Eliade – Il lampo eschimese e il quarzo australiano

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L’istantaneità dell’illuminazione spirituale è stata paragonata in molte religioni al lampo. Non solo: la brusca luce della folgore che fende le tenebre è stata valorizzata come un mysterium tremendum che, trasfigurando il mondo, riempie l’anima di un sacro terrore. Le persone uccise dalla folgore sono state interpretate come rapite al Cielo dagli dèi, e i loro resti sono stati venerati come reliquie.
Chi sopravvive all’esperienza della folgore è completamente trasformato: comincia una nuova esistenza, è un uomo nuovo.

Uno Yacuto colpito dalla folgore senza esserne leso, raccontò che il dio era disceso dal Cielo, gli aveva smembrato il corpo e poi l’aveva risuscitato; in seguito a questa morte e a questa risurrezione iniziatica, egli era diventato uno sciamano.
E disse: «Ora, vedo tutto ciò che accade intorno a me fino a una distanza di trenta verste».

In questo esempio di iniziazione istantanea è da sottolineare che il tema ben noto della morte e della risurrezione è accompagnato e completato dal motivo dell’illuminazione improvvisa; la luce accecante del lampo provoca la trasmutazione spirituale grazie alla quale l’uomo acquista il potere della visione.
«Vedere a una distanza di trenta verste» è la formula tradizionale dello sciamanesimo surreal-sciamanosiberiano per esprimere la chiaroveggenza.

Ora, questo tipo di chiaroveggenza presso gli Eschimesi è il risultato di un’esperienza mistica chiamata «lampo» o «illuminazione» (qaumanek), senza la quale non si può diventare sciamani.
Secondo le informazioni degli sciamani eschimesi Iglulik raccolte da Rasmussen, il qaumanek consiste «in una luce misteriosa che lo sciamano percepisce improvvisamente nel suo corpo, nella testa, nel centro stesso del suo cervello, come un faro, inesplicabile, come un fuoco luminoso che lo rende capace di vedere nel buio, sia nel senso concreto che nel senso metaforico, perché ora, anche a occhi chiusi, egli riesce a vedere attraverso le tenebre e a percepire cose e avvenimenti futuri, nascosti agli altri uomini; e così può conoscere tanto l’avvenire quanto i segreti degli altri».

Quando il novizio sperimenta per la prima volta questa luce mistica, è «come se la capanna nella quale si trova si alzasse tutt’a un tratto; egli vede molto lontano dinanzi a sé, attraverso le montagne, proprio come se la terra fosse una grande pianura e il suo sguardo raggiungesse i confini della Terra. Per lui non vi è più nulla di nascosto. Non solo è in grado di vedere molto lontano, ma può perfino scoprire le anime rubate, custodite e nascoste in strane e lontane regioni, oppure portate in alto o in basso nei paesi dei morti».

Questa esperienza d’illuminazione mistica, se pure è il risultato di una lunga preparazione, interviene però sempre, all’improvviso, come un «lampo», e la sua è una luce «interiore», percepita in tutto il corpo e soprattutto nella testa.
Quando la si ha per la prima volta, essa è accompagnata da un’esperienza di ascesa a un’altezza da cui è possibile la visione a distanza e, al tempo stesso, la chiaroveggenza: lo sciamano vede dappertutto e molto lontano, ma percepisce anche entità invisibili (le anime dei malati, gli spiriti) e vede perfino gli avvenimenti futuri.

Al qaumanek si collega un altro fenomeno specificamente sciamanico, cioè il potere di contemplare il proprio corpo ridotto allo stato di uno scheletro. È un altro segno che lo sciamano è capace di «vedere» ciò che sul momento è invisibile.
Si può dunque dedurne che egli veda, sia attraverso la carne come con i raggi X, sia molto lontano nell’avvenire e quel che accadrà al suo corpo dopo la morte. Anche questo potere è una specie di chiaroveggenza, resa possibile dall’illuminazione. […]

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Sebbene non siano noti esempi australiani paragonabili all’«illuminazione» degli sciamani Iglulik, è tuttavia legittimo paragonare i medicine-men australiani agli sciamani siberiani e artici; non soltanto le rispettive iniziazioni hanno diversi punti in comune, ma tanto gli uni che gli altri disporrebbero di poteri parapsicologici simili: camminerebbero sul fuoco, scomparirebbero e riapparirebbero a volontà, sarebbero chiaroveggenti e capaci di leggere i pensieri degli altri, ecc.

Ora, nei rituali iniziatici dei medicine-men australiani la luce mistica ha una parte importante. I medicine-men concepiscono Baiame – il maestro dell’iniziazione – come un essere rassomigliante in tutto agli altri maghi «tranne che per la luce che si irradia dai suoi occhi» (Elkin). In altre parole, essi percepiscono una relazione tra la condizione di un essere sovrannaturale e una grande intensità di luce.
Baiame inizia i giovani candidati aspergendoli con un’«acqua sacra e potente» che, al dire dei medicine-men, è quarzo liquefatto.

Il quarzo ha una parte notevole nelle iniziazioni.
Si ritiene che il neofita venga ucciso da un essere sovrannaturale, tagliato a pezzi e mischiato con cristalli di rocca; quando ritorna in vita, ha acquistato la capacità di quarzo-Ialinovedere gli spiriti, di leggere i pensieri altrui, di volare in cielo, di rendersi invisibile, ecc.
Grazie ai cristalli di rocca chiusi nel suo corpo e soprattutto nella sua testa, il medicine-man gode di un modo d’essere diverso dal resto dei mortali.

Il quarzo deve questo straordinario prestigio alla sua origine celeste. Il trono di Baiame è fatto di cristalli, e lo stesso Baiame lascia cadere sulla terra i frammenti staccati di questo trono.
In altre parole, i cristalli cadono direttamente dalla volta celeste; sono, in un certo senso, «luce solidificata». Lo confermano i Dayak delle regioni costiere, che chiamano i cristalli «pietre-luce».
Questa luce solidificatasi nel quarzo è ritenuta sovrannaturale: essa rende il medicine-man capace di vedere le anime a grandissima distanza (per esempio, quando l’anima di un malato si smarrisce nella macchia o viene rapita dai demoni).

Non solo: grazie ai cristalli, i medicine-men sono capaci di volare in cielo; credenza, questa, attestata anche nell’America del Nord.
Vedere a grandissima distanza, volare in cielo, vedere entità spirituali (anime dei morti, demoni, divinità), tutto ciò in fondo equivale a dire che il medicine-man non è più prigioniero dell’universo dell’uomo profano, ma che egli partecipa della condizione propria di entità superiori.
Egli conquista questa condizione privilegiata grazie a una morte iniziatica durante la quale viene riempito di sostanze che si pensano essere luce solidificata: si potrebbe quindi dire che al momento della risurrezione mistica il medicine-man è interiormente soffuso di una luce sovrannaturale.

Ritroviamo così presso i medicine-men australiani la stessa relazione tra luce spirituale, gnosi, ascensione, chiaroveggenza e facoltà meta-gnomiche che si trovano presso gli medicine-man-gessosciamani eschimesi, ma l’elemento che ci interessa, cioè la luce spirituale, è valorizzato in tutt’altro modo.
Il neofita australiano non è tenuto a sperimentare un’illuminazione paragonabile al qaumanek dello sciamano eschimese: egli riceve la luce sovrannaturale direttamente nel corpo, sotto forma di cristalli di rocca.

Non si tratta dunque di un’esperienza mistica della luce, ma di una morte iniziatica durante la quale il corpo del novizio è riempito di cristalli, simboli della luce celeste e divina. Ci troviamo cioè di fronte a un rituale di struttura estatica; benché «morto» e tagliato a pezzi, il novizio vede ciò che gli viene fatto: vede gli Esseri sovrannaturali riempirgli il corpo di quarzo e, una volta tornato in vita, acquista più o meno i poteri ottenuti dallo sciamano eschimese in seguito all’illuminazione.
L’accento qui cade sul rito eseguito dagli Esseri sovrannaturali, mentre l’illuminazione dello sciamano eschimese è un’esperienza ottenuta nella solitudine e quasi il risultato di una lunga ascesi.

E tuttavia i risultati di questi due tipi di iniziazione sono omologabili: lo sciamano eschimese è, al pari del medicine-man australiano, un uomo nuovo che «vede», comprende e conosce in un modo sovrannaturale, e che è capace di fare cose sovrumane.

(Eliade, Mefistofele e l’Androgino)