C’è, in principio, un «incatenato».
Non importa se è il Lupo feroce, o il nostro buon Prometeo. In principio c’è un Truffatore che s’accorge troppo tardi d’essere lui il Truffato.
Al Lupo gli dèi dissero: è solo un gioco, vogliamo solo vedere se davvero sei capace di spezzare tutte le catene! su, fatti legare!
Più sottile è la narrazione dei Greci. Prometeo è convinto d’aver «rubato» lui il fuoco a Zeus, poi vai a vedere e scopri che Zeus cercava solo un pretesto per addomesticarne, come dice Freud, le pulsioni selvagge.
Per addomesticarle a lui e a tutti quelli che dopo di lui avrebbero fatto uso della sua «refurtiva».
In principio, dunque, fu la Truffa e noi, o lupi come il Lupo o umani come l’umano Prometeo, fummo noi i Truffati. Non so se ci può consolare, ma il Mito ce lo racconta lo stesso: a incatenarci al principio della nostra «umanità», non fu un fesso qualsiasi. No, a ingannarci fu un «divino» Ingannatore. E noi con Lui giocammo al solo gioco veramente «divino»: a chi è più bravo a imbrogliare l’Altro.
Giocammo a sedurlo, e ne fummo sedotti. Pensavamo che gli bastasse il fumo del nostro arrosto, mentre eravamo noi a essere cibo degli avvoltoi.
In che consiste la Truffa, ce lo dice in poche parole Freud: nell’abdicazione alla soddisfazione libera, selvaggia e immediata delle nostre pulsioni – del nostro «fuoco» naturale.
Non è roba da poco, e non è detto che tutti quelli che si spacciano per uomini abbiano abdicato. Anzi, mi pare …
Mi pare che i lupi, oggi più famelici di ieri, sono sempre più accaniti contro Prometeo. Altro che il Superuomo! Ma quale Uomo a Venire! Il lupo che è in noi, morde la catena e – come dicono al Nord – presto o tardi verrà il giorno in cui la spezzerà, e sarà la fine della nostra umanità.
Perché l’uomo è Uomo solo «incatenato» alla roccia di Prometeo. E tanto più umano è, quanto più s’avvede d’essere, come lui, un piffero di montagna che andò per suonare, e finì per essere suonato.
Prometeo «crede» di rubare il fuoco. Ma di fatto non fa che rinunciare alle sue più focose pulsioni «naturali». Prometeo abdica alla «libertà», in cambio dell’illusione d’essere lui a defraudare gli dèi di una scintilla della loro «libertà», appena una scintilla della loro «divina» Pazzia – ovvero quella «naturale», «divina», pulsione a truffare, adescare e ingannare l’Altro.
Una scintilla di fuoco, dunque, in cambio di tutto il focolaio. Una sola piccola pulsione a risarcimento delle ferite e delle piaghe di chi è iniziato alla Catena Umana.
In principio, questa sola pulsione «a truffare mentire ingannare sedurre», Prometeo la preleva dal mucchio – presumibilmente da quello stesso Mucchio da cui la preleva Psiche nella «cernita dei cereali», e a cui Dioniso invita Arianna a restituirla quando ogni illusione le sarà tramontata.
La scintilla di fuoco, Prometeo la «ruba» al Fuoco – a quel Fuoco che, lasciato libero d’infiammarsi, distruggerebbe e brucerebbe l’Altro. Prometeo, dunque, ruba al Fuoco cattivo, al Fuoco distruttore, al Fuoco naturale, un altro fuoco, un fuoco buono, un fuoco culturale: il fuoco di cucina, il fuoco che si può condividere con l’Altro.
I due fuochi, è bene tenerli distinti, perché a ciascuno dei due va riservato un diverso trattamento.
Per dirla in breve, il primo, il fuoco distruttore, il fuoco che incendia, va spento e, in mancanza di pompieri, per spegnerlo, si deve danzare e cantare, e ancora cantare e danzare, finché non piova.
Il secondo invece, il fuoco benefico, il fuoco che cuoce i nostri cibi, il fuoco che mette al mondo i nostri figli, non va mai annacquato, non deve cioè per nessuna ragione al mondo entrare in contatto diretto con l’acqua, ma tra il fuoco e l’acqua ci deve essere una pentola a fungere da medium.
Se Fuoco e Acqua in cucina si toccassero, sarebbe dell’ordine dello stesso incesto cosmologico che nelle eclissi fanno sole e luna. Sarebbe una tragedia: natura congiunta a natura senza la mediazione (della pentola) umana.
Come dice Freud, non si può «fottere» e allo stesso tempo «pisciare», non si può essere a un tempo «selvaggiamente focosi» e «uomini di limpida parola».
Non si può dire, magari «evangelicamente» riverniciando il proprio egoismo, che ognuno ha diritto a fare i cazzi suoi e, insieme, dichiararsi amico di qualcuno. Non si può, ma si continua a fare.
Perché questo è tutto quanto «crediamo» d’aver rubato: a conti fatti, in mano non ci ritroviamo che una pentola (non sto esagerando: Prometeo, così dice il Racconto, istituì la cucina greca, il «sacrificio» su cui si fonda la cultura greca).
Abbiamo fatto fruttare quella scintilla «naturale», quella pulsione a truffare. Abbiamo truffato però la nostra stessa Natura, e nel modo «più naturale» che ci veniva: mettendo bocca tra «natura» e «natura», mettendo la nostra Parola tra il fuoco e l’acqua.
Perciò, nella nostra cucina non si dà mai il caso che s’incontrino «corpi naturali» se non mediati dalla Parola che li accomuna in una reciproca truffa.
Il destino di quel poco di fuoco che sappiamo accendere, e di quel poco d’acqua che mettiamo a bollire, gira e rigira, ha da sbollire nella nostra Parola per restare «umano».