vostra salvaguardia, ché porto notizie che potranno dispiacere a uomo o donna della vostra corte».
E, dopo che il re ebbe dato la propria parola, ella continuò: «Re Artù, Lancillotto ti manda a dire come al suo giusto signore, e manda a dire a quelli della Tavola Rotonda, e a voi signori che siete stati suoi compagni, che lo perdoniate, ché non lo vedrete mai più».

A tali parole, Lionello svenne, Galeotto per poco non uscì di senno, e la regina si alzò per ritirarsi nelle sue stanze; ma la damigella dichiarò che se qualcuno se ne fosse andato, ella non avrebbe aggiunto altro, al che ognuno si sedette di nuovo.
«Sire – proseguì – quando Lancillotto vi lasciò alla Torre Dolorosa era ferito d’un colpo di lancia al corpo e temeva molto di morire senza confessione. Ma incontrò un prete che gli diede per penitenza di confessare tutti i suoi peccati davanti alla vostra corte, sia di sua propria bocca o per quella altrui, ed egli mi chiese in nome di Dio di farlo per lui. E per prima cosa vi prega di perdonare la sua grande slealtà verso di voi, ché vi ha dimostrato con vostra moglie che amava di folle amore, e che lo ricambiava».

Lancillotto-Ginevra-cavallo

Lionello dal cuore senza freni, quando intese ciò, volle gettarsi su di lei e l’avrebbe uccisa se avesse potuto raggiungerla, ma Galeotto si frappose e gli ricordò che il re si era fatto garante per la pulzella.
«Sappi almeno, diavolo dell’inferno – gridò Lionello – che se mai potrò prenderti, né re né regina sapranno proteggerti!».
«Sire – disse al re la brutta damigella – mi sareste dunque falso garante?».
«Damigella – rispose Galeotto – avrete protezione poiché il re ve l’ha garantita, e io stesso, se necessario, vi difenderò contro tutti. Ma solo chi vorrà credere a cosa sleale, vi crederà».

«Lancillotto vi manda a dire quanto avete udito – riprese la brutta pulzella – e scongiura tutti voi, che siete della Tavola Rotonda, di non disonorare il vostro signore ligio com’egli ha fatto. Ora, perché si sappia che dico il vero, reco con me tali insegne che lo testimonieranno».
E gettando l’anello nel grembo della regina: «Signora – le disse – Lancillotto vi restituisce questo anello che gli avete donato insieme al vostro cuore e al vostro amore».

Allora la regina si alzò e disse infiammandosi a poco a poco: «Certo, ben riconosco l’anello, ché gliene ho fatto dono come dama leale a cavaliere leale. E sappiate, sire, e voi tutti e tutte che siete qui, che, se avessi dato il mio amore a Lancillotto, come dice questa damigella, conoscerei bene la nobiltà del suo cuore per essere certa che si sarebbe fatto Portrait of a woman with a black tie by Modigliani.jpgstrappare la lingua piuttosto che confessarlo ad alcuno! È vero che Lancillotto ha tanto fatto per me che del mio cuore io gli ho accordato quanto mi è concesso. E forse, se egli fosse tale che m’avesse richiesta d’amore indegno, io non glielo avrei rifiutato. Mi biasimi chi vuole! qual è la dama che avrebbe congedato un cavaliere che avesse fatto per lei quello che Lancillotto ha fatto per me? E voi, sire, ricordatevi dei servigi che v’ha reso! A lui dovete il vostro onore e la vostra terra. Vi ha sottomesso il più grande valentuomo del mondo, Galeotto, che è qui. Mi ha salvato da giudizio sleale. Voi stesso, e Galvano, e Gaheriet, e Estor vi ha liberati alla Rocca dei Sassoni. Ha conquistato per voi la Torre Dolorosa. Ha ucciso uno dei cavalieri più forti del mondo per trarne di prigione vostro nipote Galvano. Lancillotto ha riportato la luce nel Castello Tenebroso. Lancillotto ha distrutto gli incantamenti della valle dei Falsi Amanti. Chi mai l’ha vinto? Egli è il cavaliere senza pari, non v’è qualità che in lui non sia perfetta! Lancillotto era buono e bello; avrebbe superato in bontà e in beltà tutti i cavalieri del mondo, se fosse vissuto! Ma parlerei per un giorno intero senza poter dire tutti i meriti che erano in lui. Ah! sappiano tutti coloro che pensano male di me, che se dicessero proprio a me che l’amavo d’amore indegno, non arrossirei di certo! Ahimé! egli è morto o perduto per noi. Certo, accetterei volentieri che tra me e lui fosse stato come dice questa damigella se, a questo prezzo, lo vedessi qui sano e salvo!».

«Basta, signora – disse il re. – So bene che questo messaggio non viene da Lancillotto, e non lo crederò mai».
«Sire – mormorò la brutta damigella tutta confusa – se così fosse il vostro volere, vi chiederei il salvacondotto».
Il re la affidò a monsignor Ivano. E, quando fu partita, Galeotto andò a prendere congedo da lui dicendo che non si sarebbe più fermato in alcuna città una sola notte o un sol giorno prima d’aver saputo per certo se Lancillotto fosse vivo o morto. Il re lo baciò piangendo, e la regina e la dama di Malehaut fecero lo stesso, quando salì alle loro stanze Carrington-doppia-donnaper raccomandarle a Dio. Dopo di che, egli partì in compagnia di Lionello.

Morgana, nel frattempo, faceva del proprio meglio perché Lancillotto dimenticasse la regina. Una sera, gli fece bere un filtro che gli turbò la mente, di modo che, nel sonno, egli credette di scorgere la sua dama in un padiglione, nel mezzo d’un ridente prato, coricata accanto a un cavaliere; e, mentre si precipitava sul traditore con la spada in mano, ella gli diceva: «Che volete fare, Lancillotto? Lasciate in pace questo cavaliere, egli mi appartiene, e io a lui».

Il filtro era così forte che l’indomani egli credette d’aver realmente visto ciò che aveva sognato; e quando Morgana entrò da lui: «M’avete detto – egli disse – che m’avreste lasciato andare se mi fossi impegnato a non rimanere, da qui a Natale, in compagnia di nessuna dama della casa di re Artù. Eccomi pronto a giurarlo».
Morgana fece portare i santi e ricevette il giuramento, poi gli consegnò un cavallo e delle armi, ed egli se ne andò tristemente.

Errò a lungo come anima in pena; poi decise di andare in Sorelois per consolarsi accanto a Galeotto, ma non vi trovò l’amico. Fu molto ben accolto; ma sempre pensava alla visione crudele che aveva avuto, senza poter essere certo che fosse un sogno e, poiché non voleva confidarsi con alcuno, alla lunga la sua mente si turbò. Si aveva un bel fargli letizia: tutto gli dispiaceva.
Una notte, tanto sanguinò dal naso nel letto, che il cervello si ammollò: si alzò in un accesso e scappò per la campagna, vestito della sola camicia e delle brache. L’indomani, la gente di Galeotto trovò le lenzuola insanguinate e lo cercò invano: tutti credettero che si fosse ucciso.
Intanto, egli vagava nei boschi, mangiando poco, dormendo appena e menando gran duolo: sì che la testa gli si svuotò poco a poco ed egli diventò del tutto pazzo.

(Galeotto signore delle Isole Lontane, 40, 47, 50-51)