Maui, il quinto di cinque fratelli, aveva anche una sorella.
Hinauri – così si chiamava – era una fanciulla di meravigliosa bellezza: perciò tutti invidiavano Irawaru, il fortunato che l’aveva sposata. Lo invidiavano tutti, compreso Maui. La fortuna che Maui invidiava al cognato, era però un’altra: gli invidiava che fosse più bravo di lui nella pesca.
Ogni volta, infatti, che andavano a pesca insieme, Irawaru prendeva sempre almeno un pesce in più di lui!
Volendo, Maui avrebbe potuto usare il suo magico amo uncinato e prendere così più pesci di lui, ma non lo faceva: non voleva che il cognato scoprisse la sua arma segreta, e preferiva competere con lui usando un comune amo con la punta liscia.
Un giorno accadde che Maui e il cognato andarono a pescare lontano dalla spiaggia – così lontano che da riva nessuno li vedeva.
Come al solito, Irawaru prese pesce in abbondanza, Maui invece non fu altrettanto fortunato. Non era una novità, solo che quel giorno Maui se la prese a male più del solito.
Se ne stava seduto all’estremità della canoa a rodersi il fegato, quando un altro pesce abboccò all’amo del cognato! Che esagerazione!
Irawaru cominciò subito a tirare su la lenza, la quale però si aggrovigliò con quella di Maui. Sentendo uno strattone, Maui pensò che il pesce avesse finalmente abboccato al suo amo, e tutto gioioso si mise a tirare la sua lenza.
Così, seduti alle due estremità della canoa, Maui e Irawaru tiravano in direzioni opposte. Uno tirava di qua, l’altro di là, quand’ecco venne a galla il pesce, che guizzava appena sotto il pelo dell’acqua.
Maui, che stava perdendo la pazienza, gli gridò brutalmente: «Lascia andare la mia lenza. Il pesce ha abboccato al mio amo».
«No, ti sbagli, è il mio», disse Irawaru allentando la sua lenza e lasciando che Maui tirasse su il pesce.
E quando finalmente lo tirò su, Maui dovette amaramente constatare che il pesce era davvero abboccato all’amo del cognato. Anche Irawaru lo vide, e perciò gli chiese di lasciarlo andare.
«Non puoi aspettare – disse Maui – finché tolgo l’amo?».
Tolse l’amo di Irawaru dalla bocca del pesce e scoprì con meraviglia che anche quell’amo aveva un uncino: allora si sentì ribollire di rabbia, pensando che il suo segreto più segreto non era. Irawaru aveva scoperto il suo trucco: ecco perché prendeva così tanto pesce!
Maui comprese che gli era impossibile pareggiare col cognato: se avessero continuato a pescare, Irawaru avrebbe preso sempre più pesce di lui. Allora, con aria tranquilla, gli propose di tornare a terra.
Irawaru si era accorto della collera di Maui e la poteva percepire anche stando all’altra estremità della canoa. Ma dato che la pesca era stata abbondante, acconsentì volentieri alla sua proposta.
Così presero a pagaiare verso la riva.
Mentre si avvicinavano alla spiaggia, un’ondata fece piegare la canoa su un fianco, spingendola contro gli scogli.
Maui gridò al cognato: «Salta giù, metti la schiena sotto lo scafo e sollevalo».
Irawaru così fece ma, mentre si piegava sotto il peso della canoa, Maui corse lungo le traverse saltando su e giù, con l’intenzione di schiacciarlo e di farlo annegare.
Irawaru era ormai spacciato, quando Maui scivolò giù, lo calpestò, gli allungò la spina dorsale, tirandone fuori a furia di incantesimi una coda. Trasformò così il cognato in un cane, e poi gli fece mangiare anche delle porcherie stomachevoli. Solo allora sentì d’aver sfogato la sua rabbia.
Irawaru, suo cognato, fu dunque il primo di tutti i cani.
E quando a Maui, di ritorno al villaggio, la sorella Hinauri chiese: «che fine ha fatto il mio sposo?», Maui, senza scomporsi, le rispose: «L’ho lasciato vicino alla canoa. Anzi, mi ha chiesto di dirti di andare ad aiutarlo a portare su il pesce. È tutto suo il pesce preso, ed è meglio se gli dai una mano».
Poi, mentre la sorella s’era già avviata, aggiunse: «Nel caso non lo vedessi, non devi fare altro che chiamarlo a voce alta, e se per caso lui non ti rispondesse, prova a chiamarlo “Moi, moi! Moi, moi”» e, così dicendo, produsse il suono con cui si richiamano i cani.
Hinauri scese veloce alla spiaggia e, non vedendo lo sposo, lo chiamò a gran voce per nome. E poiché quello non rispondeva, si ricordò delle ultime parole del fratello, e lo chiamò: “Moi, moi! Moi, moi!”.
Irawaru, che stava annusando fra i cespugli che crescevano oltre la spiaggia, riconobbe la voce della moglie e si mise a correre e a guaire verso di lei. Cominciò a saltellarle intorno e a scodinzolare tutto gioioso, e poi la seguì al villaggio.
La povera Hinauri, quando si rese conto che lo sposo era stato trasformato in un cane da Maui, si sentì sopraffare dal dolore, e scoppiò a piangere. Pianse per tutta la strada, mentre il cane continuava a saltarle intorno scodinzolando.
Senza dire una parola, entrò in casa, prese la sua cintura incantata e se la mise addosso. Poi rifece la strada appena percorsa, e fu di nuovo sulla spiaggia.
Voleva soltanto morire, e in fretta. Si andò a sedere sugli scogli, senza mai smettere di piangere. Le lacrime che le scendevano si confusero con le onde.
Hinauri recitò l’incantesimo di cui si servono le persone addolorate che desiderano la morte, e poi si gettò in mare. Un’onda però, quell’onda da cui Hinauri s’attendeva la morte, invece di spingerla contro gli scogli, la trascinò al largo.
Perciò Hinauri non morì.