Lévi-Strauss – Gli strumenti delle tenebre

campane

Nella liturgia del Vecchio Mondo c’è un complesso di strumenti conosciuto sotto il nome di strumenti delle tenebre. L’origine di questi strumenti e del loro impiego a Pasqua, dal giovedì al sabato della settimana santa, pone numerosi problemi.

Sembra che le campane siano apparse tardi nelle chiese: verso la fine del VII secolo circa. Il loro silenzio obbligatorio dal giovedì al sabato santo non sembra attestato (e per di più solo a Roma) se non verso l’VIII secolo. Alla fine del XII e all’inizio del XIII secolo, la proibizione avrebbe raggiunto altri paesi europei. Ma la ragione del silenzio delle campane e della loro sostituzione provvisoria con altre fonti di rumore non è chiara.
Il presunto viaggio a Roma, responsabile dell’assenza momentanea, potrebbe essere solo una spiegazione a posteriori, che del resto si fonda su tutta una serie di credenze e di rappresentazioni concernenti le campane: esseri animati, dotati di voce, capaci di sentire e di agire, atti a ricevere il battesimo.
Oltre alla funzione di chiamare a raccolta i fedeli, le campane assolvono a una funzione meteorologica e anche cosmica. Vibrando, esse scacciano la tempesta, dissipano le nubi e la grandine, distruggono malefici di ogni genere.

crepitacolo
Crepitacolo

Secondo Van Gennep, gli strumenti delle tenebre sostituiti alle campane comprendono il martelletto, la raganella, il crepitacolo o battitoio a pugno, una forma di nacchere chiamata «libera», la matraca (tavoletta che viene colpita, quando la si agita, da due piastre mobili disposte da ogni parte), il sistro di legno su cordicella o anello. Altri strumenti come il battelletto e enormi raganelle costituivano vere e proprie macchine.
Tutti questi strumenti assolvono a funzioni teoricamente distinte, ma spesso mescolate nella pratica: far rumore in chiesa o all’esterno; chiamare a raccolta i fedeli in assenza delle campane; accompagnare i giri di questua fatti dai bambini. Secondo certe testimonianze, gli strumenti delle tenebre servirebbero anche a evocare i prodigi e i rumori terrificanti che hanno accompagnato la morte del Cristo.

Per la Corsica (Massignon) si citano strumenti a fiato (tromba marina, zufolo di legno o, più semplicemente, fischi emessi fra le dita) accanto a diversi strumenti o tecniche di percussione: altari e banche della chiesa picchiati con un bastone, tavole fatte a pezzi a colpi di mazza, battitoio a pugno, battole, e raganelle di vari tipi (il nome «raganella» si trova in altre regioni).
In Francia gli strumenti delle tenebre comprendevano oggetti usuali: paioli o casseruole di metallo battuti, zoccoli di legno martellanti il suolo, mazzuoli di legno picchiati per terra o su oggetti; bastoni con una fenditura all’estremità o fasci di rami da battere per terra o su oggetti; battimani; infine strumenti musicali di diverso tipo: a corpo solido vibrante, di legno (battitoio, raganella, battola, tavola martellata da un dispositivo, sistro); di metallo (ciondoli, bubboli, sonagli) o a membrana (tamburo a frizione rotante); ad aria vibrante (zufoli a becco e ad acqua, corno, conchiglia, tromba, oboe). […]

troccole-raganelle
Troccole, raganelle

Quantunque il rituale ordini che le campane restino mute dalla colletta della messa del giovedì santo sino al Gloria della messa del sabato seguente, sembra che la Chiesa si sia sempre mostrata ostile agli strumenti delle tenebre e che abbia cercato di limitare il loro impiego. Per questa ragione, Van Gennep ammette la loro origine folklorica.
Senza chiederci se il baccano delle tenebre sopravvive come vestigio di usanze neolitiche o addirittura paleolitiche, o se la sua ricorrenza in regioni molto lontane mostra solo che, messo di fronte qui e là alle stesse situazioni, l’uomo reagisce per mezzo di espressioni simboliche che gli sono proposte, se non addirittura imposte, dai meccanismi profondi che regolano ovunque il suo pensiero, noi accetteremo la tesi prudente di Van Gennep, e citeremo a sostegno un parallelo.

«In Cina … verso l’inizio di aprile, certi funzionari chiamati Sz’hüen giravano per il paese armati di crepitacoli di legno … per chiamare a raccolta la popolazione e ordinarle di spegnere tutti i focolari. Questo rito segnava l’inizio di una stagione detta Han-shih-tsieh o “mangiare freddo”. I focolari rimanevano spenti per tre giorni, in attesa che si festa-delle-lanterneriaccendesse il fuoco nuovo, rito solenne che aveva luogo il quinto o il sesto giorno di aprile, più esattamente il 105° giorno dopo il solstizio d’inverno.
Gli stessi funzionari celebravano in gran pompa questa cerimonia, durante la quale ottenevano dal cielo il fuoco nuovo, concentrando sul muschio secco i raggi del sole per mezzo di uno specchio di metallo o di un pezzo di cristallo.
I Cinesi chiamano “celeste” questo fuoco e lo impiegano obbligatoriamente per i sacrifici; mentre il fuoco ottenuto per frizione di due pezzi di legno, detto “terrestre”, deve servire alla cottura e agli altri usi domestici …
Questo rito di ritrovamento del fuoco risale a un’epoca molto antica … (almeno) 2.000 anni a. C.» (Frazer).

Se teniamo conto di quest’antica usanza cinese (di cui si conoscono paralleli in Oriente e in Estremo Oriente), è perché essa ci interessa per vari motivi.
Anzitutto, sembra ispirarsi a uno schema relativamente semplice e facile da mettere in luce: affinché possa essere captato quaggiù il fuoco di lassù, è necessario che ogni anno abbia luogo una congiunzione del cielo e della terra, pericolosa, però, e quasi sacrilega, giacché il fuoco celeste e il fuoco terrestre sono retti da un rapporto di incompatibilità.
L’estinzione dei fuochi terrestri, annunciata o comandata dai crepitacoli, funge quindi da condizione richiesta. Essa crea il vuoto necessario affinché la congiunzione del fuoco celeste e della terra possa aver luogo senza pericoli.

L’inquietudine a cui non ci si può sottrarre andando a cercare così lontano un termine di confronto, trova qualche ragione per placarsi grazie a un accostamento che si impone: quello del rito cinese arcaico e di una cerimonia recente degli Indios Sherenté, che abbiamo già analizzata.
Anche qui si tratta di un rito del fuoco nuovo, preceduto dall’estinzione dei focolari capo-indianodomestici e da un periodo di mortificazioni. Questo fuoco nuovo deve essere ottenuto dal sole, nonostante il pericolo al quale gli uomini si espongono avvicinandosi a lui o avvicinandolo a loro.
Lo stesso contrasto persiste anche fra il fuoco celeste, sacro e distruttivo, e il fuoco terrestre, profano e costruttivo, poiché è quello del focolare domestico.

Affinché il confronto fosse completo, avremmo certo bisogno di ritrovare i crepitacoli di legno fra gli Sherenté.
Non c’è testimonianza della loro presenza, ma perlomeno abbiamo constatato che questi Indios possiedono uno strumento rituale, il wabu, nel quale talune considerazioni molto diverse da quelle che stiamo sviluppando adesso ci hanno indotto a riconoscere un crepitacolo invertito.
Soprattutto, il rituale sherenté del Gran Digiuno riserva un posto speciale a un altro tipo di oggetti rumorosi: le vespe soprannaturali, che si manifestano agli officianti con un ronzio caratteristico: ken! -ken! –ken-ken-ken-ken!
Ora, se la tradizione cinese cita solo il crepitacolo e la tradizione sherenté le vespe, abbiamo visto che in Europa il tamburo a frizione rotante – che gli abitanti dei Pirenei chiamano con un nome che significa «rombo» o «calabrone» – figura accanto al crepitacolo fra gli strumenti delle tenebre; e può anzi sostituirlo.

Proseguiamo il nostro sforzo per delucidare uno schema mitico e rituale che, come cominciamo a sospettare, potrebbe essere comune a culture molto lontane l’una dall’altra e a tradizioni molto diverse.
Al pari della Cina arcaica e di certe società amerindie, l’Europa ha celebrato sino a una data recente un tipo di estinzione e di rinnovamento dei focolari domestici, preceduto da privazioni alimentari e dall’impiego di strumenti delle tenebre. Questo insieme prendeva posto appunto prima di Pasqua: di modo che le «tenebre», fatte scendere in chiesa durante l’ufficio dello stesso nome, potevano simboleggiare tanto l’estinzione dei focolari domestici quanto il buio che avvolse la terra al momento della morte del Cristo.

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In tutti i paesi cattolici l’uso voleva dire che il sabato, vigilia di Pasqua, si spegnessero le luci nelle chiese e si accendesse un fuoco nuovo sia con un acciarino, sia per mezzo di una lente. Frazer ha raccolto numerosi esempi che dimostrano che questo fuoco serviva a rinnovare quello dei focolari domestici.
In Inghilterra le campane rimanevano mute dal giovedì santo sino al mezzogiorno della domenica di Pasqua, e alcuni strumenti rumorosi di legno le sostituivano. In varie regioni d’Europa il ritorno dell’abbondanza aveva egualmente come simbolo alcuni «giardini di Adone» preparati in prossimità della Pasqua. Questa abbondanza, che ora è tornata, non era fuggita solo il giovedì santo: la sua perdita risale a una data più lontana, che è precisamente quella del giorno successivo al martedì grasso.

Dal punto di vista dei simboli acustici e del loro riferimento alimentare, dobbiamo quindi distinguere tre momenti.
Gli strumenti delle tenebre accompagnano l’ultimo periodo della quaresima, ossia quello in cui, avendo raggiunto la durata più lunga, il suo rigore tocca il parossismo. Il termine di questa quaresima è segnato dalle campane che tornano a suonare il giorno di Pasqua.
Ma, ancor prima che essa cominciasse, un uso eccezionale e smodato delle campane aveva indotto la popolazione ad approfittare dell’ultimo giorno di abbondanza: la campana suonata il mattino del martedì grasso era conosciuta in Inghilterra col nome di pancake bell, «campana delle frittelle».

Cezanne-martedì-grasso
Cézanne – Martedì grasso

Per la Francia, Van Gennep insiste con ragione sull’aspetto culinario cerimoniale del ciclo Carnevale-Quaresima, troppo trascurato dai teorici, ma che il pensiero popolare giudica importante, tanto da chiamare il martedì grasso o la prima domenica di quaresima in base al loro cibo caratteristico: il primo jour des crêpes o jour des crozets, la seconda dimanche des beignets, des bugnes o des pois frits […]

Se riconosciamo l’ostilità della Chiesa verso usanze che ha sempre condannato come pagane, per privarle della coloritura cristiana che l’Europa ha inutilmente di dar loro, e se cerchiamo di cogliere la forma comune agli esempi americano, cinese e europeo, scelti fra altri che avrebbero potuto servirci altrettanto bene e di cui Frazer ha fatto l’inventario, arriviamo a percepirvi i resti di un’antica doppia codificazione, stagionale e acustica.

Anzitutto la codificazione stagionale.
La si discerne ovunque, sia sotto forma reale, nel Sudamerica, con l’opposizione oggettiva di due periodi dell’anno: uno segnato dalla carestia e l’altro dall’abbondanza; sia sotto forma convenzionale (ma che certo ritualizza un’esperienza reale) in Europa, dove si può assimilare la quaresima a una carestia instaurata; infine sotto una forma quasi virtuale nella Cina arcaica, dove la stagione del «mangiare freddo» si limitava a pochi giorni.
Ma, per virtuale che sia, l’opposizione cinese è concettualmente la più forte perché si stabilisce fra il fuoco assente e il fuoco presente, e lo stesso può dirsi per gli Sherenté.

In altre parti del Sudamerica l’opposizione si situa fra un periodo di abbondanza e un periodo di carestia, vissuta in modo duraturo senza essere necessariamente mimato per un tratto di tempo più o meno lungo.
È la stessa opposizione che ritroviamo in Europa, trasposta sotto la forma di un contrasto fra i giorni in cui si mangia grasso e il periodo di quaresima.
Pertanto, passando dalla Cina in Europa, l’opposizione maggiore si indebolisce:

[fuoco presente / fuoco assente] >> [grasso / magro]

e, passando dal Nuovo Mondo (a parte alcuni esempi, come quello degli Sherenté) al Vecchio Mondo, l’opposizione si miniaturizza, perché i cinque o sei giorni del «mangiare freddo» cinese, o quelli ancora meno numerosi del triduo cristiano, riproducono in compendio un periodo più lungo, che in Europa copre tutta la durata della quaresima, dalla fine del martedì grasso alla domenica di Pasqua.
Se si trascurano queste differenze e gli eventuali raddoppiamenti, il sistema soggiacente si riconduce a tre coppie di opposizioni di ampiezza decrescente, che si ordinano logicamente senza che si cancellino le corrispondenze fra i rispettivi termini:

fuoco assente / fuoco presente
penuria / abbondanza
magro / grasso

Che si tratti dell’assenza del fuoco fra gli antichi Cinesi e tra gli Sherenté, del periodo di carestia in altre parti del Sudamerica, o dell’assenza del fuoco, coincidente con la quaresima al suo parossismo nella tradizione europea, è chiaro che tutte queste congiunture presentano caratteri comuni: la cucina è abolita in modo reale o simbolico; per un periodo di tempo, che va da pochi giorni a un’intera stagione, si trova ristabilito un contatto immediato fra l’umanità e la natura, come nell’epoca mitica in cui il fuoco non esisteva ancora e in cui gli uomini dovevano mangiare cibo crudo, o esposto alla meglio ai raggi del sole che allora era più vicino alla terra.

(Lévi-Strauss, Dal miele alle ceneri)