Deleuze-Guattari – Contro il platonismo del desiderio come mancanza

In certo qual modo, la logica del desiderio manca il proprio oggetto sin dal primo passo: il primo passo della divisione platonica che ci fa scegliere tra produzione e acquisizione.
Non appena poniamo il desiderio dalla parte dell’acquisizione, ci facciamo del desiderio surreal-scheletro-casauna concezione idealistica (dialettica, nichilista) che lo determina in primo luogo come mancanza, mancanza d’oggetto, mancanza dell’oggetto reale.
È vero che l’altra parte, la parte «produzione», non è ignorata. È, anzi, merito di Kant l’aver operato nella teoria del desiderio una rivoluzione critica, definendolo come «la facoltà d’essere con le sue rappresentazioni causa della realtà degli oggetti di tali rappresentazioni».

Ma, non a caso, per illustrare questa definizione, Kant invoca le credenze superstiziose, le allucinazioni e i fantasmi: sappiamo bene che l’oggetto reale non può essere prodotto che da una causalità e da meccanismi esterni, ma questo sapere non ci impedisce di credere al potere interno del desiderio di generare il suo oggetto, magari in forma irreale, allucinatoria o fantasmata, e di rappresentare questa causalità nel desiderio stesso (cfr. Kant, Critica del giudizio, Introduzione, § 3).
La realtà dell’oggetto in quanto prodotto dal desiderio è dunque la realtà psichica.
Si può dire allora che la rivoluzione critica non cambia nulla all’essenziale: questo modo di concepire la produttività non rimette in questione la concezione classica del desiderio come mancanza, ma poggia su di essa, si puntella su di essa, e si accontenta di approfondirla.

In effetti, se il desiderio è mancanza dell’oggetto reale, la sua stessa realtà risiede in una «essenza della mancanza» che produce l’oggetto fantasmato.
Il desiderio così concepito come produzione, ma produzione di fantasmi, è stato perfettamente illustrato dalla psicoanalisi. Al livello più basso dell’interpretazione, ciò significa che l’oggetto reale di cui il desiderio è mancante rinvia per conto suo a una produzione naturale o sociale estrinseche, mentre il desiderio produce intrinsecamente un immaginario che fiancheggia la realtà, come se ci fosse «un oggetto sognato dietro ogni oggetto reale» o una produzione mentale dietro le produzioni reali.

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E certo la psicoanalisi non è costretta a sfociare così in uno studio dei gadget e dei mercati nella forma più misera di una psicoanalisi dell’oggetto (psicoanalisi del pacchetto di pasta, dell’automobile o del «coso»).
Ma anche quando il fantasma è interpretato in tutta la sua estensione, non più come oggetto, ma come una macchina specifica che mette in scena il desiderio, questa macchina è solo teatrale, e lascia sussistere la complementarità di ciò che separa: allora è il bisogno ad essere definito dalla mancanza relativa e determinata del suo proprio oggetto, mentre il desiderio appare come ciò che produce il fantasma o produce se stesso staccandosi dall’oggetto, ma raddoppiando la mancanza portandola all’assoluto, facendone un’«incurabile insufficienza d’essere», una «mancanza ad essere» che è la vita.
Di qui la rappresentazione del desiderio come puntellato sui bisogni, la produttività del desiderio continuando a farsi sullo sfondo dei bisogni, e del loro rapporto di mancanza con l’oggetto (teoria del puntellamento).

In breve, quando si riduce la produzione desiderante a una produzione di fantasma, ci si accontenta di trarre tutte le conseguenze dal principio idealistico che definisce il desiderio come una mancanza, e non come produzione, produzione «industriale».
Clément Rosset dice benissimo: ogni volta che si insiste su una mancanza di cui il desiderio mancherebbe per definire il suo oggetto «il mondo si vede raddoppiato da un surreal-fantasmaaltro mondo quale che sia, a favore dell’itinerario seguente: l’oggetto manca al desiderio; dunque il mondo non contiene tutti gli oggetti, ne manca almeno uno, quello del desiderio; dunque esiste un altrove che contiene la chiave del desiderio (di cui il mondo manca)» (Logique du pire).

Se il desiderio produce, produce del reale. Se il desiderio è produttore, non può esserlo se non in realtà, e di realtà.
Il desiderio è l’insieme di sintesi passive che macchinano gli oggetti parziali, i flussi e i corpi, e che funzionano come macchine di produzione.
Il reale ne deriva, è il risultato delle sintesi passive del desiderio come autoproduzione dell’inconscio.

Il desiderio non manca di nulla, non manca del suo oggetto.
È piuttosto il soggetto che manca al desiderio, o il desiderio che manca di soggetto fisso; non c’è soggetto fisso che per la repressione.
Il desiderio e il suo oggetto sono un’unica cosa, sono la macchina, in quanto macchina di macchina. Il desiderio è macchina, anche l’oggetto del desiderio è macchina collegata, cosicché il prodotto viene prelevato su del produrre, e qualcosa si stacca dal produrre al prodotto, qualcosa che darà un resto al soggetto nomade e vagabondo.
L’essere oggettivo del desiderio è il Reale in se stesso. Non esiste forma d’esistenza particolare che si possa chiamare realtà psichica. Come dice Marx, non c’è mancanza, c’è passione come «essere oggetto naturale e sensibile».

Non è il desiderio a puntellarsi sui bisogni, ma, al contrario, sono i bisogni che derivano dal desiderio. La mancanza è un contro-effetto del desiderio; essa è deposta, sistemata, vacuolizzata nel reale naturale e sociale.
Il desiderio si tiene sempre vicino alle condizioni d’esistenza oggettiva, le assume e le segue, non sopravvive loro, si sposta con esse, e per questo è così facilmente desiderio di morire, mentre il bisogno segna l’allontanamento di un soggetto che ha perduto il desiderio perdendo la sintesi passiva di tali condizioni.
Il bisogno come pratica del vuoto non ha altro senso: andare a cercare, a catturare, a parassitare le sintesi passive là ove stanno.

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Abbiamo un bel dire: non siamo erba, è un pezzo che abbiamo perduto le sintesi clorofilliane, bisogna pur mangiare …
Il desiderio diventa allora questa abietta paura di mancare. Ma appunto, questa frase, non sono i poveri o i defraudati a pronunciarla. Loro, al contrario, sanno che son vicini all’erba, e che il desiderio ha «bisogno» di poche cose, non le cose che si lasciano loro, ma proprio quelle cose di cui non si cessa di spossessarli, e che non costituivano una mancanza nell’intimo, ma piuttosto l’oggettività dell’uomo, l’essere oggettivo dell’uomo per cui desiderare è produrre, produrre in realtà.
Il reale non è impossibile, nel reale anzi, tutto è possibile, tutto diventa possibile.

(Deleuze-Guattari, L’anti-Edipo)

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Qui, Eros è «tradotto» Desiderio. E per intendere produzione e acquisizione – basta seguire, alla lettera, la trafila del Simposio: Eros è poeta, è creativo, che fa e che «produce» (è quanto sostiene Agatone); Eros è mancanza, impotenza ad acquisire, a «realizzare» il proprio oggetto (è la prima tesi del discorso di Socrate).
Da che parte sia schierato Platone, è inutile dirlo. Il suo Agatone si dà subito per vinto: e già, è vero, quel «bello» che desidero mi manca. Da qui poi a dire che lo desidero perché surreal-albero-casemi manca, che se non mi mancasse neanche lo degnerei di uno sguardo, il passo è breve. Un altro passettino, e ci siamo: desidero ciò di cui l’Altro non manca, desiderio ciò l’Altro mi proibisce di avere, ciò di cui l’Altro non cessa di spossessarmi.

Eros non fa, non crea, non produce – da subito – fantasmi.
I fantasmi vengono dopo. Vengono ad aggirarsi intorno al «vuoto» che Eros ha lasciato. Vengono a estrarsi dal «niente» che il Pavone ha abbagliato.
Eros non produce solo fantasie. Né «idee» del bello, o del buono. Le «idee» vengono dopo. Sono le sintesi «passive» (in cui è sintetizzata anche la rimozione prima, quella in cui Eros stesso è il Rimosso).
Perciò, Socrate la spunta subito su Agatone – perché Agatone ha già «ridotto» nel suo apparente «encomio» Eros a «produttore» di idee. Eppure, un argomento ce l’aveva per difendere la «produttività reale» del desiderio: altro che fantasmi e basta! Eros mette al mondo dei «figli» in carne e ossa!

Eros è il Reale che produce e riproduce la propria «realtà».
Certo, non è né bello né brutto, né buono né cattivo: di questo Eros non si cura se non dopo, quando del suo passaggio non resta che la traccia della sua rimozione.
E allora – è nella sua mancanza che siamo costretti a vagolare. Siamo costretti a razzolare nella spazzatura i «resti» di un erotismo castrato alla fonte.
Perciò ci serve una filosofia del mattino – ci serve gettare uno sguardo sul nostro inizio, per andare a vedere coi nostri occhi (anziché farcelo dire da quel santone di Socrate) se la mancanza è no «congenita» a Eros.