Hillman – Guarire la nostra pazzia

O caro Pan, e voi altri dèi che siete in questo luogo, concedetemi di diventare bello di dentro, e che tutte le cose che ho di fuori siano in accordo con quelle di dentro. Possa io stimare ricco il sapiente, e possa avere un tale quantità di oro, quale nessun altro potrebbe né conquistare né usare, se non il saggio.
(Platone, Fedro, 279bc)

Il dio che porta la pazzia può anche liberarcene. Il simile cura il simile. Tuttavia, quanta poca attenzione è stata dedicata a Pan in tutti gli scritti sulla malattia mentale! Pan era Pan-centaurouna delle poche figure nella mitologia greca alla quale era direttamente attribuito il disturbo mentale.
Leggiamo in Roscher che Sorano riteneva Pan responsabile sia della mania che dell’epilessia; nel nostro linguaggio moderno potremmo dire che Pan regna sui nostri stati ipomaniacali, specialmente con quelli con coazioni sessuali e attività ipermotoria, e sugli attacchi improvvisi che sconvolgono l’intera persona, si tratti di panico, angosce, incubi o operazioni mantiche (glossolalia).

Usando la metafora psicoide, genetica, possiamo dire che Pan domina al livello più profondo della nostra frenesia e della nostra paura. Ma al tempo stesso Pan guarisce a questo livello, e vi sono affinità tra Pan e Asclepio attraverso gli attributi della musica, del fallo, della visione d’incubo e della visione mantica.
Sia Pan che Asclepio guariscono per mezzo di sogni. Per opera delle ninfe, particolari località risanano e benedicono. Abbiamo visto inoltre che Pan soccorre Psiche in preda alla disperazione; similmente egli libera la prigioniera Cloe nella favola [di Dafni e Cloe] di Longo.

A questo punto dovremmo forse rileggere la preghiera di Platone a Pan [qui in epigrafe] pronunciata da Socrate in un dialogo il cui oggetto principale (molto dibattuto) è il giusto modo di parlare dell’eros e della pazzia.
Il dialogo si conclude con Pan e ha inizio sulla riva ombrosa di un fiume nei pressi di una località sacra alle ninfe. Socrate si sdraia lì, a piedi nudi.
Cominciando a parlare, Socrate accenna, com’è sua abitudine, al fatto di star ancora lottando con la massima «Conosci te stesso» e col proprio senso di ignoranza circa la propria vera natura.

Poi alla fine viene la preghiera col suo appello alla bellezza interiore, che porrebbe fine all’ignoranza, giacché nella psicologia platonica la visione della vera natura delle cose determina la vera bellezza.
Pan, quindi, è il dio capace di conferire quel particolare tipo di consapevolezza di cui Socrate ha bisogno. È come se Pan fosse la risposta alla domanda apollinea sulla conoscenza di sé.

Delville-Platone
Jean Delville – La scuola di Platone

Che cos’è questa consapevolezza e in che modo la si ottiene?
Abbiamo visto ripetutamente che Pan è dio sia della natura «dentro di noi» che della natura «là fuori». Come tale, Pan è la configurazione che fa da ponte e impedisce a queste riflessioni di scindersi in metà sconnesse, divenendo così il dilemma di una natura priva di anima e di un’anima senza natura, la materia oggettiva là fuori e i processi mentali soggettivi dentro di noi.
Pan, e le ninfe, tengono insieme natura e psiche. Essi dicono che gli eventi istintuali sono riflessi nell’anima: dicono che l’anima è istintuale.

Ogni istruzione, ogni religione, ogni terapia che non riconosca l’identità di anima e istinto qual è presentata da Pan, preferendo un lato all’altro, insulta Pan e non guarisce.
Non possiamo far nulla per l’anima senza riconoscerla come natura «dentro di noi» e non possiamo far nulla per l’istinto se non teniamo a mente che esso ha una propria fantasia, una propria riflessione e intenzioni psichiche.
L’identità dei nuclei gemelli di Pan, siano essi visti come comportamento e fantasia, coazione e inibizione, sessualità e panico, o il dio e le sue ninfe, significa che psiche e alchimia-mostriistinto sono in ogni momento inseparabili. Ciò che facciamo al nostro istinto, lo facciamo anche alle nostre anime.

Questa idea, se considerata in tutta la portata dei motivi mitologici e del comportamento di Pan, è gravida di conseguenze. Significa che la conoscenza di sé riconosce la presenza di Pan nelle caverne più oscure della psiche e che egli appartiene a quest’ultima. Significa inoltre che la conoscenza di sé riconosce che l’«orrore» di Pan e le sue «depravazioni morali» appartengono anch’esse all’anima.
Questa nuova visione, che dà al capro quanto gli è dovuto, può portare quella bellezza per la quale Socrate prega. E, riconoscendo Pan in tutta la sua pienezza, Pan può dare la benedizione che Socrate cerca, dove interno ed esterno sono una sola cosa.

La preghiera di Socrate a Pan è oggi ancora più attuale. Non possiamo infatti ripristinare un rapporto armonioso con la natura semplicemente limitandoci a studiarla. E sebbene la nostra preoccupazione maggiore sia ecologica, non potremo venirne a capo soltanto mediante l’ecologia.
L’importanza della tecnologia e della conoscenza per proteggere i processi naturali è fuori discussione, ma una parte del campo ecologico è la natura umana, nella cui psiche dominano gli archetipi.
Se Pan viene represso nella psiche, natura e istinto non potranno che andare in malora quali che siano i nostri sforzi a livello razionale per mantenere le cose a posto.

Se si vuole restaurare, conservare e promuovere la natura «là fuori», anche la natura «dentro di noi» deve essere restaurata, conservata e promossa precisamente in eguale misura.
In caso contrario, le nostre percezioni della natura esterna, le azioni che compiamo su di essa e le nostre reazioni ad essa, continueranno a mostrare come in passato gli stessi straziati eccessi di inadeguatezza istintuale.
Senza Pan le nostre buone intenzioni di correggere gli errori passati finiranno soltanto per perpetrarli in altre forme.

La rieducazione del cittadino nei riguardi della natura non può fermarsi al livello della coscienza ninfica, col suo riverente timore e la sua mitezza. Il rispetto per la vita non è drago-sub-aiutosufficiente, e persino l’amore umilia Pan, sicché il cittadino non può essere rieducato mediante i modi che ci sono familiari.
Tutti hanno inizio con Pan morto. La rieducazione dovrà cominciare almeno in parte dal punto di vista di Pan, poiché dopo tutto è il suo mondo quello per il quale siamo così intensamente turbati. Ma il mondo di Pan include masturbazione, stupro, panico, convulsioni e incubi. La rieducazione del cittadino nei riguardi della natura non potrà perciò prescindere da un rapporto interamente nuovo con quegli «orrori» e «depravazioni morali» e «pazzia» che fanno parte della vita istintuale dell’anima del cittadino.

Tutto questo ci riconduce all’incubo e al lato orripilante dell’anima istintuale che esso rende manifesto. Le perplessità di Socrate sulla propria natura all’inizio del Fedro (230a) vertono sullo stesso punto. Egli riflette sulla propria somiglianza con Tifone, uno strapotente e demoniaco gigante da cui dipendono eruzione vulcaniche, tempeste e terremoti sotterranei, «la personificazione del potere distruttivo della natura», come dice Schmidt.
Il «conosci te stesso» nel Fedro ha inizio per Socrate con la visione dell’aspetto demoniaco della natura. L’incubo rivela questo aspetto, par excellence. Sicché lì potrebbe avere inizio la rieducazione guaritrice poiché è lì che l’anima istintuale è più reale […]

L’orrore e l’effetto guaritore dell’incubo si producono perché esso è una rivelazione non della sessualità come tale, bensì della fondamentale natura dell’uomo che in quanto essere sessuale è tutt’uno con l’essere animale, con l’istinto, e perciò tutt’uno con la natura.
La visione panica dell’uomo dice che anche l’uomo è pura natura, e che anche in lui risiedono le eruzioni vulcaniche, gli attacchi e i tifoni distruttivi. Questa realtà non può rimaner confinata in concetti astratti.

La metafora della natura è concreta e formata. Esse deve essere assaporata, sentita, contemplata nella concreta, realissima esperienza di pelo e zoccoli. Dobbiamo essere paralizzati e soffocati da questa realtà, come se vi fosse qualcosa di eufemistico nella coscienza che è sempre in fuga dall’«orrore».
Questa esperienza sensoriale era un tempo, e lo è tuttora, la visione di Pan nelle sue varie forme d’incubo. Sono dunque nel giusto, in verità, Roscher e Laistner e Jones nell’attribuire, ciascuno a modo suo, immenso significato all’incubo. Il suo potere numinoso richiede un’idea altrettanto soverchiante: attraverso l’incubo si rivela la realtà del dio naturale.

(Hillman, Saggio su Pan)