Soslan sposò e condusse con sé Acyrûxs, la figlia del Sole. Nella felicità e nell’abbondanza giorni e anni si succedevano e, per passare il tempo, Soslan andava spesso a caccia nella pianura di Zilahar.
Una volta, vi portò dodici compagni. Eressero una capanna in cui riposarsi all’ora del pasto, dopo aver cacciato fin dal mattino; e verso sera ricominciavano a cacciare.
Un giorno, mentre affaticati dalla caccia del mattino tornavano alla capanna, Soslan, che non conosceva la fatica, decise di fare un giro mentre i suoi compagni si riposavano. Giunse in una valle dove era un lago.
«Per la gran calura – si disse – qualche selvaggina verrà sicuramente a bere sulla riva di questo lago», e si mise in agguato, spiando da ogni parte.
D’un tratto vide venire avanti un cervo, così bello che non aveva pari né per la forma né per la grazia, e si sarebbe detto che la stella del mattino brillava sul suo collo.
Già Soslan dirigeva la sua freccia su di lui, quando il cervo si trasformò in una fanciulla e gli disse: «Salute a te, Soslan!».
«La felicità sia la tua sorte, bella fanciulla!», rispose Soslan.
«Soslan, molte volte sono discesa dal cielo per vederti, senza mai poterti incontrare. Dove vivi, dunque? Sono tanti anni che ti aspetto! Prendimi in moglie, ora!».
«Se prendessi in moglie tutte le fanciulle erranti che incontro, non sarebbe sufficiente l’intero villaggio dei Narti!», disse Soslan.
«Bada, ti pentirai di queste parole!», disse lei.
«Soslan ha visto più di una troia simile a te avvoltolarsi in un lago. Se le avesse prese in moglie, il suo bell’acciaio non sarebbe più che ferro nero!».
La fanciulla allora tese le braccia che divennero ali, e volò via. Soslan cercò di afferrarla, ma era troppo tardi.
Allontanandosi, lei gli gridò: «Narte Soslan, io sono la figlia di Balsæg, e vedrai che cosa ti succederà!».
Appena rientrata, la fanciulla raccontò al padre l’ingiuria che Soslan le aveva fatta.
Balsæg fece chiamare la sua Ruota e le disse: «Va’, e uccidi Soslan!».
La Ruota si slanciò con fracasso.
Balsæg gridò a Soslan: «Bada a te, rampollo dei Narti!».
«E tu quale arma hai, per pretendere di uccidermi?».
«Qualcosa per colpirti!».
«E quale parte del mio corpo vuoi che io le tenda?».
«Tendile la fronte!».
Soslan, il narte d’acciaio, presentò la sua fronte di acciaio, tra i sopraccigli, e la Ruota rimbalzò, senza fargli il minimo graffio. Egli tentò di afferrarla, ma essa sfuggì.
Di nuovo, Balsæg gridò: «Ma ritorna!».
«Che cosa devo tenderle?», gridò Soslan.
«Tendile il petto!».
La Ruota di Balsæg si avventò con fracasso e Soslan le presentò il petto. La Ruota lo colpì e rimbalzò. Agile quanto forte, Soslan si slanciò e, questa volta, l’afferrò nella sua mano d’acciaio. La mise sotto i piedi e le ruppe due raggi.
Allora essa lo supplicò: «Non strapparmi la vita, Soslan, e d’ora in poi io non mi chiamerò più Ruota di Balsæg, ma Ruota di Soslan!».
«Tu vuoi ingannarmi, Ruota di Balsæg!».
«Te lo giuro su Dio stesso: non mi chiamerò più Ruota di Balsæg, ma Ruota di Soslan!».
Soslan le credette, la lasciò libera e, mentre la Ruota se ne andava, egli raggiunse i suoi compagni.
Syrdon, il flagello dei Narti, sorse davanti alla Ruota e le disse: «Sia diritto il tuo cammino, Ruota di Balsæg!».
«Non chiamarmi più Ruota di Balsæg, altrimenti Soslan mi ucciderà! Io sono la Ruota di Soslan!».
«Guai a te, Ruota di Balsæg! Hai dunque perduto la tua bella forza e la tua grande gloria?».
«Taci, Syrdon, io sono di quelli che mantengono il loro giuramento».
«Fa’ scorrere un po’ di sangue dal tuo mignolo e sarai libera dal tuo giuramento. È per mezzo tuo che Soslan deve perire, lanciati ancora una volta su di lui!».
«Oh! Soslan è un uomo terribile! Se ci batteremo ancora una volta, mi dilanierà, mi ucciderà a morsi! Io non posso nulla contro di lui».
«Va’ da Kurdalægon e fatti rimettere da lui due raggi d’acciaio. Poi torna e passa rotolando sulle ginocchia di Soslan mentre dorme».
La Ruota di Balsæg si lasciò sedurre dal consiglio di Syrdon: «Ma dove, quando lo troverò addormentato?».
«Ogni giorno egli caccia nella pianura di Zilahar, dove ha eretto la sua capanna – rispose Syrdon. – Qui, dopo il pasto, viene regolarmente a dormire. Tu, passa rotolando su tutti gli uomini che vi troverai, perché vi saranno dei compagni, egli non è solo».
La Ruota si recò alla fucina di Kurdalægon e si fece rimettere due raggi d’acciaio.
Soslan era ancora a caccia nella pianura di Zilahar coi suoi dodici compagni. Quando venne il tempo del riposo, egli li rimandò alla capanna: «Andate a mangiare e a riposarvi. Io vado a fare un giro, ma non tarderò a raggiungervi».
I dodici compagni entrarono nella tenda e si coricarono sei da un lato, sei dall’altro, toccandosi coi piedi.
Subito, credendo che Soslan fosse con loro, la Ruota di Balsæg si slanciò con fracasso: «Guai a te!», gridò e, troncando le gambe dei dodici cacciatori, li uccise.
Poco dopo arrivò Soslan, portando il corpo di un cervo: «Presto! Venite a vedere», gridò ai compagni. Ma nessuno uscì. Egli gettò il cervo e entrò. Quale non fu la sua emozione: i dodici compagni giacevano morti, con le gambe tagliate.
«Guai a me! – egli disse. – Non può essere che la Ruota di Balsæg». E si precipitò fuori. Guardò, e scorse la Ruota di Balsæg che fuggiva per la pianura. Si lanciò all’inseguimento. […]
La Ruota si inoltrò nella foresta e giunse davanti ai nocciuoli, sui quali si attorcigliava il luppolo.
«Fermala, luppolo – gridò Soslan – debbo vendicare il sangue dei miei dodici compagni!».
Il luppolo fece cadere i suoi canapi che si attorcigliarono sulla Ruota di Balsæg e la fermarono.
Presto Soslan fu a portata di freccia. Con un colpo, fece saltare un raggio della Ruota, con un secondo colpo un secondo raggio, poi corse vicino a lei e l’afferrò.
Egli benedisse il nocciuolo e il luppolo: «Nocciuolo, che il tuo frutto sia saporito per gli uomini e che essi vengano da lontano a coglierlo: tale sarà il tuo privilegio. E quanto a te, luppolo, Dio faccia che gli uomini ti coltivino per preparare la loro bevanda in tempo di festa!».
Poi trasse la spada deciso a fare a pezzi la Ruota, ma quella gli disse: «Sono tua ospite, Soslan! Eseguirò ciò che comanderai».
«Tu vuoi ingannarmi ancora, creatura senza onore! – rispose Soslan. – Come fidarsi di te?».
La Ruota diede la sua parola.
«Sta bene – disse Soslan. – Uccidi dodici persone della tua parentela e ti lascerò in vita».
La Ruota giurò che avrebbe ucciso dodici persone della sua parentela e Soslan la liberò. La Ruota, tutta triste, se ne tornò a casa […] ma Syrdon – come avrebbe potuto il flagello dei Narti rinunciare al suo disegno? – fece lavorare la sua lingua maligna e convinse la Ruota di Balsæg. Questa andò dal fabbro Kurdalægon che le rimise dei raggi di puro acciaio.
Soslan era di nuovo a caccia nella pianura di Zilahar.
Un giorno, mentre strisciava sul ventre per avvicinarsi a una preda, la Ruota di Balsæg si lanciò su di lui prendendolo alla sprovvista, e gli passò esattamente sulle ginocchia. Quindi, se ne tornò rapidamente in cielo.
Soslan è incapace di muoversi. Guarda: nessun messaggero per portare la notizia ai Narti. […]
Solo la rondine si recò al villaggio dei Narti e si posò sulla trave del soffitto.
Nel suo linguaggio annunciò: «La Ruota di Balsæg ha troncato le ginocchia del vostro Soslan nella pianura di Zilahar. Egli sta morendo, senza nessuno che gli chiuda gli occhi!».
Vecchi e giovani, tutti i Narti scoppiarono in singhiozzi e, a gruppi, si precipitarono a soccorrere Soslan. Facevano a chi arrivava primo. Ma Syrdon incitò il suo cavallo e giunse prima di loro presso il moribondo.
«Eh! Soslan, avresti fatto meglio a morire più in fretta: la gente del tuo villaggio arriva a gruppi e in ogni gruppo un capo del coro canta e, dopo di lui, tutti riprendono gioiosamente il canto!».
Udendo tali parole, come non si sarebbe spezzato il cuore a Soslan?
Ma ben presto la gente arrivò: gli uomini si laceravano le guance, le donne si strappavano le trecce.
Soslan disse: «Syrdon è venuto prima di voi e mi ha mentito indegnamente. Conducetelo davanti a me».
Ebbero un ben da fare a cercare Syrdon: era sparito.
La gioventù narte portò via Soslan. Lungo la strada, Dio sa da dove, comparve presso di lui Syrdon: «Tu non hai scampo, Soslan – gli disse. – Sai che hanno fatto i tuoi diletti fratelli? Ti hanno preparato una bara in pelle di serpente e un sudario in pelle di rana!».
Quando Soslan fu a casa, disse ai suoi: «Fratelli, mostratemi il mio sudario e la mia bara prima che io muoia».
«Perché desideri vederli? Il tuo sudario e la tua bara non saranno indegni di te. Noi ti dobbiamo tutta la forza che abbiamo avuto, e tu sai bene che non ti daremo né un vile sudario né una vile bara».
«Bisogna che io li veda! – insisté Soslan. – Syrdon mi ha detto parole che mi preoccupano».
Portarono il suo sudario e la bara: il sudario era di pura seta, la bara era d’oro. Egli si fece avvolgere nel sudario e deporre nella bara.
Venne allora dal Paese dei Morti Huyændon-Ældar, il Signore dei Pesci: «Soslan – disse – ho un grande posto nel paradiso, presso i morti. Desidero che tu sia con me».
«Cos’hai fatto dunque di notevole per avere quel posto nel paradiso?».
«Sono stato ospitale; ecco perché ho quel posto».
«Allontanati, ché tu sai di pesce: che cosa si direbbe vedendomi con te?».
Dopo di lui salì dal Paese dei Morti il bue di un uomo povero: «Soslan, ho un grande posto nel paradiso, presso i morti. Desidero che tu stia con me».
«Che cosa dunque hai fatto di notevole?».
«Ero il bue di un uomo povero – rispose l’animale. – Egli mi dava a nolo a chiunque e, quando si trattava di nutrirci, l’uomo che mi aveva preso a nolo dava tutto il foraggio al suo bue, a me lo scarto. Ecco perché ho ricevuto quel posto!».
«Vattene! – disse Soslan. – Tu hai il collo inciso dal giogo, io non voglio andare con te, tu non sei che un bue!».
Venne poi dal Paese dei Morti il figlio di un pover’uomo: «Soslan, io non sono che un giovane e non dovrei osare parlarti, ma ho un posto nel paradiso, presso i morti, e desidero che tu stia con me».
«Che cosa hai fatto, dunque, di notevole per avere quel posto nel paradiso?».
«Ero l’unico figlio di mia madre – disse il giovane – e a dispetto di Dio tre cavalieri arroganti mi uccisero. Prima di morire dissi a mia madre: “Deponi vicino a me le mie armi e inoltre servi un banchetto funerario sulla mia tomba tre vigilie di sabato consecutive”. Lei mi sotterrò con le mie armi e servì i banchetti. La prima volta, Dio fece passare i tre cavalieri insolenti accanto al cimitero. Mia madre disse alle donne che l’accompagnavano: “Quei cavalieri sono della stessa età di mio figlio, andate a invitarli e trattateli bene!”. Le donne fecero tornare indietro i cavalieri e offrirono loro un banchetto. Poi essi partirono e, allontanandosi, uno di loro disse agli altri: “Senza di me avreste forse goduto di questo buon banchetto?”. Ma ognuno degli altri reclamò il merito dell’assassinio, e scomparvero scherzando. Sapendo che la sera del venerdì successivo sarebbe stato servito un altro banchetto funerario, i tre cavalieri si recarono di nuovo al cimitero. Fecero un magnifico pranzo, poi se ne andarono scherzando, ridendo e dicendo: “In verità, le nostre gambe ci nutrono bene”. Tornarono ancora il terzo venerdì: sapevano che vi sarebbe stato un terzo banchetto. Furono ben trattati, come si conviene in onore di un morto, poi partirono, scherzando e ridendo più forte delle altre volte. Allora le pietre della mia tomba non poterono trattenermi; le sollevai e uccisi i tre cavalieri. Ecco perché ho quel posto nel paradiso».
«È con te che verrò – disse Soslan. – Tu sei uscito dal Paese dei Morti per vendicarti».
Poi disse ai suoi fratelli, Uryzmæg e Hæmyts: «Scavate la mia tomba, ma lasciatemi una finestra a oriente perché mi appaia il sole al mattino, al suo sorgere; una finestra al centro, perché mi appaia a mezzogiorno; e una finestra a occidente, perché io lo veda alla sera. Posate vicino a me il mio arco e le mie frecce. E non è tutto: finché il mio sangue non sarà vendicato contro la Ruota di Balsæg, io non riposerò in pace. Chi mi vendicherà?».
Tutti i Narti si tirarono indietro: nessuno aveva l’audacia di prendersela con la Ruota di Balsæg.
Solo un nipote di Soslan si avvicinò: «Soslan – disse – che non mi si veda più tra i miei compagni se non poserò, spezzata in due, la Ruota di Balsæg sulla tua tomba!».
Quando ebbe udita questa promessa, Soslan si fece mettere nella tomba. Come aveva prescritto, furono posti accanto a lui il suo arco e le sue frecce, e si provvide per le tre finestre.
Dopo alcuni giorni, Uryzmæg e Hæmyts dissero a Syrdon: «Il cavallo di Soslan diventerà intrattabile se lo si lascia nella scuderia. Ti preghiamo di montarlo».
«Disgrazia al mio focolare! Come potete dirmi questo? io, montare sul cavallo di mio fratello!».
«È necessario, Syrdon, obbedisci».
Per qualche tempo Syrdon fece come se non volesse, ma alla fine acconsentì e cominciò a montare il cavallo.
Ogni volta che lo avvicinava, gli diceva: «Ah! se fosse qualcun altro a farlo! io non ho il cuore di montare su di te».
Ma, appena passati i margini del villaggio, lanciò lietamente il cavallo qua e là: «Cosa potevo immaginare di più crudele per te, Soslan: io, ricevere la tua eredità!».
Un giorno, persino, montato sul cavallo di Soslan, egli si diresse verso il cimitero e caracollò intorno alla tomba: «Ehi, Soslan – gridò. – Cosa potevo augurarti di peggio? Il tuo cavallo prediletto, ora è mio!».
Poi aggiunse: «Oggi, è te che cavalcherò!». E mettendo piede a terra, si sedette a cavalcioni sulla tomba, proprio sopra la finestra centrale. Si era appena seduto, che, dal di sotto – tale sia la sorte del tuo nemico! – Soslan gli lanciò una freccia che gli uscì proprio dal centro del cranio.
Syrdon morì sul colpo.
«Io ti ho punito – disse Soslan. – E adesso, che il mio sangue sia vendicato sulla Ruota di Balsæg, e io sarò in pace!».
Il nipote di Soslan si recò da Kurdalægon e gli disse: «Fabbricami una grossa leva di ferro».
Kurdalægon gli fabbricò la leva. Il giovane la prese e mandò a dire alla Ruota: «Voglio battermi con te! Non nasconderti e vieni a raggiungermi nella pianura di Hyz!».
«Sono sempre pronta a battermi!», gli fece rispondere la Ruota.
Armato della grossa leva, il giovane si recò nella pianura di Hyz. Ed ecco che la Ruota piomba su di lui con fracasso.
Rapidamente, con la sua leva di ferro, il giovane le face saltare tutti i raggi: non ne restò uno. Allora essa si spaventò, si mutò in anitra selvatica e volò via. Il ragazzo si trasformò in avvoltoio e la inseguì. Terrorizzata, la Ruota calò su una pianura coperta di larici. Il ragazzo riprese la sua forma umana, batté le mani, e ne uscì una tal quantità di scintille che tutta la pianura bruciò.
Al colmo della paura, la Ruota si fece fagiano e volò via. Il nipote di Soslan la vide, si fece aquila e le diede la caccia. La Ruota, sgomenta, volò via fino al villaggio dei Narti e penetrò nella casa di una strega.
Il ragazzo la vide, ridivenne uomo e entrò dietro di lei: «Dov’è il fagiano che si è appena precipitato in casa tua? Rispondi, presto, sennò brucerò te e i figli tuoi».
Tremante, la donna rispose: «Se n’è andato verso il cimitero ed è entrato nella tomba dell’ultimo morto».
Il giovane riprese la forma di un bue, si recò nel cimitero e si mise a muggire vicino alla tomba più fresca.
Dal fondo della tomba la Ruota di Balsæg gridò: «Disgrazia al tuo padrone! Sono venuta qui per nascondermi dal nipote di Soslan, e tu non mi puoi lasciare in pace!».
Udendo queste parole, il ragazzo riprese la forma umana: «Aspetta! – disse. – Sono io, quello da cui ti nascondi!».
Senza perder tempo, dissotterrò la Ruota, la portò accanto alla tomba di Soslan e gridò con tutta la sua voce: «Soslan, io ti mando la Ruota di Balsæg nel Paese dei Morti! Sia laggiù la tua serva e la tua portatrice d’acqua. Nel mondo di sopra, ti sia da pietra tombale!».
E, sguainata la spada, colpì la Ruota in cima alla testa e la fendette nel mezzo. Piantò le due metà sulla tomba di Soslan, l’una alla testa, l’altra ai piedi.
(Fonte: Dumézil, Il libro degli Eroi)