Lacan – La perversione del bambino

Se l’analisi ha fatto una scoperta positiva sullo sviluppo libidico, è proprio che il bambino è un perverso, e addirittura un perverso polimorfo.
Prima della tappa di normalizzazione genitale, di cui il primo abbozzo ruota attorno al complesso di Edipo, il bambino è in balia di una serie di fasi, che si connotano col termine di pulsioni parziali. Queste sono le prime relazioni libidiche del mondo. […]

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Salvador Dalì – Perverso polimorfo

Che cos’è questa perversione primaria?
Non esiste una sola forma di manifestazione perversa, la cui struttura stessa, a ogni istante del suo vissuto, non si sostenga sulla relazione intersoggettiva.
Lasciamo da parte le relazioni voyeuriste ed esibizioniste, sarebbe troppo facile dimostrarlo. Prendiamo come esempio la relazione sadica, sia come forma immaginaria sia come forma clinica paradossale.
Una cosa è certa: la relazione sadica si sostiene solo sulla misura in cui l’altro è proprio al limite in cui resta ancora un soggetto. Se non è nulla più che carne che reagisce, a forma di mollusco di cui si titillano i bordi e che palpita, non esiste più relazione sadica.

Il soggetto sadico si arresterà là, incontrando di colpo un vuoto, una beanza, una cavità. La relazione sadica implica in effetti che il consenso del partner sia strappato: la sua libertà, la sua testimonianza, la sua umiliazione.
La prova manifesta è nelle forme che si possono chiamare benigne. Non è forse vero che la maggior parte delle manifestazioni sadiche, lungi dallo spingersi all’estremo, restano piuttosto sulla soglia dell’esecuzione, giocando sull’attesa, sulla paura dell’altro, sulla pressione, sulla minaccia, osservando le forme più o meno segrete della partecipazione del partner?

Nel miraggio del gioco ciascuno s’identifica all’altro. L’intersoggettività è la dimensione essenziale.
Non posso non far riferimento qui all’autore che ha descritto questo gioco nel modo più magistrale, alludo a Jean-Paul Sartre e alla fenomenologia della percezione dell’altro nella seconda parte dell’Essere e il nulla.
È un’opera che dal punto di vista filosofico può incorrere in numerose critiche, ma che maschere-sguardicertamente in questa descrizione, non fosse altro che per il suo talento e il suo brio, tocca in un modo affatto speciale qualcosa di convincente.

L’autore fa ruotare tutta la sua dimostrazione attorno al fenomeno fondamentale che egli chiama sguardo. L’oggetto umano si distingue originalmente, ab initio, nel campo della mia esperienza; non è assimilabile ad alcun altro oggetto percepibile in quanto è un oggetto che mi osserva.
Sartre usa al riguardo degli accenti estremamente fini. Lo sguardo di cui si tratta non si confonde assolutamente col fatto, per esempio, che io veda i suoi occhi. Io posso sentirmi osservato da qualcuno di cui non vedo neppure gli occhi, e neppure l’apparenza. Basta che qualcosa mi significhi che qualcuno può esser là. Questa finestra, se fa un po’ buio, e se vi sono ragioni per pensare che vi sia qualcuno dietro, è già, sin d’ora, uno sguardo.
A partire dal momento in cui questo sguardo esiste, io sono già qualcosa d’altro, in quanto sento che io stesso divento oggetto per lo sguardo di altri. Ma in questa posizione, che è reciproca, anche l’altro sa che io sono un oggetto che sa d’essere visto.

Tutta la fenomenologia della vergogna, del pudore, del prestigio, della particolare paura generata dallo sguardo vi è ammirevolmente descritta e vi consiglio di riferirvi all’opera di Sartre. È una lettura essenziale per l’analista, tanto più che l’analisi è arrivata al punto di dimenticare l’intersoggettività fin dentro l’esperienza perversa, che pure è tessuta all’interno di un registro in cui dovete riconoscere il piano dell’immaginario.

Osserviamo in effetti nelle manifestazioni cosiddette perverse delle sfumature che sono lungi dal confondersi con ciò che v’insegno a mettere al centro della relazione simbolica, cioè il riconoscimento.
Sono forme estremamente ambigue; non per nulla ho parlato della vergogna. Analizzando il prestigio in maniera più fine, cadremmo così in forme di derisione, sullo stile per esempio che assume nei bambini, dov’è una forma di eccitamento, ecc.

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Un amico mi raccontava un aneddoto su quel joke che precede le corse dei tori, a cui in Spagna si fanno partecipare dei maldestri.
Mi ha descritto una scena straordinariamente bella di sadismo collettivo. Vedrete fin dove arriva l’ambiguità.

Si era dunque fatto sfilare uno di questi semi-idioti rivestito per la circostanza degli ornamenti più belli del matador. Sfilava per l’arena prima che entrassero gli animaletti che partecipano a questi giochi. Come sapete, non sono completamente inoffensivi. E la folla a gridare: Ma guardalo com’è bello!
Il personaggio, con la sua semi-idiozia tipica della tradizione dei grandi giochi di corte dell’antica Spagna, entra in una specie di panico e comincia a tirarsi indietro. I compagni gli dicono: Va’, guarda, tutti ti vogliono. Tutti prendono parte al gioco. Il panico del personaggio aumenta. Si rifiuta, vuole sottrarsi. Viene spinto fuori dalla staccionata e finalmente si realizza l’altalena.

Improvvisamente si libera da coloro che lo spingono e, portato dall’insistenza schiacciante del clamore popolare, si trasforma in una sorta di eroe buffone.
Implicato nella struttura della situazione, se ne va davanti alla bestia con tutte le surreal-idiotacaratteristiche dell’atteggiamento sacrificale, eccetto per il fatto che resta comunque sul piano della buffonata.
Si fa immediatamente stendere al suolo. Lo portano via.

Questa scena sensazionale mi sembra illustrare perfettamente la zona ambigua dove l’intersoggettività è essenziale.
Potreste dire che l’elemento simbolico, la pressione del clamore, vi giochi un ruolo essenziale, ma è quasi annullato dal carattere di fenomeno di massa, che in quest’occasione assume.
L’insieme del fenomeno è così ricondotto a quel livello d’intersoggettività caratteristico per manifestazioni che provvisoriamente connotiamo come perverse.

Si può andare oltre. E Sartre va oltre, dandoci della fenomenologia della relazione amorosa una strutturazione che mi sembra irrefutabile.
Non posso rifarvela per intero perché bisognerebbe che io passassi per tutte le fasi della dialettica del per sé e dell’in sé. Bisogna che facciate un po’ di fatica e vi riferiate all’opera.

Sartre fa assai giustamente osservare che, nel vissuto dell’amore, quello che noi esigiamo dall’oggetto da cui desideriamo essere amati non è un impegno completamente libero. Il patto iniziale, il tu sei la mia sposa o tu sei il mio sposo, al quale faccio sovente allusione quando vi parlo del registro simbolico, non ha veramente nulla, nella sua astrazione corneliana, per saturare le nostre esigenze fondamentali.
La natura del desiderio vi si esprime in una sorta d’invischiamento corporale della libertà. Vogliamo diventare per l’altro un oggetto che abbia per lui lo stesso valore di limite che, in rapporto alla sua libertà, ha il suo proprio corpo. Vogliamo diventare per l’altro non soltanto ciò in cui la sua libertà si aliena – senza alcun dubbio occorre che la libertà intervenga, dato che l’impegno è un elemento essenziale della nostra esigenza d’essere amati – ma occorre anche che sia molto di più di un impegno libero.mani-disegno
Occorre che una libertà accetti di rinunciare a se stessa per essere ormai limitata a tutto ciò che di capriccioso, d’imperfetto, anzi d’inferiore, possono avere i cammini nei quali la spinge la cattura da parte di quell’oggetto che siamo noi stessi.

Così, diventare attraverso la nostra contingenza, attraverso la nostra esistenza particolare in ciò che essa ha di più carnale, di più limitativo per noi stessi, per la nostra libertà, diventare il limite consentito, la forma d’abdicazione della libertà dell’altro, è l’esigenza che inquadra fenomenologicamente l’amore nella sua forma concreta, il genital love […].
È là ciò che lo istituisce: in quella zona intermedia, ambigua, tra il simbolico e l’immaginario.

Se l’amore è tutto preso e invischiato in questa intersoggettività immaginaria sulla quale desidero concentrare tutta la vostra attenzione, esige nella sua forma compiuta la partecipazione al registro simbolico, lo scambio libertà-patto, che s’incarna nella parola data.
Si stratifica qui una zona in cui potete distinguere dei piani d’identificazione e tutta una gamma di sfumature, un intero ventaglio di forme che giocano tra l’immaginario e il simbolico. […]

L’intersoggettività è all’origine. Deve essere fin dall’inizio, se la ritroviamo alla fine. Nel bambino, se ancora è nell’adulto. E se la teoria analitica ha qualificato col termine di perverso polimorfo quel tal modo o sintomo di comportamento del bambino, è nella misura in cui la perversione implica la dimensione dell’intersoggettività immaginaria.
terzo-occhioHo tentato poco fa di farvela cogliere in quel duplice sguardo che fa sì che io veda che l’altro mi vede, e che il terzo che interviene mi veda visto. Non vi è mai una semplice duplicità di termini. Non è soltanto il fatto che io veda l’altro; io lo vedo che mi vede e questo implica il terzo termine, cioè che egli sappia che io lo vedo. Il cerchio è chiuso. Vi sono sempre tre termini nella struttura, anche se questi tre termini non sono esplicitamente presenti.

Conosciamo nell’adulto la notevole ricchezza della perversione. La perversione è in fondo l’esplorazione privilegiata di una possibilità esistenziale della natura umana, la sua lacerazione interna, la sua beanza attraverso cui è potuto entrare il mondo soprannaturale del simbolico.
Ma se il bambino è un perverso polimorfo, vuol forse dire che bisogna proiettare in lui il valore qualitativo della perversione, così com’è vissuta nell’adulto? Dobbiamo cercare nel bambino un’intersoggettività dello stesso tipo di quella che vediamo essere costitutiva della perversione nell’adulto?

Ebbene no. […]
Nel bambino l’intersoggettività si manifesta nel fatto che può servirsi del linguaggio … questo piccolo animale umano è capace di servirsi della funzione simbolica grazie alla quale, come vi ho spiegato, possiamo far entrare qui gli elefanti qualunque sia la strettezza della porta.
L’intersoggettività è data principalmente dalla manipolazione del simbolo, e questo sin dall’inizio. Tutto parte dalla possibilità di nominare, che è contemporaneamente distruzione della cosa e passaggio dalla cosa al piano simbolico, grazie a cui s’installa il registro propriamente umano.
È da qui che si produce in modo sempre più complicato l’incarnazione del simbolico nel vissuto immaginario. Il simbolico modellerà tutte le inflessioni, che nel vissuto dell’adulto può prendere l’impegno immaginario, la cattura originaria.

(Lacan, Il Seminario: 1)