Aiguesmortes – Le due fonti

Troverai sulla sinistra della casa d’Ade una fonte.
Accanto ad essa, tutto bianco, s’innalza un cipresso:
a questa fonte non accostarti troppo.
Ne troverai un’altra, dal lago di Mnemosine,
fredda acqua dalla forte corrente, a cui dinanzi stanno custodi.
Di’ loro: «Della Terra son figlia e del Cielo stellato,
ma la mia origine è in Cielo: questo, anche voi lo sapete.
La sete mi consuma e mi uccide; oh, datemi presto
la fredda acqua che impetuosa scorre dal lago di Mnemosine».
Essi te la faranno bere dalla fonte divina,
e allora tu assieme ad altri eroi salirai in alto.
(frammento orfico)

Qualcuno qui sta «ammaestrando» l’anima. Le sta dando le indicazioni necessarie per non perdersi nella «casa d’Ade». Qualcuno la sta «istruendo» al grande viaggio – al viaggio che la vedrà vagare nelle oscure lande dell’Invisibile (Ade), allorché sarà «morta».
Allora – dicevano in Iran – la terza notte incontrerà Daênâ.
Allora – si legge nel Bardo tödöl tibetano – sarà il momento di «vedere» la propria luce: quella luce che, agli occhi «vivi», è invisibile.

Istruzioni per il viaggio nella luce nera.
Potremmo chiamarle così: abbozzi di topografia postuma.

Dalì-aurora
Salvador Dalì – Aurora

Ma se la Morte – se l’Invisibile che questi schizzi delirano, non fosse se non qualcosa di vagamente simile alla «nostra» Morte, alla Morte come la «viviamo» noi, se fosse tutta un’altra «cosa», se per cominciare non fosse quell’unicum che «viviamo» noi, se fosse invece una Morte permanente, un «continuo» apparire e sparire dalla scena, se la Morte fosse un andare nel labirinto della Vita «una continuazione», se fosse un incessante andirivieni da un «clima» all’altro dell’Essere, e se Essere non fosse da intendersi altro che come lo «spazio immaginale» di questo sonnambulismo «cosmico», insomma: se il pensiero «orfico» ancora si pensasse negli strati profondi della nostra immaginazione, e si pensasse «morto» ma sempre in grado di ri-sorgere … allora, forse, cominceremmo a farci un’idea di cosa realmente è in gioco in questa loro finzione.
Su quale realtà scommettono le antiche sceneggiate?

Prova a immaginare!
Immagina che siamo un popolo antico, magari più antico dell’antico tibetano, e che ci domandiamo: chi siamo?
Immagina che ci stiamo facendo in lingua antica la stessa domanda (senza risposte) che ci facciamo tuttora: da dove veniamo?
Immagina che in qualunque momento siamo del Tempo del Mondo, siamo sempre «nel surreal-fontemezzo del cammino». Non sappiamo da dove, da quando, da quale sorgente, né sappiamo verso dove, fino a quando, a quale foce il Tempo si scioglierà per sempre nello Spazio.
Ovunque ci troviamo, siamo antichi e insieme siamo anche i futuri, uno perlomeno dei futuri possibili della nostra antichità.

Siamo morti. Ma capaci di viverla questa morte, di allungarla per tutta la vita. Siamo capaci di viverla e di ri-viverla infinite volte. Noi, forse, ancor più degli orfici e dei tibetani la patiamo, questa morte «non-detta», questa morte interdetta alle nostre lingue. Perché noi non parliamo più una lingua che la «sceneggi» tutti i giorni questa «mortalità». Noi diciamo: la Morte è la fine una tantum. E i tibetani, anzi forse tutti gli «orientali», li sento in coro che rispondono: magari lo fosse, sarebbe ora di lasciarsi andare al nirvana! Siamo stanchi di questo girotondo!

Da dove veniamo?
Dal labirinto in cui ci aggiriamo e raggiriamo (l’un l’altro).
E dunque: per andare dove dobbiamo andare, dove dobbiamo andare? Quando si dice Mastro Totò, s’intende proprio questa «gaia ignoranza» che si torce nelle parole per formulare nient’altro che la ripetizione di se stessa!
A chi è nel labirinto, e di quel labirinto penetra la regione invisibile, c’è qualcuno, possibilmente un «vigile» che sa dare un consiglio, un’indicazione, una minima «istruzione»?

La Notte sarà nera e bianca. La Luce ti apparirà nera, di primo acchito. Tu, non ti spaventare – anima mia! a quella fonte, là sulla sinistra, non andare a bere! Bevi solo a quell’altra, la cui acqua proviene dal lago di Memoria!
La Notte sarà nera per gli occhi che ancora si attardano sulla «vita». La Notte senza stelle sarà, a prima vista, un deserto ai tuoi occhi, anima mia. Ma tu non ti abbattere, non disperare, e soprattutto non abbeverarti all’acqua dell’Oblio (perché, di là, si torna a nascere).
È una morte di luce che ti attende, anima mia – ricordalo! Bevi, su bevi ancora all’acqua di Memoria. Perché chi beve l’acqua del Lete, deve ri-petere la vita. Punto e a capo, deve ricominciare l’eterno ritorno e perdere l’occasione del Ritorno all’Eterno.

La Notte solo allora ti apparirà bianca. Solo allora la sua luce nera ti illuminerà dei suoi raggi, anima mia! solo quando ti sarai ricordata delle tue «origini».
spazio-geometricoSarà la tua luce «originaria» a venirti a prendere per mano. Sarà la tua Daênâ, la luce delle tue parole e dei tuoi atti a guidarti da Virgilio alla Madonna, sarà Beatrice ad aprirti la strada, sarà la luce del Mondo di Mezzo a traghettarti fin dentro l’empireo della tua mente.

Mnemosine non è la «memoria cosciente», non è il «ricordo» delle cose e delle persone «di quaggiù», non è la «vita» memorizzata.
È la memoria di quella «luce» su cui la memoria cosciente, la memoria delle «cose» direbbe Platone, ha scritto i suoi ideogrammi.
È la memoria di quello «specchio» su cui è apparso il primo miraggio – quel miraggio che è «la prima volta», quella che si può solo ri-petere, ri-desiderare, e che mai diventa una seconda, una terza volta.
È la memoria di quell’unica «volta» i cui colori hanno coperto la Luce ai nostri occhi «vivi».

Se di questo ti ricorderai, se non lascerai cadere nell’oblio la preziosa Gemma di questo solo e unico «tassello di memoria», allora potrai dire a chi vorrebbe rispedirti nell’illusione d’essere «vivo» solo perché vede i colori e tocca le cose, allora sì tu potrai dirgli: «È vero, sono figlia della Terra. Mi sono mescolata anch’io nell’illusione dei colori, e mi sono compiaciuta nel guardarmi allo specchio. È vero, non lo posso negare. E tuttavia, ben mi ricordo che io sono figlia anche del Cielo. Anzi, è in Cielo la mia origine. Sono caduta in Terra, in tentazione sono caduta, in volontà e desiderio mi sono pervertita. Lo so, è terribile, ma è vero. Eppure io lo stesso mi ricordo che sono di origine celeste».

Kolpanowicz-città
Marcin Kolpanowicz – Città invisibili

Voglio morire sì, ma morire per sempre.
Non voglio una morte lenta. Ma una morte di luce. Voglio quella morte che non si dimentica. Voglio la morte che si ricorda di chi è che sta morendo.
Ricordati, anima mia, che la Forza ti ha già uccisa, che eri bambina!
Ricordati che sei morta allora. Sei morta il giorno che sei stata iniziata a credere alla realtà della vita!
Violentemente, brutalmente, crudelmente iniziata a subire la Forza!
Allora tu sei morta, ti ricordi?, anima mia. E un’altra è venuta al posto suo. È venuta un’altra a rianimare una «cosa» morta. È venuta a farla nascere una seconda volta.
E tu?
Tu sei morta. Sparita. Risucchiata nell’Invisibile.

E allora stammi a sentire: rileggi le istruzioni, sta’ a sentire cosa ti dice all’orecchio l’amico «vigile» … non andare a sinistra. Di là c’è il Lete, di là si ri-nasce, di là si ri-torna a mettere il mondo sottosopra.
Va’ a destra, va’ ad abbeverarti a quel poco d’acqua che ancora ti giunge dal lago di Memoria! bevi quel sorso, assapora quell’unico ricordo, quello che sei stata costretta, anima mia, a ri-petere per tutta la vita, e grida se hai da gridare ancora quell’unico grido che ti fu soffocato in gola il giorno dell’iniziazione.

(Aiguesmortes, Udite! Udite!)