Goffredo di Strasburgo – La separazione di Tristano e Isotta

Munch-separazione
Munch – La separazione

La sorveglianza posta su Isotta e Tristano è per i due amanti un vero tormento, e il divieto li angustia sì dolorosamente che, ancor più di prima, essi pensano a incontrarsi, finché – dopo tante pene – compiono infine il loro destino, e ne mietono sventura e dolore mortale.
Era a mezzo il giorno, e il sole splendeva ardente, ahimé, anche sul loro onore. Due diversi soli, l’astro e l’amore, risplendevano nel cuore e nell’animo della regina. Lo struggente desiderio e la calura del giorno facevano a gara a tormentarla.

Ora, Isotta vuole in qualche modo sfuggire alla discordia tra l’animo suo e la calura, e medita un’astuzia nella quale rimarrà impigliata. Va nel verziere a perseguire la propria occasione. Vi si reca in cerca d’ombra, che le offra protezione e riparo, e che sia fresca e appartata.
Appena ha trovato il luogo, vi fa approntare un letto molto bello e ricco. Coltri e lenzuola, sete e broccati d’oro, e quanto s’addice a un regale giaciglio, tutto viene disteso sul letto. E quando ogni cosa è stata disposta come meglio si può immaginare, la bella Isotta si corica Isotta-artcon la sola camicia. E dice a tutte le ancelle di ritirarsi, a eccezione di Brangania. Poi viene inviato un messo a Tristano per dirgli che si rechi senza indugio a colloquio con la regina.

Ora, Tristano fa proprio quel che fece Adamo: accetta il frutto offertogli dalla sua Eva e, insieme a lei, mangia la propria morte! Giunge, e Brangania si unisce alle altre donne, e siede tra loro in angustia e timore. Ordina ai serventi di chiudere tutte le porte e di non lasciar passare alcuno senza il suo consenso.
Si serrano dunque le porte, e Brangania, che è tornata a sedersi, riflette e deplora che né timore né prudenza abbiano in alcun modo soccorso la propria signora.

Ora, mentre ella è assorta in tali pensieri, un servente s’allontana un momento: ha appena aperto la porta per uscire quando giunge Marco, che entra dietro a lui, e chiede della regina con tono impaziente.
«Credo che dorma, sire!», rispondono tutte le ancelle.
La povera Brangania, persa nei propri pensieri, ne ha spavento e tace; il capo le ricade sul petto, le manca il cuore, le tremano le mani.
«Ditemi: dove dorme la regina?», chiede il re.
E quelle accennano al verziere, dove Marco si reca senza indugio a ricercarvi il tormento del proprio cuore!

Trova la regina e il nipote strettamente allacciati, uno nelle braccia dell’altra, gota contro gota, e bocca contro bocca. Quello che la coltre lascia scoperto e che emerge alla vista: amanti-bocca-boccabraccia e mani, spalle e petto, sono sì vicini e strettamente avvinti e intrecciati che nessuna opera d’oro o di bronzo fusi insieme sarebbe stata meglio congiunta. Tristano e Isotta dormivano del tutto in pace, dopo non so quale fatica.
Il re vede apertamente la sua sventura, e per la prima volta trova l’irrevocabile certezza del proprio male. Si è infine affrancato dall’antico fardello del dubbio e del sospetto: non suppone più, ora sa!
Quel che ha sempre desiderato gli viene ora pienamente concesso. Ma io credo invero che gli gioverebbe più della certezza. Quello cui si è costantemente adoprato per sfuggire al tormento del dubbio, diviene ora la sua morte vivente.

S’allontana così in silenzio. Convoca a sé i fidi e la propria gente, e subito prende a dire che ha appreso come notizia veritiera che Tristano e la regina si trovano insieme; così tutti lo accompagnino per prenderne testimonianza affinché, se ciò risulterà vero, venga subito fatta giustizia contro entrambi, secondo le leggi del regno.
Ora, appena il re si è scostato dal letto e s’è allontanato di poco, Tristano si desta e lo vede andar via.
«Ahimé – dice – che avete fatto, fedele Brangania! Sa Iddio, amica, se temo che questo sonno ci costerà la vita! Svegliatevi, Isotta, povera donna! Destatevi, regina del mio cuore! Temo che siamo stati traditi!».

«Traditi! – esclama Isotta. – Come?».
«Il re mio signore era qui davanti a noi. Ci ha visti ed io l’ho visto. Si sta allontanando in questo istante, e sono certo come della mia morte che è andato a raccogliere testimoni e aiuti, ché vuole la nostra fine. Signora del mio cuore, diletta Isotta, ora dobbiamo separarci e in tal modo che forse mai più ci riuniremo per la nostra gioia. Ricordate il fulgido amore che abbiamo nutrito finora, e badate che rimanga saldo. Non mi scacciate dal vostro cuore! Ché, qualunque cosa potrà accadere al mio, voi non ne uscirete mai: Isotta rimarrà per sempre nel cuore di Tristano. Amica del mio cuore, abbiate cura che la separazione e la lontananza non mi avviliscano presso di voi. Non dimenticatemi, qualunque cosa accada. Dûze amîe, bêle Isôt, baciatemi e datemi il congedo!».

Tristano-Isotta-verziere

Isotta si ritrae d’un passo e gli dice sospirando: «Signore, i nostri cuori e i nostri sensi sono stati avvinti per troppo tempo, e troppo intimamente, perché possano mai scordare quel che insieme hanno vissuto. Che mi siate vicino o lontano, nel mio cuore non vi sarà né vita né essere vivente all’infuori di Tristano, mio corpo e mia vita. Signore, da tempo vi ho affidati il corpo e l’anima. Abbiate cura che nessun’altra donna mi divida da voi in questa vita, sì che il nostro amore sia sempre rinnovato e saldo, così come l’abbiamo praticato per tanto tempo.

«Accettate ora quest’anello: sarà il pegno del nostro amore e della nostra devozione. Se mai vi sentirete mosso ad amare altra donna, esso vi ricorderà il sentimento del mio cuore. Rammentate questa separazione, e quanto dolorosamente ci colpisce! Non scordate le ore d’agonia vissute per amor vostro, e fate che nessuna vi sia più cara al cuore della vostra amica Isotta. Non dimenticatemi per alcun’altra! Insieme sopportammo amore e affanno e fummo legati fino a quest’istante, sì che dovremo serbarne memoria finché vivremo.

«Mio signore, non mi occorre sollecitarvi oltre. Se Isotta fu unita a Tristano in un sol cuore e in una sola lealtà, così è ora e così sarà per sempre.
Ma voglio rivolgervi una preghiera: in qualsiasi terra lontana andrete, abbiate cura di voi, ché siete la mia vita! Quando dovessi perdervi, morirei anch’io, ché sono la vostra Tristano-Isotta-reversevita. E io prenderò gran cura di me, vostra vita, per amor vostro e non già di me stessa, sapendo che la vostra vita è una con la mia. Noi siamo uno nel corpo e nella vita.
Che io possa rivedere in voi la mia vita appena sarà possibile, e possiate anche voi vedere in me la vostra. Voi conducete le nostre due vite! Ora, venite a baciarmi. Voi ed io, Tristano e Isotta, noi saremo sempre un essere indiviso. Questo bacio ne sarà il suggello: fino alla morte saremo sempre fedelmente l’uno per l’altra una sola Isotta e un solo Tristano!».

Appena pronunciato il sigillo delle parole, Tristano si diparte in grande angustia e tormento. Isotta, l’altra sua vita, l’altro se stesso, rimane in gran duolo. Mai gli amanti si sono separati con tale strazio!
Intanto giunge anche il re, che ha radunato una grande schiera di fidi. Ma arrivano troppo tardi, e non vedono che Isotta che giace sul letto assorta come prima nei propri pensieri.
Poiché ha trovato la sola Isotta, i consiglieri lo traggono subito in disparte e gli dicono: «Sire, fate gran torto alla vostra sposa e al vostro onore, ché più volte e senza cagione volete trovare accuse scandalose. Avete in odio il vostro onore e la sposa, ma soprattutto odiate voi stesso. Come potreste essere felice fintanto che avvilite in lei la vostra felicità e la esponete al dileggio della corte e del paese? Mai avete scoperto cosa che sia contraria al suo onore. Cosa rimproverate alla regina? Perché dite che è falsa, se mai commise falsità contro di voi? Sire, per il vostro onore, non fatelo mai più! Tralasciate tale infamia, per amore di Dio e di voi stesso!».

Così essi lo dissuadono dal proposito ed egli s’accorda al loro consiglio, e ancora una volta abbandona la collera e s’allontana invendicato.
Tristano intanto torna agli alloggi, convoca tutta la sua gente e va subito al porto. S’imbarca coi compagni sulla prima nave che trova, e fa vela per la Normandia. Ma non vi si trattiene a lungo, ché l’animo lo incita a cercare una vita che possa in alcun modo alleviare e confortare la sua pena.

ultimo-abbraccioConsiderate ora che strana sorte: Tristano fugge travaglio e affanno, e cerca affanno e travaglio; fuggiva Marco e la morte, pure cercava un pericolo mortale che gli uccidesse nel cuore la morte per la separazione da Isotta.
A che giova che egli fugga la morte in un luogo, e la ricerchi in un altro? A che serve che egli si sottragga al tormento in Cornovaglia, se esso giorno e notte gli grava le spalle? Per la donna ha salvato la vita, ma la sua vita è avvelenata solo con quella donna. Nessun essere vivente gli reca morte al corpo e alla vita all’infuori di Isotta, la sua vita migliore.
Lo tormentano così morte e duolo. Pensa che, se mai gli sarà possibile sopportare tale pena sulla terra sì da poterne guarire, ciò potrà accadere solo per mezzo della cavalleria.

Ora, si raccontava in giro che in terra d’Alemagna v’era una guerra, e pure Tristano ne viene a conoscenza. Si dirige quindi nella Champagne e di lì passa in Alemagna. Serve sì bene la corona e lo scettro, che l’Impero romano non ebbe mai sotto le proprie bandiere uomo più rinomato per gesta d’arme. Miete fortuna e successo in ogni atto cavalleresco e in ogni impresa ardita, che non voglio dilungarmi a narrare; ché, se volessi enumerare per esteso tutte le gesta che gli furono ascritte nei libri, farei del racconto un prodigio.
Getterò quindi al vento le favole che trattano di questo, ché già mi è gravoso attenermi alla verità.

La bionda Isotta, morte vivente di Tristano, sua morte e sua vita, è intanto in pena e tormento. Se non le si spezzò il cuore il giorno in cui vide partire l’amico e seguì con gli occhi la nave che s’allontanava, fu solo perché lo sapeva vivo. La vita di lui l’aiutava a continuare a vivere.
Senza Tristano, ella non poteva né vivere né morire. La morte e la vita l’avevano intossicata e non sapeva più vivere e neppure morire. Il suo fulgido sguardo era spesso offuscato e spento, e la lingua nella bocca si faceva sovente muta nel bisogno.
Non era vita e non era morte, pur se vi erano l’una e l’altra. Il dolore aveva fatto perdere loro ogni potere, sì che ella non sapeva decidersi per alcuna.

Isotta-nave

Nel vedere la nave prendere il largo, s’è detta in cuor suo: «Ahimé, ahimé, mio ser Tristano, tutto il mio cuore si attacca a voi, vi seguono i miei occhi e voi fuggite lontano da me! Come potete allontanarvi sì in fretta? So che quando fuggite da Isotta, abbandonate la vita, ché invero sono io la vostra vita. Senza di me voi non sapete vivere un sol giorno di più di quanto io possa vivere senza di voi. Le nostre esistenze e le nostre persone sono sì strettamente intrecciate e intessute che voi portate via la mia vita, e mi lasciate qui la vostra.

«Mai due vite furono così congiunte. Noi siamo vita e morte l’uno dell’altra, ché nessuno dei due può invero trovare morte o vita, se l’altro non glielo concede. E così la misera Isotta non è viva e non è del tutto morta, ché non so indirizzarmi né da una parte né dall’altra.
Ora, mio ser Tristano, poiché siete con me un’unica vita e un unico corpo, dovete insegnarmi a conservare il corpo e la vita, prima per voi e poi anche per me. Istruitemi dunque! Perché tacete?
Occorrerebbe un buon consiglio. Ma che dico, stolta Isotta?

«La lingua di Tristano s’allontana laggiù insieme al mio spirito. La vita di Isotta, il suo corpo, sono affidati alla mercé delle vele e dei venti!
donna-malinconicaDove troverò me stessa, ora? dove mi cercherò? dove, ora?
Sono qui e sono laggiù, eppure non sono né qui né là. Chi mai fu altrettanto smarrito e confuso? Chi mai fu sì diviso? Mi vedo laggiù sul mare, e pure mi trovo qui a terra. Faccio vela con Tristano, e siedo qui accanto a Marco!

«La vita e la morte combattono in me aspra battaglia, e m’avvelenano entrambe. Morirei con gioia, se potessi, ma mi trattiene colui che è custode della mia vita. Non so vivere bene, né per lui né per me stessa, ché mi tocca vivere senza di lui. Egli mi lascia qui e se ne va via, pure sa bene che senza di lui io sono morta fin nel profondo del cuore. Ma Iddio sa che queste parole sono vane: il mio dolore è condiviso, e io non soffro da sola. La sua pena è grande quanto la mia, e credo, anzi, che debba esserlo di più. Sì, il suo duolo e il suo tormento sono ben maggiori!

«La sua partenza opprime il mio cuore, ma più gravemente affligge il suo. Se m’addolora essere qui sola senza di lui, egli ne soffre anche di più. Se io lo rimpiango, egli fa altrettanto per me, ma con minor ragione. Io posso invero affermare che il mio rimpianto e la mia pena per Tristano sono ben giustificati, ché la mia vita dipende da lui, mentre da me dipende la sua morte; per questo egli si duole senza cagione.

«Egli può giustamente andare lontano per salvare la vita e l’onore, ché se rimanesse accanto a me non potrebbe salvarsi. Debbo perciò rinunciare a lui. Per quanto m’addolori, non deve vivere in pericolo di vita per causa mia.
Mi è gravoso, ma preferisco saperlo lontano e salvo, che averlo accanto nella costante attesa che al mio fianco gli possa derivare danno. Invero, colui che ricerca il proprio vantaggio a detrimento dell’amico gli porta ben poco amore.
Qual che sia il male che me ne possa derivare, desidero essere amica di Tristano senza che gli tocchi alcun danno. Se solo egli avesse fortuna, poco m’importerebbe se per sempre dovessi soffrire. Volentieri mi costringerò con tutte le forze a rinunciare a me e a lui, solo che egli possa continuare a vivere per me e per se stesso!».

(Goffredo di Strasburgo, Tristano)