D’accordo, non si fa Storia col dionisiaco di Nietzsche. Si fanno sì storie, tante storie – ma tutte, francamente, nel segno di un’antica «follia».
Non è che l’apollineo sia meno «folle», meno maniaco e antidepressivo. Anzi. Solo che il suo problema, se di problema si può parlare, è che Apollo non esce mai dal sogno che sta sognando, non abdica mai allo sguardo io-tu, e mai si concede a esser visto da un Terzo Occhio.
È che Apollo non si è ancora svezzato. Apollo non è mai invecchiato. Che dico? non è mai cresciuto! Mai una ruga, mai un difetto nella sua sublime perfezione onirica. E se pure a volte i suoi sogni diventano crudeli, se pure si oscurano – rimane, cocciuta, da qualche parte immacolata rimane, come inattaccabile, questa sua Perfezione, questa sua presunta Natura Perfetta (a buon intenditor poche parole).
Apollo fa troppe storie, nessuna però che lo «guasti» al punto da incuriosirlo: che ne è di tutte le «miserie» che fai finta di non vedere? che ne è di tutte le tue «amate», delle tue «sovrane», se appena le hai adocchiate, quelle hanno preferito farsi piante, erbe, fiori e fiumi, pur di sfuggire a te e alla tua idea di Perfezione?
Apollo non se la fa questa domanda. Apollo continua a sognare, se è il caso anche a occhi aperti. Apollo non vede che quello che vuole vedere!
Anche Apollo, dunque – non solo quel caprone di Pan – spaventa e mette in fuga le «nubili» che avvista. Non lo scopro io, qui adesso, l’Apollo/Pan – diciamo: il «panico apollineo». A quanto pare, alle Ninfe non piace essere oggetti di desiderio apollineo. Non piace essere «stuprate» da Pan, ma neanche piace essere «sognate», e in sogno brutalmente «trasmutate», da Apollo.
Queste sono storie, storie di metamorfosi che fanno sogni ma non fanno Storia: storie che non passano la frontiera, che non vengono al mondo, che non giungono a dirsi – perché temono che il mondo, e soprattutto il «dire», le «guasterebbe». Sarebbe solo uno sciupio, vano – del Perfetto ideale.
La follia di Apollo è, perciò, condannata a rimanere sterile. Reale, certo, come può intendere il «reale» chi non è mai uscito dai suoi sogni – chi, dei suoi sogni, non ne ha «realizzato» che quel tanto che gli è bastato a scacciare, suo malgrado, le sue Ninfe – le Immagini che agivano sulla sua immaginazione infantile sono diventate, ormai, idee astratte e concetti intellettuali.
Se rimane un’unghia di «realtà» nell’Ideale apollineo, è quel tanto di surreale che il suo canto raccatta dalle voci del mondo.
Ecco, forse è da queste parti che possiamo rintracciare il capo del filo di Arianna che spinse Nietzsche nel labirinto del suo «nichilismo». Vita e morte, dentro e fuori la vanità delle «apparenze» … e tuttavia, chissà come mai, ecco – di colpo – l’Apparizione.
Ecco, di botto, trovarsi a tu per tu con l’orrore. E nell’orrore, chissà per quale strana miracolosa capriola, veder venire avanti l’Angelo «bello e terribile», come lo chiama Rilke. Venire l’Angelo che raccatta quegli avanzi di «orrido» che sfuggono alla cetra del Perfetto Apollo, l’Angelo che rimesta il «fango» di cui mai Apollo si sporcherebbe, l’Angelo Nero – il reietto. L’Oscuro, l’Indecifrabile. L’Angelo più fedele alla maestosità del Segreto Inespugnabile. L’Angelo che gli «comanda»: guarda bene! sei tu questo «fango», tu questo «scarto» di Apollo. Tu sei, del mondo e di te stesso, a malapena la Natura Imperfetta. E perciò ti trasformi, e perciò nasci e tramonti. Lasciati andare, abbandona tutto, e vieni via con noi!
Che fai? – come Apollo, fingi di non vedere, e guardi da un’altra parte?
D’accordo, Corvo Loquace ha sbagliato. Ma, per dio, per così poco, mandarlo all’inferno?!
Tutto è luce, tutto è zenit, tutto è mezzogiorno – nel «surreale» paradiso di Apollo. Non c’è niente che faccia una piega. Apollo stesso non si piega, se non per ritrarsi subito in se stesso.
E l’ombra? e la notte? e la morte? e l’angoscia? e la disperazione?
Di più: il cieco? il brutto? lo storpio? il gobbo? il nano? – dove li mettiamo?
Svegliati, Apollo, ché è fatto giorno!
È così poco «cristiano» Apollo, che – non ci crederete – ci vuole un rigurgito di barbaro paganesimo per tornare a rimetterlo nel circolo di quinte.
Apollo è l’Erede di Pan. Se Pan sul suo flauto sapeva intonare a malapena le note di una Fuga (ovviamente delle Ninfe), Apollo sulla sua cetra ha aperto la strada a Bach: andata e ritorno, e dunque fuga e controfuga, panico e riflessione. Apollo s’è andato a rintanare nelle risonanze, negli echi di tutte le nostre parole. Laggiù tutto è perfetto, chiaro, luminoso mezzogiorno. Là le parole non significano (se significassero, cadrebbero nell’imperfezione). Là le parole suonano. E chi le ascolta … si addormenta. Chi le sente, ricade nella tana delle sue «sante icone» infantili. E poiché può rimanerne stregato, ecco che Apollo insegna a rifare la strada a ritroso, a venir via dagli incantesimi, via dalle illusioni di poter «realizzare» altro che quel vano tempo che è durato l’incanto. È in sogno che Apollo «realizza» la Realtà dei suoi sogni. Li realizza idealizzandoli in sempre nuove «surrealtà».
E invece – guarda com’è Cristo questo Dioniso che Nietzsche, suo malgrado, risuscita. Senti com’è folle della follia di Cristo questo suo «ebbro» lasciarsi andare nell’imperfetto, nell’incompiuto, nell’errato, nel malato, nel sofferente, nell’abbandonato, nel rifiutato, nello schifato.
Senti com’è madre-teresiana-mente «entusiasta» l’Anti-Ninfa di Dioniso: tocca perfino i lebbrosi! Toccata senza fuga! Rimane vicina alla Natura, là dove noi corriamo altrove a fare Storia. A fare perfezione, a fare progresso, a fare bene fratelli, a fare soldi l’uno sulla pelle dell’altro.
Ma lo senti – com’è «eretico» questo Cristo che non trova spazio in nessuna religione, ma che in tutte le fedi, in tutte le illusioni – anche le più deliranti – viene, lo spazio, a schiuderselo da sé?
Questo Cristo capace di attraversare tutti i racconti, capace di affrontare il diavolo nel deserto – questo Cristo-Natura, questo Imperfetto che ogni giorno, ogni istante, «si trasforma» e che non disdegna nessuna delle sue metamorfosi, neanche una nota delle sue più «laide» fughe.
Accoglie «tutto» sul suo carro, il buon Dioniso. Accoglie tutto ciò che da altre parti è escluso. Accoglie perfino il delitto di una madre che scanna il figlio. Non lascia niente, Dioniso – perché Dioniso non fa Storia, non ha una Storia sul cui altare sacrificare i «criminali». Non ha un codice penale, Dioniso. Non ha legge né tabù né cultura dal cui pulpito sentenziare il bene e il male.
Dioniso non è schizzinoso. È semmai schizofrenico, e perciò non «esclude», Lui – l’Escluso – non si può permettere più il lusso di escludere niente e nessuno, e perciò «include», accoglie tutte le storie, sul carro della sua carnascialesca Credenza.
Tutti abbiamo vissuto, e credo più di una volta, momenti di follia, momenti di ebbra follia dionisiaca. Ecco perché, da allora, continuiamo a schizzare da una cosa all’altra, a ogni schizzo «trasformandoci» in ciò che incontriamo. In fin dei conti, non incontriamo altro che schizzi delle nostre metamorfosi.
Viviamo devozioni e rivolte, umiliazioni ed eresie. A ogni «vita», non facciamo che «fuggire» via dalla precedente. Ci rincorriamo da un palo alla frasca susseguente.
Senza raggiungerci mai.
O forse raggiungendoci solo in quei rari momenti in cui non siamo là dove siamo, ma trascinati altrove – fuori dalla Storia, in fuga dal Mondo, e là, finalmente, a noi stessi dati per dispersi – è il meno divino degli dèi, il meno umano degli esseri viventi, il più imperfetto degli spiriti che respirano nelle lingue del Mondo, è Cristo-Natura, è Dioniso che ci prende a bordo.
Non importa dove ci porta.
Non importa più. Da allora.